Una specie di trabocchetto

“Provare a immaginare il senso della vita” (Lorenzo)
“I filosofi per rispondere ai perché hanno bisogno di una teoria, cioè avere immaginazione” (Francesco)
“La filosofia è il perché delle cose. Le parole, le frasi, le lettere e il mondo hanno un senso. Tutte le cose hanno un senso” (Martina)
“La filosofia è quando si risponde a delle domande senza risposta” (Aurora)
“La filosofia è una cosa che ti fa capire molte cose ma altrettanto ti chiedi molte altre cose” (Rebecca)
“Una specie di trabocchetto” (Efrem)
“Domande che generano domande” (Emma)
“Sono infinite domande che non finiscono mai” (Antonino)
“Ora la filosofia è per me” (Daniele)
“Perché il perché? (Abdel)
“La filosofia è: una cosa, la vita, un’emozione, è tutto!” (Federico)
“Secondo me la filosofia è: stare lì e pensare ripensare finché non hai risposta” (Aurora)

Infinitamente grato ai bambini delle quinte della scuola primaria A. Manzoni di Rescalda, che ancora una volta hanno deciso di misurarsi con la parola “filosofia” e con quella cosa strana che è la ricerca della verità. Che sempre – almeno a me – fa tremare i polsi e battere forte il cuore.

Il rovello della filosofia

Ho ripreso qualche mattina fa, a distanza di 4 anni anni dall’ultimo, uno dei miei tentativi di filosofia coi bambini.
Tempo fa avevo confessato ad una mia cara amica (e a me stesso) di non voler più fare quell’esperienza, per diversi motivi (non ultima una certa stanchezza esistenziale), ma soprattutto per una ragione che non so dire se sia filosoficamente fondata: contribuire ad aumentare la coscienza aumenta anche l’umana potenza distruttiva; non solo: perché pungolare così presto dei bambini di soli 10-11 anni coi rovelli della filosofia, con le domande, con i dubbi, e dunque con una potenziale sorgente di infelicità?
So anche, però, che siamo in trappola, dato che dalla coscienza non si esce e che l’unico modo per porre rimedio ai disastri dell’antropocene e dell’antropocentrismo è comunque la coscienza: una coscienza più accorta e discreta, a basso tasso di narcisismo (ma è pensabile una coscienza umana che non sia narcisista?) – insomma, una coscienza supercosciente, un’autocoscienza responsabile che però non so ancora bene che forma dovrebbe avere e con quali prospettive. Una strada che saranno proprio quei bambini decenni già così incasinati a dover cercare, trovare, percorrere.

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Il volto e il corpo dell’altro – 7. L’altro-bambino: il gioco (e la filosofia)

[solo dopo aver riflettuto sulla portata del gioco nella produzione storico-culturale, mi son reso conto che i miei esperimenti di filosofia con i bambini hanno essenzialmente una valenza ludica: i “filosofanti che bamboleggiano” irrisi dal Callicle platonico diventano così un ottimo simbolo di una serietà radicalmente altra che accomuna filosofi e bambini – strane creature ancora in grado di meravigliarsi del mondo]

La cultura “sub specie ludi” sembra essere la tesi essenziale di un libro importante e innovativo, quale è Homo ludens di Johan Huizinga (l’anno di pubblicazione è il 1938): ovvero, il gioco come elemento portante, necessario e sorgivo di ogni processo culturale. Senza l’elemento del gioco non avremmo avuto culture: le culture arcaiche e classiche hanno innanzitutto giocato con la cultura.
Si ha poi come l’impressione che Huizinga ritenga questa funzione del gioco come qualcosa di irreversibilmente tramontato: anche i secoli recenti (in particolare il ‘600 o il ‘700) più giocosi sono ormai alle nostre spalle, la serietà della vita ci ha preso alla gola, ora si lavora, si produce, si conduce una guerra totale e senza regole (non più cavallerescamente giocata), e anche gli elementi agonali o casuali del gioco (la sorte) sono diventati seri e seriali. Basti pensare al gioco d’azzardo, alla ludopatia (cosa di cui Huizinga non si occupa), allo sport – e, oggi, ai fenomeni dell’adultescenza, dell’infantilizzazione, ecc.

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Possibile che sia tutto qua?

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I nuovi bambini-philosophes con cui lavoro quest’anno hanno finalmente rotto il ghiaccio – però l’hanno fatto solo al quarto incontro, ieri mattina. Prima stavano evidentemente prendendo le misure. Poi è stato come un fiume in piena.
Non mi era infatti ancora capitato di partire dalla cosmologia di Empedocle e di arrivare alla questione spinosissima dell’aborto (tirata fuori da loro, lungi da me il solo pensarlo), passando per alcune domande tostissime sull’identità: quando dico “io” cosa sto dicendo/indicando? l’anima o il corpo? e che cos’è l’anima, dove si situa? nel pensiero, nel “cuore”… dove? ma esiste davvero?
Ecco perché amo filosofare con i bambini: tu puoi prepararti tutti gli schemi che vuoi, ma poi loro te li fanno a pezzi – magari utilizzando altri schemi, che di per sé sono sempre poco originali, anche perché quasi sempre indotti – però è il loro modo di usare ogni schema, ogni concetto, ogni parola a fare la differenza: un bambino, prima di diventare un fottuto adulto, è per sua natura creativo, innovativo, poietico. E lo è in maniera sorgiva, archetipica.
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