
Qualche giorno fa Matteo, a nome di un gruppo di suoi compagni, ha commentato così un mio vecchio post su Hegel:
“Siamo cinque liceali,stiamo affrontando hegel durante il nostro ultimo anno prima della maturità.Prima di consegnarci la sintesi della prefazione della Fenomenologia in 13 punti, il nostro insegnante si è chiesto se non sarebbe il caso di eliminare l’idealismo da i programmi scolastici.Con questa cattiva coscienza ci ha comunque consegnato il foglio. Leggendo il primo intervento ci siamo resi conto che esiste sempre qualcuno che legge la Fenomenologia dello spirito. Ci siamo chiesti “perchè?” attendiamo risposte…Cordiali saluti,un residuo della classe quinta del liceo Galilei di Siena.
Ho già dato una risposta, che non è una risposta, ma ho comunque deciso di non farmi sfuggire l’occasione per tornare sull’argomento. Mi sembra che la questione meriti maggiore attenzione e non vada fatta cadere.
Premetto che d’istinto mi verrebbe da replicare a quei ragazzi, e al loro professore, che a rigore l’intera filosofia può essere considerata “idealismo”. Del resto cos’altro è se non il tentativo di astrarre dal mondo, guardarlo dall’alto di un acrobatico volo pindarico, e poi ridurlo in parole, teorie e concetti? Fare del caos un supposto (talvolta imposto) ordine. Cos’è, questo, se non “idealismo”? Naturalmente non mi riferisco qui a nessuna corrente filosofica in particolare, intendo solo dire che è l’attività filosofica in se stessa, costitutivamente, ad essere idealistica. E dunque: strampalata, campata in aria, del tutto inutile, se proprio vogliamo.
Fatta questa premessa, vorrei però articolare meglio il discorso, provando a delineare tre possibili risposte alla vera domanda sottesa a tutta la questione – e cioè ha senso oggi occuparsi di filosofia? Fornirò, nell’ordine, una traccia di risposta teoretica, una etico-politica e, infine, una biografica.
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