Il biopunto in 11 punti: il virus come iper-oggetto

[Sommario: Il peso dell’incompreso – La forma del virus – Iperoggetti – Le tesi biopolitiche di Foucault – Masse biologiche e masse psichiche – Corpi sani, corpi potenziati – Homme-machine – Riduzionismo: ta stoicheia – Limite, Hybris, Aidos – Meccanizzazione  e addomesticamento – Pesantezza della tecnica – Bioetica ristretta e Bioetica generale – In bilico]

1. Non avrei voluto scrivere più nulla sul virus e sulla pandemia, almeno per qualche tempo, dato che già lo sento come un peso che grava quotidianamente, ma l’impulso a riflettere, pensare, scrivere, e così facendo liberarsi dei pesi dell’incompreso (o almeno provarci) non è controllabile, viene e basta, e occorre obbedirgli. E poi il primo anniversario poteva anche essere un’occasione buona per fare il punto sulla situazione. Cosa che risulta non meno problematica oggi di un anno fa, quando marciavamo verso l’ignoto, mentre ora ci viene detto che si sta per uscire dal tunnel e che l’immunizzazione arrecata dai vaccini sarà la luce che ci salverà.
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Gratitudine al bismuto

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La cosa che più mi è piaciuta di questa raccolta postuma di Oliver Sacks – a parte il titolo Gratitude, che rende con un’unica parola il sentimento giusto del congedo dalla vita – è il legame simbolico tra lo scorrere degli anni e la tavola periodica degli elementi. Sacks ci racconta di questa usanza che ha percorso l’intera sua vita: ad ogni compleanno si diventa/festeggia uno degli elementi che compongono la materia – un gas, un metallo, un minerale. E ora che è vecchio e sul punto di morire, si sta circondando, come faceva da bambino, di quei metalli e minerali, “piccoli simboli di eternità”, confessando la propensione, nei momenti di sconforto o di dolore, a volgere lo sguardo verso le scienze fisiche, “un mondo che non conosce la vita, ma nemmeno la morte”.
Mi piace per varie ragioni – tra cui quella ovvia che di quegli elementi siamo fatti, da quegli elementi veniamo e a quelli sempre torniamo – polvere eravamo e polvere saremo. Ma c’è anche qualcosa di più oscuro e insondabile: quella nostalgia dell’inorganico di cui parla l’ultimo Freud a proposito della pulsione di morte e di Thanatos, quasi che la vita sia troppo dolorosa e che talvolta diventi intollerabile, al punto da voler tornare ad essere materia inorganica, insensibile, incosciente, indeterminata (l’apeiron di Anassimandro).
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“Tu guardala con la mente, e non lasciarti sbigottire dagli occhi”

Bisogna ascoltarli i primi filosofi – quei presocratici che forse erano più sapienti di quanto non fossero amanti (ed anelanti) di sapienza. Ancora oggi le loro parole – e le loro teorie fisiche un po’ strane per la nostra mentalità scientifica (che pure è intrisa fino al midollo dei loro concetti e del loro linguaggio) – quelle parole risuonano forti e chiare. E ci avvertono che nonostante la natura ami nascondersi, occorre un’ampiezza dello sguardo e una capacità di penetrazione fuori del comune per poter vivere in essa e convivere con essa. Le nostre società ultratecnologiche ed onnipotenti hanno imparato solo una parte della lezione. E tendono, sempre più, ad avere lo sguardo corto e  miope, ed anzi rivolto ormai quasi solo al proprio ombelico.
Empedocle è alla ricerca forsennata di questo sguardo lungo ed ampio, che si rivolge tutt’attorno alle cose, dentro le cose, fin dentro se stessi – fino a ricomprendere quello stesso sguardo che guarda se stesso. E ci parla di una natura quantomai irrequieta, che si svolge muta ed indifferente sotto quello sguardo (come già succedeva per Anassimandro, ed ancor più per Eraclito):
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