Leibniz passa per un filosofo algido e calcolatore, oltre che cortigiano. Insomma, pur essendo stato un grande pensatore, di solito non ispira molta simpatia.
Eppure capita di leggere nei suoi scritti perle come le seguenti: «Amare… ossia aver caro è provar piacere della felicità di un altro, ovvero, che è lo stesso, accogliere nella propria la felicità altrui»; «Il bene altrui potrà infatti essere il nostro, ma come mezzo, non come fine. Io rispondo però: anche come fine, anche come ricercato di per sé, quando è portatore di gioia. Infatti tutto ciò che dà gioia viene cercato di per sé e tutto ciò che viene cercato di per sé dà gioia».
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Non si poteva dir meglio del concetto di amore
mercoledì 5 novembre 2014L’aperto
venerdì 27 giugno 2014(La poesia di Rilke di cui pubblico qui sotto un ampio stralcio – la celebre ottava delle Elegie duinesi, che tanto ha mosso a riflessione i filosofi da Heidegger, seppure per opposizione, ad Agamben – è di per sé un piccolo ma densissimo saggio filosofico-antropologico come pochi altri. Mi sono limitato a trascriverne i passaggi e gli snodi essenziali, senza commentare, facendo semplicemente risuonare la parola del poeta, che qui non è affatto allusiva, ma anzi direi asseverativa. Quel che però ho cercato a lungo era un’immagine, un quadro, un simbolo, una qualche rappresentazione figurativa che corrispondesse a quella densità di pensiero e… alla fine mi sono arreso, era impossibile restituire un testo così attraverso un’unica immagine. Ho allora scelto il verso che trovo più angoscioso – Quanto è sgomento chi deve volare e proviene da un grembo – e l’ho legato al celebre quadro di Klimt che, a dispetto del titolo, evoca inquietudine se non addirittura orrore).
Amor…
lunedì 11 novembre 2013Lasciare che sia la contingenza
di corpi e menti e spiriti che incocciano
a decidere lì per lì
– forse la cosa più bella che ci si possa attendere dalla vita
o quella più vitale che possa venire dalla bellezza
o che la vita possa aspettarsi da se stessa.
Non tanto l’esito dell’incontro
quanto l’incontro in sé, la sua pura idea
– la relazione in sé.
Non la prosa dell’accoppiamento
ma la poesia dell’attesa,
non l’atto che si consuma
ma la potenza che si strugge.
L’assenza, non la presenza.
L’amare, non l’essere amati
– quasi un amore senza s-oggetti.
L’estro dell’essere, prima che qualcosa sia.
Il bacio spinozista di LudovicoVan
martedì 1 gennaio 2013Oltre ai leggiadri valzer viennesi, per cominciare bene l’anno consiglio sempre l’ascolto della Nona sinfonia di Beethoven – in particolare di quel vertice musicale che è l’Inno alla gioia. All’Auditorium di Milano la sua esecuzione è consuetudine da molti anni – con più repliche a ridosso del vecchio e del nuovo anno, a mo’ di circolare auspicio di buona fine e buon principio – e io ci vado tutte le volte che posso. Quest’anno ho partecipato al rito come se fosse la prima volta, incantato più che mai dalla prima all’ultima nota, e percorso a più riprese da brividi che ho identificato come innocui spinococchi.
E del resto la poesia di Schiller An die Freude è una vera e propria ode spinoziana alla vita:
Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
vanno i buoni e i malvagi
sul sentiero suo di rose!
…
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
…
Gioia si chiama la forte molla
che sta nella natura eterna.
Gioia, gioia aziona le ruote
nel grande meccanismo del mondo.
Insomma, un tripudio di perfezione ontologica percorre tutti i modi della sostanza, e ogni essere ed ogni vivente ne partecipa. Amicizia e amore e fraternità e bellezza e con-essere e profonda correlazione la fanno da padroni – peccato solo per quella nota stonata ed ombrosa: