Né né: note dal margine

indexLe seguenti vogliono essere note a margine di uno scritto parecchio interessante di Pierre Rousset e François Sabado, militanti francesi dell’NPA – dunque di quel che rimane a sinistra del fronte anticapitalista; e, insieme, note dal margine, da parte cioè di chi non intende schierarsi né con i guerrafondai “buoni” e in doppiopetto, né con quelli “cattivi” con le barbe lunghe e le bandiere nere.
Oltre alla vastità dello sguardo, ho apprezzato di questo lungo articolo di Rousset e Sabado la lucidità dell’analisi – anche se naturalmente vi è un grosso deficit, non certo dovuto agli autori, per quanto concerne la prospettiva militante a sinistra. Ciò non toglie che una prassi cieca è inutile tanto quanto un’analisi puntualissima ma solo teoretica ed autoreferenziale – e sta proprio qui la scommessa, far convergere la lucidità intellettuale (la “cultura” da tutti invocata, ma solo a parole) con una ricomposizione sociale dopo decenni di devastazione neoliberista e iperconsumistica.
Detto questo, mentre rinvio per completezza all’articolo, vorrei al contempo sottolineare gli aspetti urgenti ed essenziali che vi ho colto:

Continua a leggere “Né né: note dal margine”

Migranti di tutti i paesi, unitevi!

12009727_406335516241926_7501513050435398839_n

La “questione migranti” (e/o profughi) revoca in dubbio in maniera radicale il senso stesso della comunità politica (sia essa europea, nazionale o transnazionale). Non solo: revoca ognuna delle questioni – politiche, sociali, economiche, antropologiche, etiche, simboliche.
Proverò ad allinearle per sommi capi, in un quadro sintetico e non certo esaustivo. Una sorta di promemoria, di memorandum (o meglio, di contromemorandum).
È però necessaria una premessa volta a sgombrare il campo da un equivoco linguistico (la lingua, com’è noto, non è mai neutra). Distinguere tra profughi e migranti, come se solo i primi fossero investiti da un’emergenza umanitaria, è del tutto insensato: ogni migrante è un pro-fugo, un umano, cioè, che cerca scampo, in fuga da una situazione che percepisce come pericolosa se non mortale per sé e i propri cari – siano esse guerra, scarsità di cibo, avversità climatiche, mancanza di libertà/possibilità. Gli umani sono animali costituenti la propria possibilità di vita – è questo il senso profondo del concetto aristotelico di zôon politikòn – e ogni qualvolta tale possibilità viene chiusa o negata, essi hanno necessità vitale di riappropriarsene – in qualunque altro luogo e modo.
Continua a leggere “Migranti di tutti i paesi, unitevi!”

Qui sotto non posterò nessuna fotografia scioccante, ma solo qualche ragionamento

01_big

Ascoltavo stamane su una radio molto attenta all’informazione, il dibattito (direi globale) seguito alla pubblicazione e circolazione virale della fotografia di Aylan, il bambino siriano proveniente da Kobane e annegato su una spiaggia turca. Io non so dire in maniera netta se sia stato giusto o sbagliato pubblicarla, o eticamente lecito cavalcarla per un supposto scopo umanitario (non voglio pensare che la gran parte di chi lo ha fatto abbia messo in conto maggiori copie vendute, maggiore visibilità, o un numero più alto di “mi piace” sulla propria bacheca, anche se qua e là, magari solo sotterraneamente ed in maniera inconscia, questi elementi avranno influito).
Quel che però oggi mi chiedo è la medesima domanda che mi ponevo ormai 6 anni fa, quando cominciava ad essere chiara la potenza invasiva dei social e la diffusione virale delle immagini (che peraltro aveva raggiunto un vertice ancora tutto televisivo con l’11 settembre) – a proposito della dittatura delle immagini:

«Perché c’è proprio bisogno di patire visivamente l’orrore per indignarsi? Non è che in questo modo, con un passaggio quasi solo emozionale dei messaggi prodotti dalle immagini, si tende a far fuori proprio il livello razionale (e dunque eventualmente risolutivo)?».

Continua a leggere “Qui sotto non posterò nessuna fotografia scioccante, ma solo qualche ragionamento”

Pòlemos, sempre lui, il maledettissimo padre-padrone di tutte le cose

FranciscoGoyaLosdesastresdelaguerra

È da almeno un trentennio che rifletto e mi angoscio – insieme ad altre e ad altri, non certo in solitudine – sul fenomeno-guerra e sulla sua sostanza. Ve n’è un  riflesso anche su questo blog, dove sono andato archiviando scritti più o meno sistematici (miei o di altri) che risentono della temperie di questo passaggio di secolo (e di millennio). Dalla politica muscolare di Reagan e dal rambismo degli ’80, passando per le guerre del Golfo, il macello balcanico, il Ruanda e la Somalia, l’11 settembre e le infinite guerre mediorientali – solo per citare quelle più eclatanti: e già il termine “eclatante” (che ho scoperto derivare dal francese éclater, ovvero “scoppiare”, dunque brillare di evidenza per un momento per poi dissolversi), pone un problema, poiché esistono guerre visibili e guerre che non lo sono. Guerre che suppurano in superficie ed altre che ribollono nelle profondità degli inferi socioeconomici; guerre che servono e sono utili al sistema ed altre inservibili – ma tutte ci dicono la nuda e cruda verità ontologica: la guerra è la modalità essenziale delle relazioni politiche globali. Vi è anzi contiguità ed intercambiabilità, se non sovrapposizione tra guerra e politica: non solo e non tanto la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi – come pretendeva Clausewitz –  semmai le due realtà si tengono e sono consustanziali. La guerra è l’essenza del sistema globale, e che non sempre ciò risulti chiaro ed evidente fa parte del suo modo di essere e di funzionare: la pace non è la norma e la guerra non è l’eccezione, è vero piuttosto il contrario.
Continua a leggere “Pòlemos, sempre lui, il maledettissimo padre-padrone di tutte le cose”

Il bagliore delle bombe. Zitti!

Se già il filosofo francese Roland Callois criticava Hegel, la cui civetta aspettava la fine del giorno per levarsi in volo, e lo criticava soprattutto per aver rimosso l’evidenza che “la notte dell’intelligenza può essere brutalmente illuminata dal bagliore delle bombe” – figuriamoci che cosa potrebbe obiettare a questo misero (e sedicente) blog filosofico, che continua tranquillamente a produrre chiacchiere (sedicenti) filosofiche, mentre la solita lurida guerra – l’immemore ed eterno pòlemos, il padre di tutte le cose che affligge i viventi e gli umani – bussa alle porte di Gaza, di Israele e del Medio Oriente. Lasciando come sempre un senso diffuso di impotenza (quello che Goya aveva saputo grandemente esprimere nei suoi Disastri della guerra).
Che fare? – è la domanda atroce che risuona e che ritorna come una eco senza risposta.
Qualcosa però possiamo non fare. E dunque per 48 ore questo blog rimarrà sospeso e congelato, non produrrà più chiacchiere (più o meno intelligenti, più o meno scomposte, più o meno urlate o affabili). Se ne starà muto, zitto, silente, agghiacciato. Per 48 ore, a partire da adesso. Dunque non sprecate tempo a scrivere commenti – finiranno tutti nel limbo, nulla apparirà. (E poco importa sapere che ne è del nulla o dell’essere). Fate altro. Meditate. Urlate. Protestate. Pregate. Invocate. Ma non scrivete alcunché.
Qui, per 48 ore, dominerà un silenzio tombale.