In questo saggio molto interessante del medico e storico Federico Perozziello, si va alla ricerca delle ragioni ideologiche, storiche e culturali dell’intreccio tra scienza, medicina, nazismo ed eugenetica.
Un esempio: Madison Grant (1865-1937) era un avvocato ed antropologo americano, sostenitore della superiorità della razza nordica europea, che argomentò nel saggio Il passaggio della Grande Razza (1916). Libro che suscitò grande interesse da parte di Hitler, e dell’ideologo del regime Rosenberg (insieme ai “classici” del razzismo europeo Gobineau e Chamberlain). Grant promuoveva una politica di selezione e sterilizzazione forzata, nelle carceri, negli ospedali, nei manicomi, comprendendo anche le “razze senza valore”. (Interessante notare come accanto alle idee eugenetiche più radicali convivesse un animo ecologista e molto sensibile nei confronti delle specie in pericolo di estinzione).
Bene, il programma teorico di Grant divenne prassi giuridica negli Stati Uniti nei primi decenni del XX secolo (primo stato fu l’Indiana nel 1907), con decine di migliaia di sterilizzazioni. Programma cui aderì subito dopo anche la Svezia. Il regime nazista trovò quindi un terreno molto fertile, teorie e pratiche già pronte, ed è incredibile notare come Hitler si complimentasse con Grant e con la politica americana di annientamento di un’etnia “inferiore” (senza valore!) come quella degli Indiani d’America.
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Tag: medicina
No vax? No doxa!
A proposito di vaccini, vaccinisti e antivaccinisti, no-vax, vax critici e dintorni, stavo per scrivere un post ragionato e articolato, che avrei voluto intitolare “La piccola guerra civile”, nel quale avrei parlato di ragion di stato, diritto alla salute, conflitto tra bene comune e bene individuale, biopolitica, stato immunitario, scientismo e antiscientismo, concetto di decisione, autodeterminazione e simili (argomenti non certo sviscerabili nelle poche righe di un post).
Mi è poi venuta in mente la Repubblica di Platone, in particolare quel punto del libro IX dove l’esimio filosofo vorrebbe istituire i nidi di stato, strappando così i figli alle madri (ma anche ai padri), e rendendoli fin da subito beni comuni indisponibili alla famiglia (Platone utilizza l’espressione “partorire per lo stato” e “generare per lo stato”) – e allora ho lasciato perdere.
O meglio: ho pensato che l’idea di Platone, al netto dell’eugenetica protonazista ivi contenuta, non sarebbe poi così male, dato che i figli non son certo proprietà dei genitori.
La soglia
Allüberal und ewig
blauen licht die Fernen!
Ewig… ewig…
[Ho scritto buona parte di queste note – note finali su un plotiniano inconsapevole asceso alle azzurre trasparenze mahleriane – domenica 28 maggio, durante il viaggio in treno – l’ultimo viaggio – che mi portava al feretro di mio padre nella sua e nella mia terra. Ma i pensieri che in quelle dolenti ore mi sovvenivano alla mente erano più in generale il frutto di anni di rielaborazione del rapporto con lui e, soprattutto, della sua (e della mia) crescente consapevolezza del declino dell’esistenza, dell’apoptosi di ogni essere e della sua ineluttabilità]
L’ultima immagine che voglio ricordare di mio padre – che rappresenta quest’ultimo tratto del suo viaggio sulla terra e che insieme mi addolora e mi fa tenerezza fino allo struggimento – è il vederlo andare sulle sue gambe incerte verso la sala operatoria (a questo punto, e a posteriori, il suo patibolo) dove gli avrebbero asportato la laringe, insieme alla voce (e a un pezzo d’anima). Era la mattina del 6 marzo di quest’anno. Le volte successive che l’ho visto – quasi sempre allettato, sofferente e implorante a gesti la morte, fin dal suo risveglio nella sala di rianimazione del Policlinico di Messina – le vorrei rimuovere dalla mia memoria. Tutte quante. E siccome mi è stata risparmiata l’agonia degli ultimi giorni (e ringrazio gli dèi che sia stata breve) – per me lui è ancora lì, incerto e malfermo sulla soglia, che dirige smarrito lo sguardo verso di me, che accanto a mia madre cerco di rassicurarlo, e poi va dritto verso il suo destino.
(Onni)potenza medica
Abbiamo un problema con la medicina. Che è poi il medesimo problema che abbiamo con la tecnica, ovvero un crescente delirio di onnipotenza (ed una corrispettiva sensazione di impotenza)
Non è qui in discussione che la medicina di tipo organicistico-positivistico abbia conseguito enormi successi. Per lo meno sul piano quantitativo (l’ambito qualitativo è un’altra faccenda): antibiotici e vaccini hanno condotto un’immensa guerra batteriologica dell’umanità contro il resto del mondo, mai vinta del tutto ma sicuramente efficace (non saremmo altrimenti sette miliardi, quasi otto). La chirurgia ha plasmato e riplasmato i corpi. Siamo ormai sulla soglia del corpo ibrido, biomeccanico.
Tuttavia, proprio questo indiscutibile successo ha finito per far montare la testa al potere medico (e farmaceutico): ospedalizzazione, medicalizzazione e farmacologizzazione integrale degli umani non bastano più, ora si entra anche nel territorio liminale di vita e morte.
Già in passato ho discusso di eutanasia, su questo stesso blog, a partire dalle riflessioni di Hans Jonas – che proprio del rapporto tra etica e medicina si è molto occupato. È un argomento su cui occorre essere molto cauti, ma avevo concluso (cosa di cui sono ancora convinto) che è di esclusiva pertinenza del soggetto vivente/morente decidere sui limiti della propria vita/morte: la sfera della sua autodeterminazione non può mai essere violata, e soprattutto non deve esserlo in nessun caso dal potere medico. I medici indagano, diagnosticano, curano – ma è il “malato” a dover decidere su di sé, e deve poterlo fare quando è in grado di intendere e di volere (espressione di volontà che, ovviamente, può presentare problemi, motivo per cui è necessaria più che mai una legge che regolamenti tali volontà, in forma di “testamento biologico” o altro).
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Una morte secca
La giornata comincia a letto con la quantificazione dell’urina fatta durante la notte, l’apposizione di Epinitril (un cerotto alla nitroglicerina, che ho scoperto essere un vasodilatatore) e il gioco dell’emissione e dell’immissione di aria dai polmoni catarrosi attraverso un puff dotato di una graziosa rotella rossa da far girare due volte fino a sentire un clic. Poi continua in cucina, dopo una breve passeggiata in corridoio con l’ausilio di un bastone, eseguendo nell’ordine: misurazione della pressione arteriosa e dei battiti cardiaci, rilevazione della glicemia, iniezione di insulina, assunzione di Lansoprazolo a scopo di protezione gastrica, colazione leggera, assunzione di 125 mg di furosemide (molecola che favorisce la diuresi) e Pritor (antiipertensivo).
Si tratta ora di attendere l’ora di pranzo, quando si ripeterà il rito dell’insulina e si provvederà, subito dopo il pasto, all’assunzione della cardiospirina atta a fluidificare il sangue – ma il cardiochirurgo dice che è pessima per le funzioni renali. Sonnellino pomeridiano di un paio d’ore e poi, alle 16 in punto, è l’ora di Norvasc, una pastiglia dal duplice effetto: agisce sulla pressione e ossigena il cuore.
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Genealogia del piatto
Mi è sempre assai piaciuto il termine eziologia. Sembra una parola complicata, ma in realtà non lo è per nulla, anzi è il termine che indica la necessità di veder chiaro nelle cose, di andare alla loro radice, di verificare da dove esse saltino fuori. Viene dal greco aitìa – causa – e quel logia finale lo rende un po’ pomposo, perché suona come “scienza” o “studio” o “discorso” intorno alla causa. Se ne fa un uso forse prevalente in medicina: l’eziologia di una malattia è praticamente la singola malattia in tutte le sue concause, variabili e manifestazioni (in pratica quasi un sinonimo di patologia).
Mi è venuto in mente l’altro giorno mentre mangiavo. Ebbene sì, mi succede di filosofare anche mentre mangio. Del resto niente di strano: i greci filosofavano a cena, sbevazzando, camminando e persino – come ci insegna il mio mentore Diogene – pisciando e defecando. Cercavo nel mio piatto – peraltro molto colorato e gustoso – le antiche cause di quel che stavo sentendo, gustando, vedendo, percependo e pensando in quel momento. Eziologia: forse addirittura genealogia di quel che andavo, forchettata dopo forchettata, portando alla bocca.
Ed ecco che uno dei problemi più gravi del nostro tempo è saltato fuori in maniera chiara – letteralmente dal piatto Continua a leggere “Genealogia del piatto”
Iperbole
Inoculare sacri terrori nel corpo sociale – che è ormai un irriconoscibile corpaccione – è l’imperativo categorico di ogni potere. Lo è da sempre, si sa. Senonché non serve più che tale orrorifica istillazione avvenga secondo un piano preordinato e verticale. Il corpaccione di cui sopra se lo produce e se lo inocula da sé, volontariamente ed orizzontalmente, senza che alcun medico luminare glielo ordini. Dosi sempre più massicce di paure sempre più impalpabili e spesso posticce. Allo scopo anything goes: lo spread o i Maya, il gelo siberiano o la crisi finanziaria, il nucleare iraniano o una qualche influenza con una qualche misteriosa sigla, nonché gli immancabili untori e barbari, capri espiatori dalla pelle un po’ più scura, provenienti di solito da sud o da est – meglio ancora una pozione magica ottenuta mescolando tutti questi ingredienti a casaccio. Magari da iniettare subito in rete, da far circolare capillarmente e da interiorizzare per bene, ganglio dopo ganglio, creando l’illusione che tutto si sia fatto da sé. E d’altra parte è vero che si è fatto da sé. Autorealizzazione di paure autoindotte.
Si ottiene inoltre il risultato di innalzare di un altro grado la soglia immunitaria, dimenticando che vaccinarsi contro ogni cosa comporta il rischio di vaccinarsi contro la vita stessa e il suo fluire – in definitiva contro se stessi. Come succede con le malattie autoimmuni.
Se qualcuno pensa che ci possa essere una cura per l’iperbole sociale che ho provato a descrivere servendomi di un’iperbole linguistica (o, se si preferisce, di una serie di biometafore, peraltro prodotti sociali a loro volta) – la risposta è no. E ne dubito perché siamo ormai al capezzale del paziente; e significherebbe inoculare l’ennesima sostanza in un corpo esausto – un vero e proprio accanimento terapeutico con avvitamento ipertossico. Meglio forse far fuori il corpaccione e sbarazzarsi del cadavere; aspettare che marcisca e magari provare a usarlo come concime nell’attesa che cresca qualcos’altro.
Oppure uscire addirittura dalla metafora. Fuor di metafora, come si suol dire.
Quel dito puntato sulla fronte di mio padre
“Canto chi mi ha preceduto […]
L’amore non cantarlo, è un canto di per sé
più lo si invoca meno ce n’è”
(Montesole, PGR)
(quando ho cominciato a scrivere queste note, non avrei mai pensato che sarebbero diventate una sorta di diario… come chiamarlo?… bioaffettivo? bioemotivo? una cronaca a metà tra la riflessione e la passione-pietà, schizzi disordinati sulla vita, la malattia, la fragilità dell’esistenza – e la paura della morte – con un unico filo: il volto smarrito di un padre, la sua indecifrabile agitazione interna; e gli occhi ondivaghi di un figlio, che talvolta fissano quel volto e talvolta deviano lo sguardo; forse ci sarebbe anche da riflettere sulla relazione insieme biologica e affettiva tra genitore e figlio, sul detto e non detto che comporta, su sangue, istinto e cultura – ma forse è meglio, per questa volta, lasciare tutto ciò tra parentesi)
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BIOETICA: 4 PUNTI IRRINUNCIABILI
Avevo già scritto in alcuni precedenti post quel che pensavo a proposito di:
eutanasia
testamento biologico
autodeterminazione
tentando così di tracciare alcune coordinate del dibattito bioetico in corso.
Se c’è un campo filosofico nel quale le domande e i dubbi superano di gran lunga le risposte e le certezze è proprio questo. Pur tuttavia devo ribadire alcuni punti fermi, affermazioni e pezzi di ragionamento che nella mia mente sono chiari e distinti e che, almeno per me, rappresentano delle ancore nel mare di incertezze (e di stoltezze). Li sintetizzo brevemente in 4 proposizioni:
1. Principio di autodeterminazione. Ogni individuo deve essere rigorosamente tutelato nel poter decidere autonomamente e in piena coscienza su se stesso e di se stesso, del proprio corpo, della propria salute (fisica e psichica), della vita e, conseguentemente, della morte. Non potrà mai essere un altro a decidere per lui o per lei, perché non si comprende a quale titolo questo altro potrà farlo meglio. Continua a leggere “BIOETICA: 4 PUNTI IRRINUNCIABILI”