Covid, scienza, filosofia

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Tra le molte fratture createsi nel corso della Pandemia da Covid-19, c’è anche quella tra scienza e filosofia. In verità si tratta di una ruggine antica, nonostante i buoni propositi di parte degli scienziati e parte dei filosofi affinché si stabiliscano spazi di dialogo anziché di divaricazione. Ma il Covid sembrerebbe aver spazzato via anche queste buone intenzioni, tanto più che di fronte al virus appare dominante sulla scena l’apparato tecnoscientifico. “Ci pensiamo noi”, col sottinteso “è meglio se voi state zitti” – questo sembra lo slogan ricorrente, insieme all’erezione del rigore dei dati e delle evidenze come unico strumento valido non solo ad affrontare praticamente ma anche a comprendere l’epidemia.
Ora, è chiaro che i filosofi – mi riferisco in particolare a quelli nostrani, nella fattispecie alle filostar – non hanno brillato in questi 20 mesi. D’altro canto la logica concorrente è stata quella delle nascenti e performanti virostar, ed evidentemente non c’era gara.
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Francofortese a mia insaputa

Qualche giorno fa ho dato una scorsa ai Francofortesi, dopo qualche tempo che non mi capitava di incrociarli: ho riletto alcuni passi, sfogliato la Dialettica dell’illuminismo, ricostruito brevemente il percorso di Marcuse… alla fine di questo “ripasso” sono rimasto impressionato dalla quantità di concetti, teorie, parole-chiave nelle quali mi sono riconosciuto: pur non avendoli mai studiati sistematicamente (di certo non come ho fatto con Hegel, Marx, Spinoza o i presocratici), mi sono trovato impregnato di atmosfere movimentiste, imbevuto di teoria critica, di dialettica e di fervore rivoluzionario. Anticapitalismo, anticolonialismo, anticonsumismo, e via criticando e negando.
Non diversamente mi è capitato qualche giorno dopo con Foucault – autore di cui ho letto pochissimo, e che conosco per sommi capi. Poco importa che io non lo abbia studiato: ce l’ho comunque in testa, è dentro il mio linguaggio, la mia mentalità, il mio modo di ragionare e concepire le cose. In definitiva, è come se fossi superagito da questi autori e correnti filosofiche, in modo pressoché inconsapevole. O meglio, non del tutto consapevole: se faccio mente locale, se ci ragiono, se provo a straniarmi dal mio percorso formativo, guardandolo dall’esterno, non posso non riconoscere gli influssi, i testi, le idee che mi hanno condizionato – attraverso gli amici, le frequentazioni, i collettivi, i discorsi, gli slogan.

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Libito fé licito

Traccio un triangolo, e nomino ciascun vertice coi seguenti nomi: scienza, filosofia, desiderio. La trovo una figura interessante. E che abbia a che fare con il tempo del contagio. Ora spiego perché.
Partiamo proprio dal tempo sospeso che stiamo vivendo: l’epoca del contagio ha fatto collassare innanzitutto il tempo (o i tempi plurali della nostra vita). Si è detto in tutte le salse che la prima sensazione è proprio quella della sospensione, del congelamento, della contrazione (insieme alla dilatazione spaziale, orrendamente simbolizzata dal distanziamento sociale).
Il primo vertice temporale allude all’appuntamento quotidiano – anzi costante e pressante e saturante – con la scienza, che scandisce il tempo del contagio. Virologi, epidemiologi, infettivologi, ricercatori e scienziati sono assurti a sacerdoti di questo tempo. I tempi (e la curva) del contagio, la corsa per trovare la cura, i tempi del vaccino – che forse (ma non è sicuro) ci immunizzerà.
Il secondo vertice è il più sfuggente, problematico – e senz’altro inutile. Sull’inutilità della filosofia si è detto molto – inutile in quanto non finalizzata, non specializzata, non piegata ad uno scopo determinato, perché se si tratta di indagare la verità e il senso delle cose non ci può essere di nessuna utilità immediata. Ecco: partiamo proprio da questo sfuggire della filosofia alle dinamiche comuni della temporalità per ricostruire il triangolo e dargli un significato compiuto.
Inutile chiedere alla filosofia di darci una risposta ora. La filosofia non ha risposte immediate o istantanee (se le avesse sarebbe una filosofia truffaldina, una non-filosofia) – e quando ne ha sono risposte spesso scomode, che ambiscono a valere sempre, o mai, o comunque in una dimensione temporale altra rispetto al qui e all’ora dello scopo, della finalità – dell’utilità, come si diceva prima. Mai, perché potrebbe non arrivare la risposta attesa o potrebbe essere rinviata all’infinito, in un’eco insopportabile della domanda. La filosofia – per quanto rifletta sul tempo ed è, hegelianamente, il tempo appreso e concentrato in se stesso – ha a che fare con la dimensione dell’intemporale, dell’eterno. Se si vuole, del mistero e dell’ignoto.
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Prima passeggiata filosofica

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Ogni giorno è raccomandabile iniettarsi in vena o inalare o masticare una dose modica di bellezza – unica sostanza stupefacente e psicotropa che non abbia danni collaterali.
Camminare è una di queste sostanze, e non deve mancare mai. Ma il passeggiare di cui facciamo esperienza oggi è piuttosto diverso dal camminare, dal marciare, dal correre, dal ritmico procedere della quotidianità. È più svagato, e, soprattutto, privo di scopo.
È inutile.
Ogni movimento della nostra giornata corrisponde ad una funzione, ha uno scopo predeterminato, pre-scritto (quasi sempre da altri). Sarebbe interessante mappare questi movimenti – da quelli automatici che facciamo al mattino appena svegli, a quelli della routine, lavoro-ufficio-scuola-università-spesa-incombenze varie, a quelli del tempo libero. Per quanto crediamo di essere liberi, la mappa corrisponde in massima parte (se non totalmente) a binari e fini precostituiti. Ogni movimento è utile, serve a qualcosa, risponde ad un bisogno o necessità o desiderio per lo più indotti.
Questo passeggiare, per contro, deve fuoriuscire dagli schemi, deve essere senza meta, privo di un fine. Non deve servire a nulla – non deve essere servo di nessuno.
Nella mappa della nostra giornata deve corrispondere allo scarabocchio insensato.

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Disseccantesi emozionalità

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«Così nasce la filosofia, creatura troppo composita e mediata per racchiudere in sé nuove possibilità di vita ascendente. Le spegne la scrittura, essenziale a questa nascita. E l’emozionalità, a un tempo dialettica e retorica, che ancora vibra in Platone, è destinata a disseccarsi in un breve volgere di tempo, a sedimentarsi e cristallizzarsi nello spirito sistematico.
Abbiamo inteso in senso stretto di dare un quadro della nascita della filosofia. Nel momento stesso in cui la filosofia nasce, noi qui l’abbandoniamo. Ma quello che ci premeva di suggerire è che quanto precede la filosofia, il tronco per cui la tradizione usa il nome di «sapienza» e da cui esce questo virgulto presto intristito, è per noi, remotissimi discendenti – secondo una paradossale inversione dei tempi – più vitale della filosofia stessa».

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