#200Marx – La borghesia

6. Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi.
(Manifesto del partito comunista)

7. Le condizioni borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese, che ha evocato come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomigliano allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate (Manifesto del partito comunista)

8. Abolizione della famiglia!
Su che cosa si basa la famiglia odierna, la famiglia borghese? Sul capitale.
Il matrimonio borghese è, in realtà, la comunanza delle mogli.
(Manifesto del partito comunista)

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Trogloditi etici

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Mentre intervengono pure i parrucconi-professoroni pediatri a dire cose infondate oppure banalità, appare sempre più evidente come la strategia reazionaria dei trogloditi etici della “famiglia naturale” sia non solo povera di argomenti, ma anche di spirito: ché essi riducono appunto lo spirito ad animalità, e l’amorosa educazione dei bambini ad una faccenda biologica – e i genitori alla nudità di un ovulo e dello sperma che lo feconda.
Ora, non è nel mio stile essere troppo assertivo, ma viste le idiozie provenienti dal campo dell’infamilyday è bene chiarire alcuni punti fermi:
a) non esiste alcuna “famiglia naturale” – esistono solo forme storiche e sociali di famiglia, e dunque famiglie diverse e in perenne trasformazione
b) non esiste nemmeno una forma unica, naturale ed assoluta di nascita e procreazione: la tecnoscienza ha mutato e muterà sempre di più la biologia, che non è, come qualcuno ha detto, un destino
c) è infondato pensare che un bambino necessiti di un papà e di una mamma, altrimenti sarebbe infelice: un bambino necessita di cure in senso lato, e le figure che lo accudiscono sono ruoli del tutto convenzionali
d) mi par legittimo che in una società in cui tutti i cittadini abbiano pari diritti, ciascun* possa decidere liberamente ed autonomamente quale forma di unione e/o forma familiare scegliere – matrimonio compreso
e) l’adozione e/o la procreazione di bambini da parte di persone glbt ha pari dignità e pari possibilità di successo delle forme di adozione/procreazione tradizionali
f) infine: esiste un “diritto d’amore” (rivendicato ad esempio da Stefano Rodotà) che può e deve far convergere regole e sfera affettiva. È l’amore ad avere un alto significato sociale, non “i valori”.
Fine degli umani non è forse la felicità, nonostante la valle di lacrime? Perché moltiplicarle laddove non ce n’è alcun bisogno?

Quel dito puntato sulla fronte di mio padre

“Canto chi mi ha preceduto […]
L’amore non cantarlo, è un canto di per sé
più lo si invoca meno ce n’è”
(Montesole, PGR)

(quando ho cominciato a scrivere queste note, non avrei mai pensato che sarebbero diventate una sorta di diario… come chiamarlo?… bioaffettivo? bioemotivo? una cronaca a metà tra la riflessione e la passione-pietà, schizzi disordinati sulla vita, la malattia, la fragilità dell’esistenza – e la paura della morte – con un unico filo: il volto smarrito di un padre, la sua indecifrabile agitazione interna; e gli occhi ondivaghi di un figlio, che talvolta fissano quel volto e talvolta deviano lo sguardo; forse ci sarebbe anche da riflettere sulla relazione insieme biologica e affettiva tra genitore e figlio, sul detto e non detto che comporta, su sangue, istinto e cultura – ma forse è meglio, per questa volta, lasciare tutto ciò tra parentesi)

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L’amaro calice

Per oltre dieci anni, quasi ogni sera d’estate, ho visto questi piedi dondolare piano, all’unisono, qui sotto il mio balcone. Talvolta accavallati, talaltra sciolti, quasi sempre silenziosi; ma se ascoltavi con più attenzione, quasi  li potevi sentir sussurrare – un’intera vita l’uno accanto all’altra, migliaia di sere immote e quiete come questa, chissà quante ancora ce ne resteranno… quale piede varcherà prima dell’altro la soglia… forse è meglio non pensarci, meglio godersi questo fresco, qui ed ora, come se fosse l’ultimo alito di vento dell’universo – i piedi di due vecchi, prima che faccia notte.
Quest’estate mi è giunta la risposta, dato che ora vedo oscillare, sempre più raramente, i soli piedi di lui.

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Scostituzione srepubblicana

(1) L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Precario, flessibile, malpagato, sfruttato, alienato, parcellizzato, screditato, ricattato, infortunato, ucciso, evaporato…

(2) La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
Come no? Aprendo campi di concentramento graziosamente nominati Cpt o Cie.

(3) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge.
(risate scomposte e prolungate…)

(7) Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Peccato che la seconda, con la scusa della “sovranità morale”, finisca sempre per allargarsi e tracimare (che poi, di questi tempi, è una sovranità piuttosto screditata…)

(9) La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Com’è dimostrato dallo stato della ricerca scientifica in questo paese e della grande stima di cui gli uomini e le donne di cultura godono, specie se paragonata a quella di soubrettes e calciatori.

(9) Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Sempre al primo posto nei pensieri di tutte le amministrazioni degli ultimi 50 anni…

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Fermare il femminicidio

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Da tempo vorrei scrivere quel che penso sul femminicidio in corso, sulla guerra transnazionale e transculturale che il patriarcato continua imperterrito a condurre contro le donne; una guerra che viene utilizzata anche in funzione delle campagne mediatiche e securitarie, orchestrate a comando e atte soltanto a creare un clima di terrore che non scardina di un millimetro quel sistema di potere, ed anzi genera più spesso un clima ancor più maschilista e militarista, con il corollario etnico-nazionalista sottaciuto ma chiarissimo che recita “le nostre donne ce le stupriamo noi”.

E’ questo un tema da cui la filosofia ufficiale si mantiene vergognosamente a distanza; e così ho pensato che sarebbe stato opportuno, come primo atto di una riflessione che vorrei inaugurare sul blog, pubblicare un documento elaborato dal collettivo femminista separatista milanese Maistat@zitt@, gentilmente suggeritomi dalla mia amica filosofa Nicoletta Poidimani, che di quell’esperienza è protagonista pensante e militante. Il dossier era seguito all’imponente manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne, svoltasi a Roma il 24 novembre 2007, e rappresenta ad oggi, a mio parere, l’analisi teorico-pratica più avanzata interna al movimento. Vi si legge nelle prime pagine:

“…E niente uomini in corteo, o almeno nello spezzone di apertura: perché la violenza degli uomini sulle donne non è neutra, non ha passaporto, non ha bandiere, e i responsabili vanno nominati nel genere a cui appartengono. Che gli uomini lavorino e pensino, ed elaborino a loro volta una lotta contro l’aberrante mentalità di repressione e dominio che sottende al femminicidio.

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FAMIGGHIA, ORO E RADICI

Sono sempre stato piuttosto critico nei confronti dell’istituto familiare. Di solito evoca in me idee e sentimenti estranei: matrimonio, cattolicesimo, pannolini (e poi panni sporchi), parenti (e serpenti), piccinerie borghesi e carrelli del supermercato, orticelli da coltivare e conti in banca da preservare – insomma, tutto tranne l’amore tra due persone. Se poi si traspone tutto ciò nella mia amata terra siciliana, beh, si corre veramente il rischio del parossismo; che cos’è la mafia nella sua essenza se non familismo allo stato puro, condito di cannoli e piombo?

Ma veniamo al motivo di questo post di fine luglio, che in realtà non vuole parlare (né criticare o infangare il nome) di famiglia, bensì limitarsi a rievocare un piccolo fatto privato, avvenuto in Sicilia esattamente mezzo secolo fa. Come ci si possa sposare il 31 luglio da quelle parti senza morire soffocati, per di più con abiti non proprio leggeri, rimane per me un mistero. E solo Dio sa come si possa poi stare insieme per 50 anni, dopo un matrimonio combinato. Guardando le poche fotografie rimaste, cerco di immaginare l’atmosfera, i pensieri, le parole, i desideri, le paure e le speranze, il suono della fisarmonica, gli auguri di rito, le grida dei bambini, i vecchi con la coppola, l’odore di cannella dei bocconetti appena sfornati… le trame possibili da cui, forse, sarei nato. E ho come la sensazione che l’isola voglia tenersi ben stretti i suoi segreti.

Comunque, in quel giorno radioso di luglio di cinquant’anni fa, quelli che poi sarebbero diventati mio padre e mia madre, erano bellissimi!

COSUCCISMO

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Dopo la poesia della nascita arriva sempre la prosa dei pannolini e del biberon. Devo quindi confessare ai miei cari amici neogenitori, cui ho più volte dedicato spazio in questo blog lodandoli per il coraggio filosofico di cui hanno dato prova riproducendosi, che insieme alla gioia che mi dà vedere i loro figli crescere, c’è anche inestricabilmente mescolato ad essa un elemento di terrore che a volte mi assale. Come dire: chiaroscuri. Cose da temere ed evitare, insieme a cose belle. Temo in particolare l’irrinunciabile “ci-ci-ci”, quel tipico rincoglionimento gestuale e linguistico cui ci si riduce quando si ha un pargolo per casa, con il profluvio di vezzeggiativi e di diminutivi… le cascate di nomignoli e moine… quell’aria melensa e sdolcinata fino alla nausea. Evito se posso i loro ritmi bambineschi fatti di poppate-sonno-pianti-ciucci-rutti per non dire d’altro; la famiglia, i consumi, le nonne, i parenti, i compleanni, i regali. E poi che dire di quel deprecabile-inevitabile narcisismo per cui il loro figlioletto è il centro del mondo. Guarda cos’ha fatto, cos’ha detto, che espressione ha assunto, e la manina, e il piedino, e il ciuffetto, ancora e sempre ci-ci-ci…

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L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA

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Siccome sono masochista, ho voluto leggere il documento intitolato Più famiglia: ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese, con cui il mondo cattolico ha lanciato l’iniziativa del “family day”. Alcune delle espressioni utilizzate – come ad esempio “ordinata generazione naturale”, “declino demografico dell’Occidente”, “diversi e inaccettabili modelli di famiglia” (alternativi al matrimonio tradizionale) – mi lasciano a dir poco perplesso. Ma è su “premesse antropologiche” che ho fatto il classico salto sulla sedia. Ed essendo abituato a farmi domande (più che/prima di darmi risposte) chiedo a questi signori: cosa intendete per famiglia? o per natura? per legge naturale? e per basi antropologiche?

Partiamo dal concetto di famiglia e dalla sua struttura antropologica. Innanzitutto non ho capito perché ne parlano al singolare: forse che di modelli familiari non ne esistono una miriade e che la famiglia non è relativa, come ogni cosa umana, allo spazio e al tempo? I cattolici tentano di sacralizzare la famiglia naturale, ma nel far questo prendono surrettiziamente uno dei tanti modelli storici esistiti (la famiglia monogamica eteropatriarcale occidentale) e la eternizzano, elevandola a norma assoluta. Anche solo a guardare la storia europea io vedo svariati tipi di famiglia, di cui la monogamica è solo l’ultima (peraltro, se dio vuole, in abbondante sfacelo). Se poi lo sguardo s’allarga alla storia della specie c’è da sbizzarrirsi: matriarcato, patriarcato, famiglia allargata, comunanza delle donne, matrimonio tra donne, poliandria, poligamia, società matri o patrilineari, poligamia e poliandria incrociate, comunanza dei figli, ecc. ecc. Le cosiddette “premesse antropologiche” sono dunque quanto di più relativistico, con buona pace di Ratzinger, possa essere esibito. Resta un fatto: la famiglia in tutte le culture e società, gira e rigira svolge sempre un compito strutturale socioeconomico: essa è “una unità economica di produzione e consumo, luogo privilegiato dell’esercizio della sessualità tra partner autorizzati, luogo della riproduzione biologica, dell’allevamento e della socializzazione dei figli” (vedi la voce Famiglia dell’Enciclopedia Einaudi). Punto. Dopo di che gli umani si sono sbizzarriti – e lo faranno ancora a lungo senza bisogno del permesso dei preti – a trovare le forme più strane (magari obbrobriose) al fine di soddisfare quell’esigenza strutturale. La famiglia che tanto piace ai cattolici ad esempio – quella monogamica tradizionale, con un ritocco fintamente paritario negli ultimi tempi – è storicamente frutto della logica patriarcale e prevede funzionalmente l’adulterio e la prostituzione – oltre allo stupro – come valvole di sfogo (si vedano le ancor valide analisi di Engels nell’Origine della famiglia).

Ora io, naturalmente, provengo da una di queste classiche famiglie monogamiche tardoindustriali fatta di papà-mamma-figli (due) e non mi sogno minimamente di sputarci sopra. Anzi, annovero quelli familiari tra i legami affettivi e psicologici più forti che ho. Ciò non toglie che nella considerazione dell’istituto familiare gli affetti finiscono per c’entrare poco: hanno ragione Marx ed Engels quando sottolineano come la famiglia sia storicamente determinata e che si danno tanti modelli di famiglia quanti modelli produttivi. D’altra parte non è un caso che si parli di “riproduzione” e la famiglia è proprio la macchina per riprodurre i legami sociali. Nulla di sacro o di naturale o di misterioso. Se si cambia sistema di produrre si cambia sistema familiare. Magari si abolisce del tutto (il che non vuol dire che i figli non vengano educati da nessuno e che tutto vada allo sfascio: la soluzione comunitaria che suggeriva Platone, lasciando perdere gli aspetti totalizzanti e militaristici, mi sembra sempre molto interessante – visti poi gli attuali disastri dell’educazione familiare, per non parlare poi di quella sessuale, grazie anche a duemila anni di innaturalissimo proibizionismo cattolico…).

Quanto poi alla facenda della “naturalità”, dell’ordine naturale, della legge naturale e via biologizzando e animalizzando, torno a ripetere (e lo farò fino alla nausea) come non c’è concetto più artificiale di quello di “natura”, costruito e non dato dalla a alla zeta. Non a caso, infatti, la maggior parte dei teologi cattolici usa “natura” solo quando gli fa comodo, in modo ambiguo e ideologico, perché altrimenti sarebbero costretti ad ammettere anche l’assoluta naturalezza dell’omosessualità (almeno risolverebbero uno dei problemi interni alla casta sacerdotale). Certo che siamo anche degli “animali” (mangiamo, caghiamo e ci riproduciamo). Ma nulla di tutto ciò (già nel mondo animale) è dato una volta per tutte. Tutte le nostre pulsioni biologiche ed anche quelle antropologiche di lunga durata (qualcuno le ha definite “invariante biologico”) ,vengono inesorabilmente “culturalizzate”, “spiritualizzate” e per ciò stesso rese disponibili alla critica razionale, alla modifica e alla trasformazione. E siccome la “natura” mi ha fatto dono anche della “ragione”, a meno di non voler limitare lo sguardo al mio ombelico e alla mia pancia, mi guardo attorno e decido che cosa tenere e che cosa cambiare. E, del tutto liberamente, chi amare, eventualmente sposare per un po’, con chi (sempre eventualmente) riprodurmi e con chi tirar su i figli – e tutte queste possono essere n persone diverse di n sessi diversi. La natura umana diviene, è libera e perfettibile; la chiesa cattolica – ha ragione il comico populista del 1° maggio – evidentemente no.