Essendo precipitati in un tempo e in uno spazio ignoti, contrassegnati dall’invisibilità del “nemico”, si moltiplicano le metafore utilizzate dalla nuova santa alleanza politico-medica, sia per descrivere quel che accade sia per ordinare quel che dovrà accadere. Com’è noto, la retorica prevalente è quella militare, che avrà ricadute sociali pesanti. Si insinuano poi nei linguaggi dei virologi e dei politici altre metafore volte a costruire gli scenari futuri (le famose fasi 2 e 3): una ricorrente è la “patente di immunità” – anche se uno scienziato italiano qualche sera fa ha specificato che sarebbe meglio parlare di “foglio rosa”.
Queste immagini, che hanno l’apparente funzione di deviare o alleggerire l’asfissiante stato di emergenza, prefigurano in realtà pericolosi esiti di ingegneria sociale e di governo biopolitico della società. Intendiamoci: una società di massa è organizzata a priori per essere addomesticata, immunizzata e biotecnologizzata, e lo è ontologicamente, ovvero o si dà con quelle condizioni o non si dà. Le alternative sono comunque al di fuori dell’imperante logica hobbesiana dello stato (ovvero del decisore ultimo delle vite individuali nel nome di un interesse superiore di potenza collettiva). E al momento queste alternative – anche solo immaginate – sono ridotte pressoché a zero.
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Iperbole
Inoculare sacri terrori nel corpo sociale – che è ormai un irriconoscibile corpaccione – è l’imperativo categorico di ogni potere. Lo è da sempre, si sa. Senonché non serve più che tale orrorifica istillazione avvenga secondo un piano preordinato e verticale. Il corpaccione di cui sopra se lo produce e se lo inocula da sé, volontariamente ed orizzontalmente, senza che alcun medico luminare glielo ordini. Dosi sempre più massicce di paure sempre più impalpabili e spesso posticce. Allo scopo anything goes: lo spread o i Maya, il gelo siberiano o la crisi finanziaria, il nucleare iraniano o una qualche influenza con una qualche misteriosa sigla, nonché gli immancabili untori e barbari, capri espiatori dalla pelle un po’ più scura, provenienti di solito da sud o da est – meglio ancora una pozione magica ottenuta mescolando tutti questi ingredienti a casaccio. Magari da iniettare subito in rete, da far circolare capillarmente e da interiorizzare per bene, ganglio dopo ganglio, creando l’illusione che tutto si sia fatto da sé. E d’altra parte è vero che si è fatto da sé. Autorealizzazione di paure autoindotte.
Si ottiene inoltre il risultato di innalzare di un altro grado la soglia immunitaria, dimenticando che vaccinarsi contro ogni cosa comporta il rischio di vaccinarsi contro la vita stessa e il suo fluire – in definitiva contro se stessi. Come succede con le malattie autoimmuni.
Se qualcuno pensa che ci possa essere una cura per l’iperbole sociale che ho provato a descrivere servendomi di un’iperbole linguistica (o, se si preferisce, di una serie di biometafore, peraltro prodotti sociali a loro volta) – la risposta è no. E ne dubito perché siamo ormai al capezzale del paziente; e significherebbe inoculare l’ennesima sostanza in un corpo esausto – un vero e proprio accanimento terapeutico con avvitamento ipertossico. Meglio forse far fuori il corpaccione e sbarazzarsi del cadavere; aspettare che marcisca e magari provare a usarlo come concime nell’attesa che cresca qualcos’altro.
Oppure uscire addirittura dalla metafora. Fuor di metafora, come si suol dire.
Retropensieri
Esiste un nazismo linguistico, prima ancora di una generica violenza verbale, una mentalità cioè ben installata nella testa e nel retropensiero che informa gesti, azioni, parole.
Del discorso lampedusano di Berlusconi di ieri non mi ha colpito il qualunquismo (nel senso del Cetto di Antonio Albanese, per sua stessa ammissione ampiamente superato dalla realtà), ma quel nazismo inconscio e però costitutivo.
Quando ho sentito dire che l’isola di Lampedusa doveva essere “liberata”, “svuotata”, “ripulita”, il mio pensiero è corso inevitabilmente al motto “Pulizia e salute” che stava alle porte di Mauthausen. Non è l’Italietta cialtrona di Cetto Laqualunque, ma quel riferimento igienico-immunitario a mettere davvero i brividi: esso rivela il retropensiero nazista del berlusconismo, con quella sua caduta tipica di ogni diaframma tra linguaggio politico e linguaggio biologico (in verità, con la caduta di ogni diaframma tra ragione e istinto).
Immunitarismo confermato, se anche ce ne fosse bisogno, da quel teatrale “sono anch’io lampedusano” – e gli altri, come icasticamente detto da Bossi, “föra di ball”: non è un caso che nel nazileghismo Berlusconi abbia trovato il perfetto alleato ideologico, oltre che pratico-politico. Salvo però essere lampedusano e “comunitario” a modo suo: con una casa (magari abusiva) da qualche milione di euro!
E poi, una volta ripulita l’isola, ci si può anche fare un bel campo da golf (e chissà, magari – ma solo in seconda battuta – persino una scuola…).
Trilogia del lato oscuro – 1. L’ossessione
Io contengo moltitudini
(W. Whitman)
Ci immergeremo nelle tenebre. Con la speranza di uscirne. E il solo modo per farlo è di tenere ben dritta la barra della ragione, in quello che si annuncia come un attraversamento della parte oscura dell’umano – che non è soltanto di alcuni singoli, ma di tutta la specie, una vera e propria modalità del suo essere.
L’orrore di cui parlava Adriana Cavarero in un suo libro, dev’essere scandagliato per intero là dove si trova, sul volto agghiacciato e agghiacciante di Medusa, senza tema di scoprire un frammento di sé in quella bocca spalancata e su quegli occhi torti.
Cominceremo, oggi che è giornata di memoria, dall’ossessione identitaria, e proveremo, in poche (insufficienti) righe e mosse, a schizzarne genesi e fenomenologia. Nientemeno!
1. Ossessione per l’identità, identità ossessionata: non si vive senza identità, ma le ossessioni che (spesso) la attraversano ci portano a battere selve e sentieri oscuri. Eppure tanto l’una quanto le altre sembrano essere dei dispositivi biologici innati. L’io si forma sull’ovvio ed istintivo principio della conservazione di sé, una volta che si è nati; mentre le ossessioni sono i riflessi psicologici e sociali dell’ancestrale paura dell’alterità. Ma è proprio da questo intrico bioantropologico che provengono i problemi.
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