Tutto è forma, la forma è tutto

Vassily_Kandinsky,_1939_-_Composition_10

(inevitabilmente, dedico questo piccolo post
a quel grande creatore di forme che è stato David Bowie
– fino a fare di se stesso una perenne metamorfosi)

Vorrei saper scrivere un libro – una sorta di fenomenologia delle forme – che abbia la medesima mole, vastità di sguardo e profondità di Massa e potere di Canetti.
Credo di avere sempre avuto una grande predilezione per le forme. Si dirà che è ovvio, che non c’è umano che non ami le forme, che è grazie all’attrazione per le forme che ci si innamora, che si fanno esperienze estetiche, che si producono oggetti, che si costruiscono case, e così via.
Non vi è dubbio, ma l’amore intellettuale e sistematico per le forme – che pure possiedo solo in potenza e che invece vorrei saper esercitare in dettaglio, profondità e grande stile – richiede un salto di qualità ulteriore. Richiede una concentrazione intellettuale, una potenza dello sguardo e della capacità di osservazione che solo i grandi artisti e i grandi naturalisti possiedono.
[Tra l’altro, en passant: forme biologiche e forme estetiche, natura e arte, i due organismi essenziali della produzione idealistica secondo la filosofia di Schelling, un pensatore piuttosto dimenticato, e messo in ombra dall’hegelismo, che forse sarebbe il caso di riesumare].
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Ottavo (ed ultimo) lunedì: arte e bellezza oltre le scissioni

Partirò per la mia analisi da una delle scissioni fondative (probabilmente la madre di tutte le scissioni) della natura umana, cioè del nostro modo di concepire il mondo e noi stessi: l’opposizione con l’animalità.
Sta proprio qui – nell’opposizione originaria con l’animale, se si vuole il corpo stesso della nostra base biologica – il fondamento di tutta la nostra produzione culturale, spirituale, e dunque artistica ed estetica.
La mia tesi è che la maledizione della scissione – il vivere sempre come decentrati, in altro, al di là e fuori di noi stessi, come straniati – rechi con sé tanto il frutto velenoso dell’alienazione, dell’insoddisfazione, della noia e dell’angoscia, del desiderio mai sopito e realizzato (il nostro essere incompleti, mancanti, la nostra non accettazione della finitezza e della mortalità), quanto il sogno della bellezza e della perfezione.

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Kandinsky a Burgess Shale

ammasso-regolatoAzzurro-Cielo-Vassily-Kandinsky

Trovo meraviglioso che un artista cacciato dai nazisti (i quali cancellarono in un sol colpo quell’esperienza creativa e straordinaria che era stata il Bauhaus), le cui opere vennero esposte in Germania come arte degenerata, e che sarebbe poi morto a Parigi senza vedere la fine della guerra, negli ultimi anni abbia avuto l’impulso e la forza di creare nuove forme di vita – rispondendo così con l’arte e la bellezza alle pulsioni di morte di cui la vecchia Europa era preda.
Proprio nel 1938 Vasilij Kandinsky dipinse Ammasso regolato (in altri testi l’ho trovato titolato con Insieme multicolore) e nel 1940 il suo quadro forse più metafisico Blu di cielo (o Azzurro cielo), che appare una sorta di celebrazione della vita pullulante, variegata e rigogliosa di Burgess Shale – un biomorfismo ed una geometria vitale senza eguali nell’arte del Novecento: «In questo modo l’arte astratta pone accanto al mondo reale un nuovo mondo che esteriormente non ha nulla a che fare con la realtà»; Kandinsky osserva le cose con uno sguardo interiore che penetra attraverso «il duro involucro, la forma esteriore e giunge all’interno della cosa, facendoci percepire il suo pulsare interno con tutti i nostri sensi».
Se è vero che quanto più si crea tanto più si è liberi, allora Kandinsky è stato davvero un uomo libero.

Psicosofie estive – 7. Repetita iuvant

alcuni_cerchi_kandinsky

Già una volta mi ero meritato le lucciole.
Però non credevo che una cosa del genere si sarebbe potuta ripetere.
Certo, non è mai la stessa cosa. Trattasi degli ossessionanti indiscernibili leibniziani: perché mai dovrebbero esistere due cose identiche?
E di fatti: niente lucciole, tre anni di più, una maggiore stanchezza che grava sulle membra accaldate e sprofondate nella sedia a sdraio, qui sul balcone. Il crepuscolo promettente in arrivo non è sufficiente a farmi muovere.
Poi succede che… quel refolo d’aria fresca… quella striscia rosata di una certa nuvola… quel battito d’ali delle mie due amiche nottole… insomma, un concorso di banali concause, ed ecco che, come un automa, mi trovo catapultato sul solito viottolo di campagna, al limitar del bosco.
Se non altro, è fresco. Lo percorro mentre la luce si disfa e le tenebre faticano a prenderne il posto.
Decido che è meglio tornare, sto già crollando, e poi domattina… d’un tratto la vedo: ma quella? possibile che lei sia lì per me? quella forma, quella rotondità (invero smussata, anzi smangiata), quel suo sporgere inaspettata dalle robinie nerastre, quel colore inaudito: una lampada accesa sulla linea dell’orizzonte…
E così i pensieri si accendono dello stesso colore; la frase, scurrile, che si presenta è «ma che cazzo di dèi adorano gli umani, se io sono l’unico inginocchiato qui, su questo sentiero polveroso?».
E allora decido di farlo: ma non è un ululato, è un urlo che mi squassa il petto, e che spero squassi anche l’aria e la distanza che corre tra me e lei. Lei che, ne son sempre più certo, stava lì ad aspettarmi. Con quella faccia rosarancio mai vista, là dietro l’intrico dei rami e i profili scuri dei vegetali dai quali vorrebbe liberarsi. E sopra i quali, tra poco, sorgerà.
Mi spolvero le ginocchia e mi sovviene un ultimo pensiero: però qualcuno degli amici e delle amiche, qualcuno tra i viventi o tra gli essenti di questo pianeta, una qualunque anima sperduta come la mia, l’avrà pur notata, e come me si sarà inginocchiato ad adorarla e magari le avrà pure urlato qualcosa, o si sarà limitato ad accarezzarla, o a sognarla o… o a immaginarne forma e colore, come Kandinsky.
Lui, la luna e quei cerchi.
Segni e graffi, sulla tela nera ed immensa di questa notte muta e senza stelle.