Non so se sia frutto dell’educazione popolana impartitami dai miei genitori, o dalla frequentazione assidua di amici anticonformisti e sessantottardi, o da quella ancora più assidua con i filosofi – ma annuso l’ipocrisia a un miglio di distanza. Mi sbaglierò, ma la social-indignazione che da qualche tempo imperversa nel paese dove vivo e lavoro (similmente ad altri), a causa della piaga dello spaccio di droga, puzza di ipocrisia.
Sgombro subito il campo chiarendo che: non mi piacciono le sostanze, specie se se ne diventa dipendenti (l’unica Sostanza con la maiuscola che amo è quella di Spinoza), anche se so bene che ciascun umano, nessuno escluso, fa uso di una qualche sostanza (con la minuscola) per lenire il dolore di vivere – e vale tutto, dalle droghe psichedeliche pesanti agli psicofarmaci alla ludopatia alla dipendenza dai videogiochi al cioccolato alla cannetta della buonanotte alle sigarette ai socialnetwork all’infinita varietà di alcolici e misture derivate (che, fino a prova contraria, fanno ancora il maggior numero di morti).
Né tantomeno mi sfugge il problema che questa pletora di sostanze implica, quando impatta sulle menti fragili degli adolescenti – che, però, devono gestirsi la droga più pesante di tutte, ovvero quella di essere al mondo (daccapo: la sostanza di Spinoza).
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Tag: ipocrisia
Il quadrato vuoto
The Square è un film straniante, inquietante, spaesante – ma anche divertente. Pieno di cortocircuiti visivi che rimandano ai cortocircuiti sociali. Di scale viste dall’alto. Di flussi di umani inebetiti dai loro specchi digitali. Di mendicanti che contrastano con le vetrine luccicanti del Nord Europa. Di opere d’arte cervellotiche e sgradevoli – poiché sgradevole è la casta che vorrebbero scuotere.
Tanta roba in questa opera dello svedese Ruben Östlund (che già aveva diretto il notevole e perturbante Forza maggiore), a partire dall’idea cui rinvia il titolo: un’installazione artistica ritagliata sulla pavimentazione esterna al museo (l’ex palazzo reale), che racchiude un recinto sacro nel quale tutti sono uguali, sia nei diritti che nei doveri. Evidentemente lo sono solo lì. Ma siccome è l’epoca scioccante-virale, per lanciare la cosa a livello pubblicitario e mediatico, viene diffuso un video nel quale una bambina mendicante (per di più bionda, altro cortocircuito visivo) salta per aria proprio dentro il santuario-quadrato – causando reazioni scandalizzate di sdegno. (Peccato che questo sdegno non si manifesta mai quando le folle, imbambolate dai loro metafoni, sommergono i questuanti fuori dei bar o sulle scale delle metropolitane).
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Metafisica dello smartphone
Adoro i film che mettono in scena cene o tavole spiazzanti (da Festen a Fanny e Alexander, dal Fascino discreto della borghesia alla Grande abbuffata) – proprio perché si tratta del luogo più familiare che invece diventa il più perturbante, e spesso più atto a far emergere scomode verità.
Ecco perché inseguivo da tempo Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, che ho finalmente visto nel miglior contesto possibile, ovvero all’interno dell’autorevolissimo e storico cineforum di Legnano, con inevitabile dibattito finale.
E in effetti è un film che si presta molto alla discussione, ma che occorrerebbe rivedere più volte per coglierne i molteplici aspetti – non solo dovuti alla perfezione della sceneggiatura, alla bravura superlativa degli attori, ma soprattutto al concorso di temi scottanti e di grande “attualità” (parola che non mi è mai chiaro, però, che cosa designi di preciso). Al punto che la citazione del Sorpasso di Risi da parte del relatore, mi ha suggerito l’idea che – esattamente come quel film lo fu per gli anni ’60, gli anni del boom economico – questo film potrebbe essere rappresentativo della nostra epoca, quale commedia amarissima della malata società italiana in particolare, ma tendenzialmente di quella globale (lo conferma il fatto che verrà distribuito in oltre 30 paesi, compreso un inconsueto remake del cinema americano).
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Berluskocrate
Leggo e ascolto in questi giorni – anche se distrattamente – analisi varie sulla resistenza ad indignarsi da parte degli italiani a proposito del loro amorale presidente del consiglio. A parte l’antico familismo altrettanto amorale di tanta parte del belpaese (insieme a un bel po’ di ipocrisia gesuitico-papista), mi è inavvertitamente passata per la testa una iperbolica ed irriverente spiegazione di tale deprecabile italico immobilismo.
Sentite un po’ qua: in realtà gli italiani nella stragrande maggioranza non s’indignano, poiché riconoscono nel loro attuale ducetto (come già nel precedente) un immorale ed anarcoindividualista novello Socrate. Tesi strampalata, direte voi. Eppure, provate a cimentarvi in qualche paragone…
A Socrate piacevano i “giovinetti”. A Berlusconi pure (vabbé, “giovinette”, ma sempre di carne fresca si tratta).
Socrate partecipava molto volentieri ai simposi. Anche il festaiolo Berlusconi non ne perde uno.
Socrate venne accusato di avere corrotto i giovani ateniesi. Berlusconi ha fatto molto di più: ha corrotto un intero paese.
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Sputiamo sui farisei!
“Quindi si deve rendere infelice l’uomo” – questa è stata in ogni tempo la logica del prete.
(F. Nietzsche, L’Anticristo)
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Ma se qualcuno scandalizzasse uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da asino
e venisse sommerso nel fondo del mare.
(Matteo 18,6)
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Mi viene il voltastomaco, fisico prima ancora che mentale, ogni volta che leggo qualche dichiarazione di un alto prelato a proposito di pedofilia, omosessualità, eros, corpi, “perversioni” e sessualità in genere. Sono come delle tossine che mi entrano in circolo e che poi devo in qualche modo smaltire. Evidentemente non ho ancora raggiunto la beatitudine stoica e la libertà dalle passioni. E dunque m’incazzo, divento furente, e vorrei solo espellere e vomitare il veleno prodotto in me da quei batteri tossici (se sapessi farlo sputerei anche fisicamente su tutti i sepolcri imbiancati in circolazione, ma non ho questa graziosa abitudine) – prima ancora che ragionare e discettare, non certo con quei figuri, visto che di solito si ergono su altissimi piedistalli (ben poco cristiani) che prima o poi crolleranno rovinosamente.
Da ex-cristiano scristianizzato (senza però la garanzia del 100%), un po’ mi dispiace per i cristiani-cristiani, quelli che ci credono davvero, che si impegnano nel volontariato, che accolgono gli immigrati, che coltivano l’amore del prossimo, eccetera eccetera. Però, se quanto prima non si liberano dell’ondata di ipocrisia che li sommerge (ormai un diluvio universale, in caduta libera dall’alto dei cieli vaticani), la loro bella triade fede-carità-speranza verrà inesorabilmente risucchiata, come in un buco nero, dall’imminente (ed auspicabile) crollo della disgustosa gerarchia ecclesiastica.
Ipocrisia analcolica
A parte il forte odore di Stato etico (ma forse ha ragione il vecchio prussiano, in qualche misura lo stato non può non esserlo) – ciò che trovo davvero incredibile è che una classe politica dove è di casa l’ipocrisia, la doppia se non tripla morale, il fanatismo e il razzismo (questi però esibiti), l’apparenza e l’amore smodato per il denaro e il potere, il tutto condito da sniffate di bamba, festini e lupanari – si senta legittimata ad impartire lezioni di moralità a giovani e adolescenti. La paideia è cosa troppo seria per lasciarla nelle mani di lorsignori!