Ho molto apprezzato il film del regista Raoul Peck sul giovane Marx, uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche, proprio alla vigilia del bicentenario della nascita. Certo, sarebbe stato meglio omaggiare il barbuto di Treviri con una bella rivoluzione – cosa di cui ci sarebbe un gran bisogno – ma per ora dobbiamo accontentarci delle rievocazioni. Che peraltro appaiono molto meno spettrali di qualche decennio fa, quando, dopo il crollo del mondo sovietico, i sicofanti delle magnifiche sorti e progressive del liberismo si erano affrettati a suonare la campana a morto del comunismo e del suo più importante pensatore. Dimenticandosi che si possono anche nascondere sotto il tappeto gli effetti collaterali ingiusti del loro mondo a senso unico – ma se la merda, l’alienazione e l’infelicità mortifera prodotti dal capitale continuano a crescere insieme al valore e alla ricchezza, prima o poi qualche crepa si aprirà.
Ed è esattamente questo il momento in cui si cominciano a fare i conti con trasformazioni che, come ai tempi di Marx, potrebbero essere foriere sia di immani disastri che di future rivoluzioni. Tempi quantomai ancipiti, dunque, che, al netto di una certa misantropia e di un crescente fastidio per la cancrena antropomorfica, possono persino risultare belli da vivere. Giusto per vedere cosa potrà succedere. E, tornando al film, è proprio ciò che lo rende più interessante: concentrarsi sul pensiero sorgivo di Marx, una potente anticipazione (purtroppo talvolta scambiata per fede o profezia) dei tempi a venire.
Al di là di questa atmosfera generale che vi si respira, il film ha altri meriti (anche teorici, cosa non semplice per una pellicola) che è bene porre in evidenza:
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Primo fuoco: Marx, ovvero lo spettro di uno spettro
Parlare di Karl Marx è forse una delle cose più complicate in ambito filosofico, proprio perché la sua opera non può essere ridotta a quella di un comune filosofo. Non è come parlare di Aristotele o di Cartesio, che, per quanto appassionanti possano essere, difficilmente surriscaldano gli animi e accendono la discussione, fino a produrre schiere di partigiani o avversari, affetti talvolta da incontenibile fanatismo. Il barbone di Marx fa ancora tremare i polsi a un bel po’ di persone…
Lui stesso ci avverte di questa problematicità, in un celebre passo di un breve scritto su Feuerbach (filosofo di cui parleremo a dicembre, a proposito della religione):
“I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo.”
– rovesciando così quasi un dogma del suo maestro filosofo più importante, ovvero Hegel, che aveva invece della filosofia una visione molto più “contemplativa” (nonostante il concetto di “spirito” non fosse poi così distante dalla futura categoria marxiana di lavoro o attività):
“La filosofia giunge sempre troppo tardi… la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.”
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Marxisti americani
“La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta”.
Marx ed Engels – si sa – quando scrissero il Manifesto del partito comunista guardavano lontano (così lontano da prevedere l’intero processo della globalizzazione oggi in pieno svolgimento). Forse, però, non avevano previsto che a prendere sul serio le loro teorie, un secolo e mezzo dopo, sarebbero stati prima di tutto i ricchi, i capitalisti e i repubblicani americani – molto di più dei “proletari di tutto il mondo” cui si rivolgevano nel 1848.
CHE NE E’ DI MARX? – parte seconda
Ogni mendicante è un principe di possibilità
Vorrei con questo post dar conto di quella che secondo me resta la parte più viva e attuale del pensiero di Marx, partendo dalla questione cruciale del rapporto tra teoria e prassi, filosofia e trasformazione sociale, necessità e libertà. Un argomento dunque complesso e arduo da affrontare entro i limiti che uno strumento come un blog, di rapida lettura e facile consultazione, normalmente consente. Si tratta infatti di uno scritto lungo, lunghissimo per il luogo in cui è pubblicato, ma breve, brevissimo per l’oggetto che tratta. Provo ugualmente a cimentarmi nella sfida.
Indice degli argomenti:
-Marx e la filosofia
-Hegel, Feuerbach, Marx
-Il lavoro alienato
-Il materialismo storico
-Problemi aperti: una filosofia della storia?
-La promessa tradita e l’uomo sopravvalutato
L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA
Siccome sono masochista, ho voluto leggere il documento intitolato Più famiglia: ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese, con cui il mondo cattolico ha lanciato l’iniziativa del “family day”. Alcune delle espressioni utilizzate – come ad esempio “ordinata generazione naturale”, “declino demografico dell’Occidente”, “diversi e inaccettabili modelli di famiglia” (alternativi al matrimonio tradizionale) – mi lasciano a dir poco perplesso. Ma è su “premesse antropologiche” che ho fatto il classico salto sulla sedia. Ed essendo abituato a farmi domande (più che/prima di darmi risposte) chiedo a questi signori: cosa intendete per famiglia? o per natura? per legge naturale? e per basi antropologiche?
Partiamo dal concetto di famiglia e dalla sua struttura antropologica. Innanzitutto non ho capito perché ne parlano al singolare: forse che di modelli familiari non ne esistono una miriade e che la famiglia non è relativa, come ogni cosa umana, allo spazio e al tempo? I cattolici tentano di sacralizzare la famiglia naturale, ma nel far questo prendono surrettiziamente uno dei tanti modelli storici esistiti (la famiglia monogamica eteropatriarcale occidentale) e la eternizzano, elevandola a norma assoluta. Anche solo a guardare la storia europea io vedo svariati tipi di famiglia, di cui la monogamica è solo l’ultima (peraltro, se dio vuole, in abbondante sfacelo). Se poi lo sguardo s’allarga alla storia della specie c’è da sbizzarrirsi: matriarcato, patriarcato, famiglia allargata, comunanza delle donne, matrimonio tra donne, poliandria, poligamia, società matri o patrilineari, poligamia e poliandria incrociate, comunanza dei figli, ecc. ecc. Le cosiddette “premesse antropologiche” sono dunque quanto di più relativistico, con buona pace di Ratzinger, possa essere esibito. Resta un fatto: la famiglia in tutte le culture e società, gira e rigira svolge sempre un compito strutturale socioeconomico: essa è “una unità economica di produzione e consumo, luogo privilegiato dell’esercizio della sessualità tra partner autorizzati, luogo della riproduzione biologica, dell’allevamento e della socializzazione dei figli” (vedi la voce Famiglia dell’Enciclopedia Einaudi). Punto. Dopo di che gli umani si sono sbizzarriti – e lo faranno ancora a lungo senza bisogno del permesso dei preti – a trovare le forme più strane (magari obbrobriose) al fine di soddisfare quell’esigenza strutturale. La famiglia che tanto piace ai cattolici ad esempio – quella monogamica tradizionale, con un ritocco fintamente paritario negli ultimi tempi – è storicamente frutto della logica patriarcale e prevede funzionalmente l’adulterio e la prostituzione – oltre allo stupro – come valvole di sfogo (si vedano le ancor valide analisi di Engels nell’Origine della famiglia).
Ora io, naturalmente, provengo da una di queste classiche famiglie monogamiche tardoindustriali fatta di papà-mamma-figli (due) e non mi sogno minimamente di sputarci sopra. Anzi, annovero quelli familiari tra i legami affettivi e psicologici più forti che ho. Ciò non toglie che nella considerazione dell’istituto familiare gli affetti finiscono per c’entrare poco: hanno ragione Marx ed Engels quando sottolineano come la famiglia sia storicamente determinata e che si danno tanti modelli di famiglia quanti modelli produttivi. D’altra parte non è un caso che si parli di “riproduzione” e la famiglia è proprio la macchina per riprodurre i legami sociali. Nulla di sacro o di naturale o di misterioso. Se si cambia sistema di produrre si cambia sistema familiare. Magari si abolisce del tutto (il che non vuol dire che i figli non vengano educati da nessuno e che tutto vada allo sfascio: la soluzione comunitaria che suggeriva Platone, lasciando perdere gli aspetti totalizzanti e militaristici, mi sembra sempre molto interessante – visti poi gli attuali disastri dell’educazione familiare, per non parlare poi di quella sessuale, grazie anche a duemila anni di innaturalissimo proibizionismo cattolico…).
Quanto poi alla facenda della “naturalità”, dell’ordine naturale, della legge naturale e via biologizzando e animalizzando, torno a ripetere (e lo farò fino alla nausea) come non c’è concetto più artificiale di quello di “natura”, costruito e non dato dalla a alla zeta. Non a caso, infatti, la maggior parte dei teologi cattolici usa “natura” solo quando gli fa comodo, in modo ambiguo e ideologico, perché altrimenti sarebbero costretti ad ammettere anche l’assoluta naturalezza dell’omosessualità (almeno risolverebbero uno dei problemi interni alla casta sacerdotale). Certo che siamo anche degli “animali” (mangiamo, caghiamo e ci riproduciamo). Ma nulla di tutto ciò (già nel mondo animale) è dato una volta per tutte. Tutte le nostre pulsioni biologiche ed anche quelle antropologiche di lunga durata (qualcuno le ha definite “invariante biologico”) ,vengono inesorabilmente “culturalizzate”, “spiritualizzate” e per ciò stesso rese disponibili alla critica razionale, alla modifica e alla trasformazione. E siccome la “natura” mi ha fatto dono anche della “ragione”, a meno di non voler limitare lo sguardo al mio ombelico e alla mia pancia, mi guardo attorno e decido che cosa tenere e che cosa cambiare. E, del tutto liberamente, chi amare, eventualmente sposare per un po’, con chi (sempre eventualmente) riprodurmi e con chi tirar su i figli – e tutte queste possono essere n persone diverse di n sessi diversi. La natura umana diviene, è libera e perfettibile; la chiesa cattolica – ha ragione il comico populista del 1° maggio – evidentemente no.