Mobilitazione sanitaria totale

In questi due anni si sono andate affermando, specie nella infosfera, una serie di figure che hanno costruito spazi informativi piuttosto accurati sulla pandemia: dati, statistiche, raccolta di informazioni, studi scientifici, predizioni, ecc. In alcuni casi si tratta direttamente di ricercatori e scienziati, in altri di divulgatori o “influencers”, talvolta singoli, talaltra gruppi o collettivi.
Spesso in competizione tra di loro, hanno costruito una vera e propria figura dello spirito dei tempi, una sorta di general intellect pandemico, con tanto di pubblico e tifoserie. (A tal proposito, vista anche la funzione che il “cervello sociale” ha nell’analisi marxiana della società capitalistica, sarebbe interessante operare una critica di tali nuove figure dell’informazione scientifica).
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La socialità ai tempi del colera

Non credo sia possibile prevedere quali effetti avrà nel breve e medio periodo l’emergenza sanitaria in corso, sia per quanto concerne i comportamenti psicosociali, sia per l’impatto economico – anche perché è ancora incerta la sua evoluzione. Credo però si possano già delineare alcuni temi su cui occorrerà riflettere, e che attengono ad una sfera più ampia e a tempi più lunghi. Ne schizzo brevemente almeno tre, di complessità crescente:

1. A dispetto dell’apparente predominio di forme di vita egocentriche e narcisistiche, funzionali all’ideologia neoliberista del produci consuma crepa – emerge chiaramente come la socialità, proprio nel momento in cui viene inibita per cause di forza maggiore, si riveli un elemento ancora vitale della convivenza, nonostante l’avvento delle società anonime ad automatizzate di massa. Socialità sia in termini di quotidianità conviviale, vita comune, cultura, spazi di socializzazione, bisogni di attenzione; sia anche per quanto concerne la messa in comune di pratiche, saperi, conoscenza, parallelamente ad una difficile resistenza alla saturazione comunicativa: general intellect, per dirlo con una antica e felice espressione.

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I rami secchi del marxismo

La metafora utilizzata da Carlo Formenti e da Onofrio Romano in un dialogo serrato sulla “attualità” del marxismo non dà scampo: esiste una serie di dogmi del marxismo che urge archiviare. Sarebbe anzi un grave errore, piuttosto lontano dallo spirito marxiano, deificare o ingessare il pensiero dell’autore del Capitale, rendendolo di fatto inservibile per la critica (e l’eventuale trasformazione) del tempo presente. Poco utile anche l’antica distinzione marxiano/marxista: ciò che è di Marx e ciò che è dei suoi interpreti (che in ultima analisi ci condurrebbe in uno dei tanti circoli viziosi ermeneutici, molto utili a fare la rivoluzione, no?).
La metafora ha però un altro risvolto: la potatura di un albero rende possibile un suo ulteriore sviluppo e rigoglio. Nella fattispecie, trovo che avere sottolineato la carenza del politico (in favore di una provvidenziale necessità storica), la non-uscita dal paradigma antropologico orizzontale-individuale e l’insufficienza critica nei confronti della categoria di valore d’uso – siano i maggiori pregi di questo testo. Che provo a sintetizzare brevemente per punti. Continua a leggere “I rami secchi del marxismo”

Io penso esiste?

Gli scienziati cognitivi Sloman e Fernbach sostengono che l’intelligenza individuale sia sopravvalutata e che il modo migliore per imparare sia pensare insieme agli altri: “quello che succede tra le nostre orecchie è straordinario, ma dipende strettamente da ciò che accade altrove”. A ben pensarci, delle ovvietà.
Io, però, mi spingerei oltre, fino a sostenere che l’intelligenza individuale non esista proprio (e che forse non esiste nemmeno qualcosa come “un individuo”) – tesi radicale che però pone una domanda: quando dico “io penso che”, che cosa sto esattamente dicendo?

Sesta parola: reale

holobrain

1. Realitas è termine coniato nel Medioevo e costruito sul latino res, cosa. Lo si rinviene per la prima volta nel filosofo Duns Scoto che lo utilizza all’interno di una discussione molto tecnica a proposito del problema degli universali: l’idea astratta è reale (esiste da qualche parte) o è soltanto il nome (che dunque sta solo nella nostra testa) volto ad indicare una cosa concreta?
La domanda – che cosa è reale? – potrebbe sembrare oziosa, ma vedremo che non lo è affatto.
Siamo portati a pensare che tutti sappiano bene che cosa sia reale e che cosa no: le cose che vedo e che tocco, il cibo che ingurgito, le persone e gli animali domestici con cui vivo, il lavoro che faccio – tutto questo è senz’altro reale. Ma un nome, un’idea, un sogno, un software, un simbolo, un’immagine, un ippogrifo o un drago – sono reali o no?

2. Siamo soliti contrapporre ciò che è reale ad entità inesistenti, fittizie od immaginarie, ai sogni, a ciò che è soltanto prodotto dalla nostra mente – ovvero al lato soggettivo della conoscenza (anche se tutti questi termini richiamano, per opposizione, la propria esterna ed oggettiva alterità).
C’è un oggetto proprio perché c’è un soggetto: un lato viene dato insieme all’altro, io (soggetto) conosco o percepisco qualcosa (oggetto), e questo oggetto è sempre correlato con il mio modo di intenderlo.

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Rousseau è su Facebook! (e ci guarda)

Panopticon

Byung-Chul Han legge l’attuale società globale come pervasa dal mito della trasparenza.
Si attribuisce a questo termine, in genere, una caratteristica di positività: un potere trasparente, rapporti trasparenti tra le persone, maggiore trasparenza nell’agire pubblico dovrebbero in teoria giovare al buon funzionamento della società.
Salvo che, a ben vedere, La società della trasparenza (questo il titolo del suo recente saggio edito in Italia da nottetempo), proprio in quanto affetta da un eccesso di positività (tutto in evidenza, nulla in ombra, via ogni negativo) si trasforma in un dispositivo sociale quantomai oppressivo.
Han, com’è nel suo stile, abbozza molti argomenti senza approfondirli, esponendoceli in una serie di brevi capitoli per tesi e suggestioni. Sullo sfondo i concetti già esposti nel breve saggio La società della stanchezza (società della prestazione, iperpositività, autosfruttamento, ecc.).
Riprenderò qui alcuni riferimenti che potremmo definire “inquietanti” a proposito del concetto di trasparenza inteso come “far luce”, “illuminare”, “svelare”, significati tipici (se non archetipici) del pensiero filosofico da Platone in poi.
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