Filosofia della leggerezza

magritte

Colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini,
avrà spostato tutte le pietre di confine;
esse tutte voleranno in aria per lui,
ed egli darà un nuovo nome alla terra, battezzandola
– “la leggera”.
(F. Nietzsche)

PRIMA PARTE – IL PENSIERO DELLA LEGGEREZZA

«Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite».

Italo Calvino scrive queste parole durante l’estate del 1985, poco prima di morire – parole che si possono ritenere un lascito, un vero e proprio testamento culturale.
Si trovano nella prima delle sei Lezioni americane, quella dedicata alla “Leggerezza”, e ritengo possano ispirare il discorso che vorrei articolare a proposito del passaggio (o se si preferisce della dialettica) tra gravità e leggerezza. Calvino sembra qui alludere ad una visione millenarista, uno snodo epocale, augurandosi che la ruggine materiale e spirituale del Novecento venga abbandonata al suo destino, e auspicando un salto nella dimensione di una categoria – la leggerezza – che va meglio chiarita.

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Il biopunto in 11 punti: il virus come iper-oggetto

[Sommario: Il peso dell’incompreso – La forma del virus – Iperoggetti – Le tesi biopolitiche di Foucault – Masse biologiche e masse psichiche – Corpi sani, corpi potenziati – Homme-machine – Riduzionismo: ta stoicheia – Limite, Hybris, Aidos – Meccanizzazione  e addomesticamento – Pesantezza della tecnica – Bioetica ristretta e Bioetica generale – In bilico]

1. Non avrei voluto scrivere più nulla sul virus e sulla pandemia, almeno per qualche tempo, dato che già lo sento come un peso che grava quotidianamente, ma l’impulso a riflettere, pensare, scrivere, e così facendo liberarsi dei pesi dell’incompreso (o almeno provarci) non è controllabile, viene e basta, e occorre obbedirgli. E poi il primo anniversario poteva anche essere un’occasione buona per fare il punto sulla situazione. Cosa che risulta non meno problematica oggi di un anno fa, quando marciavamo verso l’ignoto, mentre ora ci viene detto che si sta per uscire dal tunnel e che l’immunizzazione arrecata dai vaccini sarà la luce che ci salverà.
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“Cammino su forme di vita”

«Faccio partire il motore della mia auto: ossa liquefatte di dinosauro vanno in fiamme. Mi inerpico su un calanco: miliardi di creature sottomarine polverizzate si depositano sulle mie scarpe. Respiro: l’inquinamento batterico di qualche cataclisma archeano mi riempie gli alveoli (lo chiamiamo ossigeno). Scrivo questa frase: i mitocondri, batteri anaerobici che si nascondono nelle mie cellule dai tempi del Grande Evento Ossidativo, sono la mia fonte di energia, hanno un loro DNA. Pianto un chiodo nel muro: i batteri hanno depositato ferro nella crosta terrestre sotto forma di solidi strati di minerali. Accendo la televisione e sento che ha nevicato: in un mucchietto di neve c’è la traccia della radiazione cosmica lasciata dal Big Bang. Cammino su forme di vita: l’ossigeno nei nostri polmoni è il prodotto del degassaggio di batteri… Gli iperoggetti si allungano nel tempo fino a raggiungere un’estensione così vasta che diventano quasi impossibili da cogliere concettualmente».

Questo inglobamento viscoso in dimensioni oggettive che ci sovrastano, secondo la categoria ontologica di “iperoggetto” proposta da Timothy Morton, inquieta e ad un tempo affascina: ci ostiniamo a rappresentarci come definiti da un contorno, figure con linee nette, mentre invece siamo piuttosto un flusso di fenomeni talvolta indecifrabili, la compenetrazione di forme di vita antiche ed ignote. Pare quasi che la coscienza sia un tentativo di reggere (o di dimenticare) il peso dell’abisso sul quale sporgiamo. Fermare il flusso nel disegno di una figura.