Il postulato della libertà

«La vera filosofia può cominciare solo con azioni libere; il primo postulato di ogni filosofia di operare liberamente su se stessa è tanto necessario quanto il primo postulato della geometria per cui si traccia una linea retta; e il filosofo non dovrebbe dimostrare la libertà più di quanto il geometra dimostra la linea».

(F.W.J. Schelling)

Appeso ai baffoni di Nietzsche

Oscilla talvolta il pensiero. Sì che mi vien da essere idealista con gli empiristi, comune con i costruttivisti. Fattuale con gli ermeneuti, mentale coi pragmatici.
Scettico con gli assolutisti, ontologico con gli scettici. Nominalista con i realisti, dogmatico con i cacadubbi.
Cammino sbattendomene come Pirrone sul ciglio dei precipizi, e sbeffeggio con Sesto Empirico i sapientoni che hanno in tasca la verità. Attendo al pozzo Talete che guarda in su, ma dal cielo scruto Anassimandro con segreta ammirazione.
Parmenideo con gli eraclitei, ed anche parricida.
Cristiano no, quello mai. Però, ogni tanto, m’assale l’angoscia kierkegaardiana, e temo e tremo, finché con piroetta dialettica mi riposiziono sulle hegeliane e roboanti figure dello spirito.
M’incazzo se passo da Treviri e poi vado a pascolare nell’heideggeriana foresta nera. Ma fuggo subito, perché c’è puzza di sterco nazista, e poi: perché mai gettar via l’esistenza?
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Potenza della filosofia

(Il buon vecchio Emilio Agazzi, un professore marxista che ebbi la fortuna di seguire per qualche anno all’Università Statale di Milano,  recitò una volta, durante una lezione, la filastrocca in voga ai suoi tempi di studente, e forse anche ai tempi di Aristotele: la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale).

Bisognerebbe preliminarmente intendersi sul concetto di potenza, piuttosto stratificato e ambiguo.
È potenza la passività di un ente o di una mente, nel farsi soggiogare da ciò che le è esterno.
È potenza questo esterno, somma di forze incontrollabili e sovrastanti – potenza della natura, si suol dire.
È potenza la dis-posizione dell’ente o della mente a mutare, a cambiare forma o contenuto. A diventare quell’altro-da-sé che è già in-sé. È potenza la possibilità – dynamis, divenire ciò che è possibile divenire.
Le facoltà e le virtù sono pura potentia – conatus esistenziale che si realizza in una data forma di vita.
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Potenza dell’idealismo

“La filosofia moderna è fondamentalmente l’accertamento del carattere soggettivo o mentale del mondo che ci sta davanti e in cui viviamo. Come senso comune, noi siamo persuasi della indipendenza e indifferenza del mondo rispetto a noi: noi siamo un minuscolo granello di sabbia, nell’immensità di questo universo, che ci trascende da ogni parte e che non ha bisogno di noi per esistere. L’essenziale è il mondo, noi e la nostra coscienza siamo l’accidentale.
Eppure, questa immensità di cose, in cui ci troviamo sperduti e inessenziali, questo gran mare di enti e di eventi, questa infinità di spazi e di tempi è ciò che noi pensiamo, è il contenuto del nostro atto pensante.”

(E. Severino, Istituzioni di filosofia)

Filosofia della contingenza – 2

[Chi non vuole sorbirsi le solite menate gnoseologiche e i soliti astrusi giri di parole del linguaggio filosofico, può saltare a piè pari questa prima parte e andar subito ai “fatti”, a partire dalla lettera a)].

Sono sempre stato sospettoso nei confronti della “tirannia dei fatti”, di quell’apologia cioè della realtà e del senso comune utile a smontare la pretenziosità filosofica; d’altra parte non ritengo nemmeno possibili teorie che non siano corroborate da fatti (o ragionamenti) e che ne dimostrino pubblicamente la validità. (Insomma: un colpo al cerchio ed uno alla botte!). Saremmo altrimenti nel territorio della fede o della credenza – dove esistono fatti miracolosi, o teorie da accettare a scatola chiusa.
Pur tuttavia, nessuna delle due tradizionali forme di riduzionismo gnoseologico mi ha mai convinto: né l’idealismo né l’empirismo, sia perché il primo finge di prescindere dai fatti (introducendoli spesso e volentieri in modo surrettizio), sia perché il secondo è pur sempre una teoria, che per di più non ha dietro di sé uno o più fatti inequivocabili. La malsana ed inveterata abitudine filosofica mi ha sempre portato a sospettare che dietro qualcosa ci sia qualcos’altro, che dietro un fatto (come dietro una teoria) ci possa essere rispettivamente una teoria (o un fatto), o magari qualcos’altro ancora: immaginazione, interessi, inconscio, ideologie non dichiarate – di nuovo, fedi o credenze. A maggior ragione occorre guardare all’intero e alle sue infinite correlazioni: un fatto non è mai isolabile da un contesto più generale, né una teoria da una sua base storica e contingente.
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La torta e la glassa. Note sulla natura umana

La cultura è una glassa, la biologia una torta
(C. Geertz)

Poiché negli ultimi tempi si sono generate lunghe discussioni – talvolta confuse per l’inevitabile sovrapporsi  ed accavallarsi dei temi – vorrei provare a fare il punto su quello che si sta manifestando come uno dei filoni più consistenti e persistenti del blog, e che lo ha caratterizzato fin dalla sua apertura: la questione della natura umana e del rapporto umano-naturale, con le loro inevitabili ricadute etico-politiche. Non vuole (né può) essere una sintesi esaustiva, né tantomeno la (mia) parola definitiva sull’argomento – anche perché nel quindicennio in cui me ne sono occupato c’è stato un divenire (non saprei dire se uno sviluppo o un “inviluppo”), ma certo un mutamento, delle mie opinioni in merito.
Sento l’esigenza però, onde evitare continui fraintendimenti (che pure ci saranno ugualmente), di chiarire per sommi capi il mio pensiero in proposito. E, insieme, di fornire alcune coordinate di base ai sopraggiungenti, o a coloro che vorranno partecipare alla discussione in un prossimo futuro.

1. Che siamo

L’inaggirabile orizzonte ontologico di ogni discussione resta la constatazione insieme logica ed empirica del nostro essere – o, per  meglio dire, del nostro essere in uno con l’essere. Siamo, e nel dirlo c’è l’autoevidenza assiomatica e non contraddicibile di quella particella verbale. Dico “siamo”, non “sono” non a caso: intendo così prendere le distanze da quella tradizione filosofica che trova la sua massima espressione nel cogito cartesiano, che tende insieme a  soggettivizzare la dimensione ontologica e ad espellerne l’elemento sociale, naturale, storico e biologico. Una prima presa di distanza dal riduzionismo, filosofico e scientifico che sia.

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L’IDEALISMO E IL LICEO GALILEI DI SIENA

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Qualche giorno fa Matteo, a nome di un gruppo di suoi compagni, ha commentato così un mio vecchio post su Hegel:

“Siamo cinque liceali,stiamo affrontando hegel durante il nostro ultimo anno prima della maturità.Prima di consegnarci la sintesi della prefazione della Fenomenologia in 13 punti, il nostro insegnante si è chiesto se non sarebbe il caso di eliminare l’idealismo da i programmi scolastici.Con questa cattiva coscienza ci ha comunque consegnato il foglio. Leggendo il primo intervento ci siamo resi conto che esiste sempre qualcuno che legge la Fenomenologia dello spirito. Ci siamo chiesti “perchè?” attendiamo risposte…Cordiali saluti,un residuo della classe quinta del liceo Galilei di Siena.

Ho già dato una risposta, che non è una risposta, ma ho comunque deciso di non farmi sfuggire l’occasione per tornare sull’argomento. Mi sembra che la questione meriti maggiore attenzione e non vada fatta cadere.
Premetto che d’istinto mi verrebbe da replicare a quei ragazzi, e al loro professore, che a rigore l’intera filosofia può essere considerata “idealismo”. Del resto cos’altro è se non il tentativo di astrarre dal mondo, guardarlo dall’alto di un acrobatico volo pindarico, e poi ridurlo in parole, teorie e concetti? Fare del caos un supposto (talvolta imposto) ordine. Cos’è, questo, se non “idealismo”? Naturalmente non mi riferisco qui a nessuna corrente filosofica in particolare, intendo solo dire che è l’attività filosofica in se stessa, costitutivamente, ad essere idealistica. E dunque: strampalata, campata in aria, del tutto inutile, se proprio vogliamo.
Fatta questa premessa, vorrei però articolare meglio il discorso, provando a delineare tre possibili risposte alla vera domanda sottesa a tutta la questione – e cioè ha senso oggi occuparsi di filosofia? Fornirò, nell’ordine, una traccia di risposta teoretica, una etico-politica e, infine, una biografica.

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