La nazione delle piante (l’unica che mi piace)

art. 1 – La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente

art. 2 – La Nazione delle Piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono

art. 3 – La Nazione delle Piante non riconosce le gerarchie animali, fondate su centri di comando e funzioni concentrate, e favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate

art. 4 – La Nazione delle Piante rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni

art. 5 – La Nazione delle Piante garantisce il diritto all’acqua, al suolo e all’atmosfera puliti

art. 6 – Il consumo di qualsiasi risorsa non ricostituibile per le generazioni future dei viventi è vietato

art. 7 – La Nazione delle piante non ha confini. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi, vivervi senza alcuna limitazione

art. 8 – La Nazione delle Piante riconosce e favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi come strumento di convivenza e di progresso

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Lo scienziato e neurobiologo vegetale Stefano Mancuso ha scritto una vera e propria carta dei diritti dei viventi dal punto di vista delle piante – e poco importa che si tratti comunque di una visione antropocentrica, noi umani ci siamo messi al centro e noi umani dobbiamo risolvere il problema (magari togliendoci dal centro).

Eigentlichkeit

Recensisco volentieri questo breve saggio di Vito Mancuso per almeno due ragioni: la prima è che affronta molti dei temi quotidianamente discussi su questo blog; la seconda è che non potevo lasciarmi scappare l’occasione di misurarmi con il fronte teologico – per quanto si tratti di una posizione aperta e, direi, illuminata, del campo cristiano, oggi minoritaria visto lo spazio occupato dalle posizioni reazionarie ed oscurantiste del Vaticano.

La prima domanda (da far tremare i polsi) che Mancuso si fa è: che cos’è la vita? – deviata ben presto sul binario del senso (e dunque dello sguardo antropocentrico su di essa). Tanto nella tradizione teologica o biblica quanto in quella filosofica si giunge inevitabilmente a delle antinomie, poiché sia la risposta “la vita ha senso” sia la contraria “la vita non ha senso” sono entrambe fondate. L’autore fa una scelta di campo (il senso), tenendo comunque d’occhio quel che succede nell’altro campo (questo è il suo pregio principale, credo), e dialogando di continuo con tradizioni di pensiero diverse.
Mancuso sostiene che la vita umana è libera, che l’uomo può scegliere che cosa essere, se limitarsi ad essere bios o no – e questa sua libertà è manifestata proprio da quell’antinomia, dal fatto che non riesce a darsi una risposta definitiva. L’oscillazione e l’indecisione costituiscono ontologicamente la sua stessa libertà. (Rilevo en passant una considerazione controcorrente, rispetto alle posizioni vaticane più retrive, a proposito della “sacralità” della vita e della sua “indisponibilità”, che a parere di Mancuso devono valere per quella altrui, non per la propria).

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Ossimori al governo, guelfi e ghibellini: note sull’impossibile religione civile degli italiani

allegoria-del-buon-governo

L’intelligente gravita attorno a una stella,
il furbo invece fa di se stesso la stella
attorno a cui tutto deve ruotare.

Qualche tempo fa è comparso sul quotidiano La Repubblica un interessante articolo del teologo Vito Mancuso a proposito dell’assenza in Italia di una forma di religione civile. Ne riporto sommariamente le argomentazioni, per poi provare a commentarle.

Mancuso comincia con il considerare il termine religio nel suo significato originario di “legame”, “vincolo”, e a formulare conseguentemente tre tesi che riguardano il “caso italiano”:
1. Religio è propriamente un “principio unificatore dei singoli”, ciò che li trasforma da insieme casuale a sistema operativo. La religione civile è l’idea secondo cui c’è qualcosa che va oltre la singolarità, l’individualità.
2. L’Italia è priva di qualsiasi religione civile, e questo è il suo più grave problema: “in Italia – scrive Mancuso – i più ritengono che il singolo sia più importante della società”. Questo diffuso sentire anti-sociale esalta la furbizia a detrimento dell’intelligenza, ingenerando un’apologia del particolare a spese del generale.
3. “Una delle condizioni perché in Italia possa sorgere una religione civile è che i cattolici mettano la loro fede al servizio del bene comune”. Mancuso vede nel superamento dell’antica diatriba tra guelfi e ghibellini – tra coloro cioè che vogliono imporre e coloro che vogliono deporre il cattolicesimo come etica civile – l’unica possibile soluzione. In particolare, da teologo e uomo di fede, invita i cristiani a farsi davvero katholikòi – universali – “pensandosi come seme che marcisce nel campo e come lievito che scompare nella pasta”, e tutti i cittadini ad operare una “conversione”, cioè a ripensare radicalmente il proprio rapporto con la società.

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