Ho finalmente visto l’ultimo film di Terrence Malick, La vita nascosta (A Hidden Life). Non esito a definirlo, insieme a La sottile linea rossa e a The Tree of Life, tra i capolavori della cinematografia del XXI secolo.
Sono due le parole che utilizzerei come filo conduttore: turbamento (ciò che provoca in noi spettatori), forza (il motore segreto che muove i protagonisti).
Il film si ispira alla vicenda di Franz Jägerstätter, contadino austriaco che dopo l’Anschluss (per la quale fu l’unico del suo villaggio a votare no), decide di obiettare al servizio militare e di opporsi al regime nazista, fino ad essere ghigliottinato a Berlino il 9 agosto 1943.
La sua scelta è radicale, ispirata dalla fede (che condivide fortemente con la moglie Franziska), e che non cede alle pressioni sociali, né all’ostracismo della comunità e nemmeno alle mediazioni ecclesiastiche. Di fronte a quello che riconosce come il male assoluto, Franz è intransigente e sceglie il martirio (verrà poi beatificato nel 2007).
Ora, di fronte ad una vicenda così drammatica e complessa, Malick non si sottrae e investe tutte le sue energie, il suo inconfondibile stile cinematografico, lo scavo interiore espresso dalla voce fuori campo, il linguaggio dei volti e dei corpi, l’estetica dell’immersione naturalistica, il suo profondo antimilitarismo e amore per la vita – al fine di costruire un’intensa rappresentazione insieme visiva e filosofica, per parlarci della responsabilità di fronte a cui ogni umano sempre si trova quando deve scegliere tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso.
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Stupefazione
Qualche sera fa ho partecipato volentieri alla visione e poi alla discussione di To the wonder, film di Terrence Malick del 2012, giustamente inserito nel programma del cineforum a cui da anni sono iscritto. Un film piuttosto tipico dello stile di questo regista atipico, e contiguo alla forma e alle tematiche di The tree of life, cui inevitabilmente va accostato.
Una buona metà delle persone presenti in sala, nell’alzarsi al termine hanno espresso insieme sollievo e disagio: che Malick fosse un regista difficile dovevano pur saperlo, gli spettatori presenti, tra i quali ho sentito più d’uno parlare esplicitamente di “noia”. Il conduttore del dibattito – un decano del cineforum – ha lanciato, come sempre, le sue provocazioni, sia a chi stava uscendo (vorrei sapere cosa ne pensate, soprattutto voi che state uscendo), sia poi ai pochi rimasti in sala. Il buon Celeste si è prodigato nel difendere l’estetica e le legittime intenzioni del regista, che ha scelto uno stile cinematografico spigoloso e ben poco amabile o ammiccante: del resto siamo al cineforum, e non ad uno dei tanti multisale e parchi-divertimento.
Ciò non toglie che, al di là del giudizio sulla riuscita o meno (certo meno di altri) del film in discussione, occorra nel caso di Malick farsi preliminarmente una domanda secca (che è poi quella che ho posto nel corso del dibattito): è possibile trasporre in forma cinematografica dei concetti filosofici?
Tris cinefilosofico – 3. L’ontologia di Malick
Il problema di The Tree of Life, forse il più importante film di Terrence Malick, è che siamo al limite dell’incommentabilità, tanto è ricolmo di cose, di concetti, di suggestioni (oltre che di visioni), sia in termini strettamente estetici (citazioni letterarie e pittoriche, prestiti cinematografici, uso della musica, ecc.) che filosofici. E ciò nonostante (o proprio grazie alla) scarna essenzialità della trama. Trama è detto qui in senso apicale, non banale – poiché di tessitura del cosmo si tratta, e del rapporto tra micro e macrocosmo. Una trama che nel nostro caso si appalesa nel destino di una delle tante famiglie dell’umana avventura (con annessi conflitti e tragedie secondo schemi classici: il padre e la madre, la physis e il nòmos, l’amore e l’odio, il conflitto verticale ed orizzontale, la morte), vicende ricorrenti che a sua volta intramano il mondo, e di cui in verità il mondo (l’essere) ben poco si cura.
Ed è proprio da qui che forse si deve partire, dalla domanda metafisica essenziale (altrimenti non si capisce perché dedicare mezz’ora di film alla cosmologia e alla paleontologia, confezionate ovviamente con immagini di straordinaria poeticità): che relazione c’è fra le trame degli umani e le trame ontologiche?
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