Non è propriamente odio per il genere umano e nemmeno il nichilistico cupio dissolvi lingottiano del cos’aspettate ad estinguervi tutti quanti? No, non si tratta di questo, anche se non posso nemmeno dire di amare incondizionatamente il genere umano come lo amavo un tempo (potrei dire, dunque, che si tratta sempre più di un amore condizionato). È solo che dopo mezzo secolo abbondante (55 anni meno 48 giorni, per la precisione) di frequentazione assidua – e di attività e lavori che mi hanno costantemente esposto ad avere platee pubbliche – sono diventato intollerante nei confronti di folle, masse, fiumi di gente, popoli e moltitudini. Pure di slogan e cortei (dopo averne frequentati parecchi).
Diciamo che più che misantropia registro una vera e propria dissociazione dal genere umano nella sua attuale versione antropologica, forma che un tempo pensavo potesse essere facilmente trasformabile e riplasmata, del che sono ormai costretto in gran parte a ricredermi.
Ovviamente so di correre il rischio di commettere una sorta di sineddoche (o sarà una metonimia?), ovvero una generalizzazione dei vizi contemporanei e in ispecie di quelli occidentali e in ispecie ulteriore di quelli italici. Ma la grande omologazione che da alcuni decenni plasma le coscienze e i desideri umani è già andata oltre ogni più nefasta previsione.
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Tag: doxa
No vax? No doxa!
A proposito di vaccini, vaccinisti e antivaccinisti, no-vax, vax critici e dintorni, stavo per scrivere un post ragionato e articolato, che avrei voluto intitolare “La piccola guerra civile”, nel quale avrei parlato di ragion di stato, diritto alla salute, conflitto tra bene comune e bene individuale, biopolitica, stato immunitario, scientismo e antiscientismo, concetto di decisione, autodeterminazione e simili (argomenti non certo sviscerabili nelle poche righe di un post).
Mi è poi venuta in mente la Repubblica di Platone, in particolare quel punto del libro IX dove l’esimio filosofo vorrebbe istituire i nidi di stato, strappando così i figli alle madri (ma anche ai padri), e rendendoli fin da subito beni comuni indisponibili alla famiglia (Platone utilizza l’espressione “partorire per lo stato” e “generare per lo stato”) – e allora ho lasciato perdere.
O meglio: ho pensato che l’idea di Platone, al netto dell’eugenetica protonazista ivi contenuta, non sarebbe poi così male, dato che i figli non son certo proprietà dei genitori.
Parlar di filosofia mangiucchiando ceci
“Bisogna parlare di tali cose nella stagione d’inverno
vicino al fuoco, distesi sopra un molle divano
sazi di cibo, con un dolce vino da bere e mangiucchiando ceci”
– questa l’allettante immagine consegnataci da Senofane, il girovago cantore della Magna Grecia, in uno dei suoi frammenti, a proposito di una delle modalità possibili del filosofare.
Meglio, insomma, mettersi comodi e darsi tempo, visto che di cose molto importanti si tratta – nientemeno che di far fuori una mentalità millenaria e di fondarne una moderna (Carlo Sini ha detto a tal proposito che il moderno umanesimo trova la sua antica fondazione proprio in questo strano e poco considerato pensatore presocratico).
Ho riletto di recente i frammenti di Senofane, e me ne sono fatto un’immagine diversa che nel passato, un po’ più incerta e sfumata, ma molto più intrigante per la sfida che pare abbia lanciato: non v’è dubbio che il punto di partenza sia la critica all’antropomorfismo, una critica irridente e corrosiva, tesa a mettere alla berlina persino i grandi padri della grecità, Omero ed Esiodo, rei a suo dire di avere a loro volta amplificato quell’insopportabile propensione a rappresentare e mettere sulla scena gli dèi a nostra immagine e somiglianza – soprattutto esaltandone i vizi, anziché le virtù.
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L’immaginazione: un impero nell’impero
[La prima domanda che il primo dei miei maestri filosofici mi rivolse a bruciapelo durante il nostro primo incontro, fu “ma tu sai dirmi che cos’è un’immagine?”. Lo fece prima ancora di salutarmi, probabilmente con la complicità di alcuni bicchieri di vino o di un paio di whiskey irlandesi (purtroppo l’alcol, ben più dello spirito hegeliano, lo avrebbe dopo qualche decennio condotto alla morte).
Mi fece quella domanda ridendo – un riso davvero ilare, oltre che ebbro – mentre io, che non capii se stesse scherzando, balbettai irritato una risposta qualunque (suppongo molto stupida, data la mia giovane età e ignoranza filosofica).
Scoprii in seguito che in quei giorni era ossessionato dal problema delle immagini in Platone.
Del resto l’intera filosofia platonica, a partire dall’allegoria della caverna oltre all’uso abbondante di miti, può essere considerata un corpo a corpo con le immagini e la loro potenza sulle menti umane, ben più del fulgore delle idee. Depurarsi delle immagini che i corpi (e i desideri dei corpi) depositano nelle nostre menti è il compito essenziale della scala conoscitiva che dai sensi caduchi ed illusori porta alla luce eterna – dal buio della caverna alla verità del sole. La filosofia compiuta deve aver ragione delle immagini, debellandone la velenosa infiltrazione nell’animo umano.
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Dialégesthai in chat
Forma e contenuto non sono mai entità scisse. La forma è forma di qualcosa, non può essere un guscio vuoto e autoreferenziale. Così come il contenuto, la “sostanza”, si presenta attraverso una sua modalità formale. Naturalmente bisognerebbe prima intendersi sulla definizione di entrambi i concetti.
A un di presso succede con il contenuto del messaggio e il suo mezzo di trasmissione, come acutamente ci avverte il sociologo della comunicazione McLuhan, che aveva coniato la geniale formula “il medium è il messaggio”.
Si è più volte discusso in questo blog (qui e qui, ad esempio) della forma problematica della riflessione filosofica, relativamente ai nuovi (e potenti) mezzi forniti dalla rete. Non c’è dubbio che il linguaggio, la scrittura, l’argomentare e la discussione non sono mezzi neutrali attraverso cui i contenuti fluiscono, e che le nuove forme digitali finiscono per retroagire ed influenzare quegli stessi contenuti. Forma e contenuto, mezzo e messaggio sono, appunto, strettamente correlati. Con una ulteriore complicazione: che tutti quei mezzi si duplicano, rimescolano e confondono oggi in una babele indefinita e in perenne divenire.
Ora io non so che cosa penserebbero i filosofi (o meglio, secondo la sottile distinzione platonica ricordataci da Giorgio Colli, i “sapienti”) degli inizi del pensiero filosofico – un inizio quantomai orale e dialettico, fatto di discussione viva, di voci e di presenze immediate – che cosa penserebbero, dicevo, delle nuove forme di trasmissione del sapere (o forse, più spesso, della doxa) – blog, social network, chat e quant’altro. So però che la filosofia non può non essere hegelianamente figlia del suo tempo, e dunque da questo contaminata e attraversata in ogni sua manifestazione.
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Platone in miniera
Vero è che la filosofia arriva solo al far del crepuscolo, come la nottola di Minerva, ma prima che faccia notte, o che cali il sipario del tutto – o meglio, che il sipario tutto ricopra di fatuità – vorrei spendere due parole su quei 33 minatori cileni avventuratisi (per disgrazia o per incuria, non per scelta) nei meandri della mitologia platonica.
D’altra parte è forse troppo densa di simboli questa faccenda, per poter essere raccontata come si deve. Ma è un dovere etico farlo, anche perché il rischio è che venga davvero consumata (e ben presto defecata e smaltita) dai media e dalla logica della spettacolarizzazione – magari offrendo moneta sonante in cambio di brandelli di esperienza viva, corpi e sofferenza psichica (per una volta con lieto fine) da esibire in formato-fiction. Certo, Platone non avrebbe mai immaginato che il suo mito sarebbe diventato un evento di portata globale e che la sua riflessione eidetica, visiva, quasi cinematografica, sarebbe davvero andata in scena in mondovisione…
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Solo face, niente book
(Anticipazione in forma semi-ironica di un post ben più serio a seguire)
Fu solo verso la fine degli anni ’80 che il primo personal computer fece il suo ingresso (ben poco trionfale) nell’ufficio dove all’epoca lavoravo. Fui preso dapprima da sgomento; poi ebbi un attacco di ira funesta; quindi lanciai irripetibili contumelie a destra e a manca; infine, calmatomi, vidi affacciarsi nella mente pericolosi propositi luddistici e meditai così di prenderlo a martellate.
Ho resistito (ben poco eroicamente) a farmi infilare in tasca (e in testa) quella maledetta diavoleria inventata dal Kapitale e chiamata buffamente “cellulare” o “telefonino”, utile solo a farti tracciare e controllare in ogni tuo millimetrico spostamento (dove sei? è la domanda scema che segue ad ogni squillo; mentre un mio amico komunista l’ha ribattezzato, non a torto, butta la pasta) – ho resistito, dicevo, finché ho potuto. So che tra tutti i miei amici e conoscenti sono stato davvero l’ultimo, ma poi ho ceduto anch’io (con l’alibi di averlo ricevuto in regalo da mio fratello). E il Kapitale ha trionfato anche sull’ultimo dei mohicani…
Ancor meno eroicamente – e qui ormai tutte le difese razionali erano andate a farsi catafottere – ho resistito a quella contagiosa e nefanda pestilenza chiamata facebook. Continua a leggere “Solo face, niente book”