Filosofie della storia – 1. Il tempo umano: storia, memoria, oblio

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 14.11.2022]

1. Quella che si vuol condurre in questo ciclo di incontri è un’indagine sulla storicità, ovvero il tentativo di andare a vedere quali sono i fondamenti della propensione umana a fare storia, a muoversi su linee del tempo, trasformando se stessi, gli ambienti naturali, le organizzazioni sociali.
La storicità è un portato “ontologico”, “naturale” dell’essere umano? Una sua facoltà costitutiva ed originaria, così come il suo essere politico per Aristotele? Oppure esistono culture senza storia, civiltà che della storia hanno fatto il loro fulcro e civiltà immobili, società fredde e società calde, per usare la distinzione dell’antropologo Lévi-Strauss?
Ovviamente non potremo non chiederci che cos’è la storia, anche se è alle sue spalle (o alle sue radici) che proveremo a muoverci, con la consapevolezza che proprio lo storicizzare, il concepire cioè ogni manifestazione umana e naturale come “storica”, sia parte essenziale della nostra mentalità (nella fattispecie della civiltà occidentale, che ha inevitabilmente condizionato gran parte delle culture e civiltà moderne): dunque ci chiederemo da storicizzati che cos’è che storicizza e rende storico il modo di guardare al mondo, un’operazione ai limiti dell’equilibrismo.
Continua a leggere “Filosofie della storia – 1. Il tempo umano: storia, memoria, oblio”

Spettri digitali

[avevo cominciato a scrivere questo post, a metà tra la recensione e la riflessione, un anno fa, subito dopo aver letto il bel libro di Davide Sisto, filosofo e “tanatologo”, come lui stesso ama definirsi; lo riprendo e concludo in questi giorni, mentre mi dedico ad una meditazione sulla morte, nonostante il divieto spinozista, in vista del prossimo incontro del gruppo di discussione filosofico – al centro del quale ci sarà Il libro contro la morte di Elias Canetti]

***

Lo psichiatra Eugène Minkowski sostiene che la morte è il suggello della vita, ciò che dà senso alla biografia, altrimenti sfilacciata e insensata  (Pasolini parlava della morte come  di un “fulmineo montaggio”): è a partire da questa angolazione apparentemente paradossale – oltre che dalla considerazione di una epocale rimozione della morte – che Davide Sisto avvia la sua interessante analisi sulla nuova configurazione del rapporto morte/vita (morti/sopravviventi dolenti) nell’epoca dei social, di Facebook e di Instagram.
Facebook, in particolare, col suo dilagare dalla vita on line a quella off line (e viceversa), sembra quasi orientare questo elemento ri-costruttivo della morte: proprio perché si è degli spettri digitali lo scopo è una narrazione il cui senso sia dato dalla morte a venire, dal compimento. Ma, vien da aggiungere, la stessa vita viene ri-orientata e riplasmata da questo perenne montaggio virtuale.
Continua a leggere “Spettri digitali”

Boriosi provinciali del tempo

Già solo avere riacceso il desiderio di leggere o rileggere o approfondire i testi dei classici, magari non solo quelli dei filosofi (per lo più greci), ma anche degli autori latini, andando a cercare i più reconditi ed impolverati delle librerie di casa – già questo costituisce un merito che da solo basterebbe e avanzerebbe; ma il saggio A che servono i Greci e i Romani? del classicista Maurizio Bettini fa di più: apre lo sguardo e la riflessione a tutto campo sul significato di termini come cultura, memoria, classicità, testo, linguaggio, scrittura, traduzione (e tradizione), beni e istituzioni culturali. Per non parlare di paidèia, insegnamento e scuola – altri fronti essenziali e vitali, specie in questo frangente epocale. Ma non punterò l’attenzione nemmeno su questi temi pur così importanti, e per i quali rimando senz’altro al testo – basti solo un accenno all’apertura critica sul riduzionismo linguistico (e concettuale), ovvero l’imperante dogma ideologico secondo cui tutto deve servire e servire, soprattutto, il dio denaro.
Quel che ho però trovato più intrigante e produttivo di pensiero ha a che fare con altre due suggestioni, la prima soltanto accennata, l’altra invece discussa ampiamente nei capitoli finali: la crisi del testo e il concetto di alterità.
Continua a leggere “Boriosi provinciali del tempo”

The Giver: i doni avvelenati della perfezione

giverdone1-1024x6851

The Giver non è soltanto un piccolo romanzo distopico (uno dei tanti, per un genere che pare “tirare” parecchio, specie nelle trasposizioni cinematografiche), ma ha dei tratti propriamente disfilosofici (anfibolici, ovvero paradossali) parecchio interessanti. Mi spiego.
Premessa: nulla di originalissimo, ovviamente, anche perché il filone distopico ha ormai una lunga e robusta tradizione, però qui l’autrice (Lois Lowry, che lo aveva scritto ormai vent’anni fa) immagina e concepisce con semplicità – e forse con qualche elemento di novità – una alternativa secca tra perfezione e imperfezione (un po’ come avverrà nel film huxleyano Gattaca, tra validi e non validi). E lo fa con un linguaggio piano e a tratti fiabesco – tant’è che il libro viene originariamente incasellato nel genere “fantascienza per ragazzi”, confine che finisce per stargli stretto.
Il mondo sociale che si pensa di avere edificato ha tutte le caratteristiche della razionalità (più pratica che teorica), dell’uniformità, della precisione linguistica (evocata molto suggestivamente da un padre lontano delle distopie, qual è Swift), del controllo-prosciugamento delle passioni (antico sogno stoico), del controllo del pianeta, dell’eugenetica, e così via.
Non si nasce e non si muore a caso, e a maggior ragione si vive organici, coesi ed organizzati.
Continua a leggere “The Giver: i doni avvelenati della perfezione”

Psicosofie estive – 6. Lavoro trascendentale

bambini

Funziona proprio come la madeleine proustiana. Schegge di ricordi che rievocano interi mondi sepolti, che prima o poi riemergono intatti, anche se talvolta in forma di blocchi psichici da reinterpretare o da tradurre. E comunque le immagini tornano vivide, specie quando si tratta di episodi illuminati dal sole estivo (evidentemente sono un animale mediterraneo prestato alle terre dei barbari).
Ad ogni modo, questa è la visione concessami dalla memoria.
Ho 7 anni circa (di sicuro non ne ho ancora compiuti 8) e la mia curiosità infantile è fatalmente attratta dalla solerte attività lavorativa che si svolge in una cantina del cortile dove abito (e che non so bene, a posteriori, se fosse o meno clandestina). C’è questa famiglia – lui è “il signor Giacomo” e lei “la signora Maria”, come mia madre mi ha insegnato a dire – con 2 o 3 figlie, non ricordo bene. Una famiglia di origine veneta, dunque terrona come la mia, cambia solo l’accento ma la sostanza è la stessa – una ferrea etica del lavoro e del sudore, poi che abbiamo lasciato la nostra dura terra per venire in quest’altra dura terra semistraniera a far fortuna.
Continua a leggere “Psicosofie estive – 6. Lavoro trascendentale”

Intanto l’immagine del bolscevismo…

Qualche giorno fa ho trovato in un libro di storia un foglietto con alcuni appunti in bella calligrafia (che poi basterebbe dire “calligrafia”, senza l’aggettivo). Non ricordo nemmeno che libro fosse, né perché l’abbia preso dallo scaffale. Sono rimasto quasi sorpreso dall’ordine, dallo stampatello impeccabile ed ancor più dal contenuto di quegli appunti. Sembra passato un millennio e non un secolo dai fatti di cui vi si parla – e sembrano passati secoli e non decenni dal mio modo di trascriverli ed interpretarli; anche se in verità posso solo procedere per vaghe supposizioni.
Vi è poi un elemento “esterno” a quegli appunti che mi ha dato da pensare, quasi si trattasse di una madeleine in grado di riportarmi all’epoca dei miei sudatissimi studi universitari: correva la metà degli anni ’80 e non sapevo ancora, mentre compilavo quel foglietto, che di lì a poco mi sarei trovato di fronte a un bivio essenziale della mia vita. Stavo biennalizzando l’esame di Storia contemporanea e i temi che ero in procinto di approfondire – Gramsci, il bordighismo, il Partito comunista a Milano – mi avrebbero portato dritto dritto alla tesi e alla laurea in quella disciplina.
Poi, dopo un’estate tormentata ed appassionata, la decisione: ricordo ancora bene l’espressione dell’assistente (mi pare si chiamasse Granata) quando gli dissi che avevo intenzione di cambiare facoltà e di proseguire i miei studi in ambito filosofico.
-Ma ne è sicuro?
-Non sono mai stato sicuro di una cosa in vita mia come in questo momento (non l’ho detto, ma l’ho pensato, e immagino me lo si leggesse in faccia, vista la sua resa immediata).
Ma a parte l’aspetto personale, fa un certo effetto sapere (a posteriori) che i fatti attorno a cui quegli appunti (e le relative letture) vertevano, i protagonisti e le idee irradiate in gran parte dalla gloriosa Rivoluzione d’Ottobre, sarebbero poi precipitati e rifluiti in quella cosetta da nulla che è oggi diventata la sinistra italiana, e specialmente il suo partito più importante, ovvero il Partito Democratico…

Mi diverte comunque l’idea di trascriverli qui, quegli appunti – che si concludono, tra l’altro, con lo pseudonimo di un celebre scrittore italiano di cui avevo perduto ogni memoria: Continua a leggere “Intanto l’immagine del bolscevismo…”

Amnesia

Amnesia_Carmelo_caracozzo

Nell’imminenza dell’anniversario del disastro di Fukushima, ho visto qualche giorno fa un documentario che da una parte evocava le terribili immagini di due anni fa dell’onda nera che travolge tutto, e dall’altra trasmetteva alcune interviste a cittadini giapponesi a proposito di memoria, oblio, ricostruzione. Si chiedeva in particolare agli intervistati che cosa pensassero della nave-relitto da lasciare sulla terraferma, come memento a scongiurare future sciagure.
C’era (se non ricordo male) un contadino, che rispondeva che lui era per rimuovere quella nave-simbolo, così come occorreva rimuovere il dolore della distruzione e il passato, condizioni indispensabili per poter guardare al futuro.
Questa ambivalenza della memoria – non dimenticare per non ripetere gli errori, e però necessità di oblio, pena la paralisi della vita – è ricorrente in tutte le vicende umane, sia collettive che individuali. Senza voler biologizzare troppo, credo che in parte funzioni così anche la storia delle specie (lunga linea del Dna con un bel po’ di vicoli ciechi).
Si tratta insomma di una vera e propria anfibolia – un essere presi tra due fuochi, senza poter decidere per l’uno o per l’altro, un po’ come succede nella dialettica trascendentale kantiana. Io personalmente opto sempre per la memoria e per la mente ingombra e pensosa, piuttosto che per la spensieratezza e smemoratezza. Vorrei poter obliare, anzi in talune circostanze vorrei essere affetto da amnesia (chi, sano di mente, non vorrebbe cancellare il nome “Berlusconi” dalla propria mente?), ma non ci riesco, anche se so che la memoria è selettiva e spesso funziona a corrente alternata. Ma so anche che da qualche parte c’è un impulso vitalissimo che chiede di sgombrare il campo, di fare piazza pulita  e di lasciare che i morti seppelliscano i loro morti.
Ruggente ed impietosa vitalità – troppo somigliante, però, a quell’acefala, indifferente e cieca onda nera.

Il grillo che c’è in me

Grillo-piglia-tutto-la-piazza-della-sinistra-lo-slogan-del-Msi_h_partb

“Del resto non è difficile a vedersi come la nostra sia un’età di gestazione e di trapasso a una nuova era; lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai in condizione di quiete, preso com’è in un movimento sempre progressivo. Ma a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro, – in un salto qualitativo, – interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così, lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; lo sgretolamento che sta cominciando è avvertibile solo per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l’indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intiero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo”.

Potrebbe sembrare strano che per ragionare su quel che sta avvenendo in Italia a ridosso delle ultime burrascose elezioni politiche, si debba addirittura scomodare Hegel. Eppure non è casuale, dato che proprio della razionalità politica si tratta. Il celebre brano che ho trascritto sopra, tratto dalla Fenomenologia dello spirito, schizza per sommi capi quel che succede quando un mondo, un’istituzione od anche una costellazione di significati crollano, e ancora non se ne sono presentati altri con chiarezza all’orizzonte. Hegel rappresenta con linguaggio ed efficacia straordinari il senso di vertigine, di incertezza, persino di sacro terrore che accompagna tali processi.
Continua a leggere “Il grillo che c’è in me”

Anfibolie della memoria

“Spero ma mi fa soffrire. Non spero e divento triste. Che fare? E la storia non migliora le cose. La storia è un peso. Diciamo sempre che impariamo dal passato, ma se si ripete, ovviamente non impariamo niente. Forse la speranza è male. Forse dimenticare è meglio di ricordare. Io lancio questi pensieri contro il muro e guardo come vanno in pezzi.” (Shalom Auslander)

C’è questo termine che mi piace assai – anfibolia – e che ogni tanto tiro fuori (ne avevo parlato qui). Non è per far bella mostra o per fare il difficile, è solo che rende molto bene una situazione di ambivalenza, equivocità, incertezza, come quando ci si trova ad un bivio (o, peggio, ad un trivio o quadrivio) e non si sa bene che direzione prendere; oppure si è presi tra due fuochi, e si rimane bloccati o paralizzati.
Non credo ci sia niente di più anfibolico della memoria – e in particolare della memoria storica. Anche di questa ho parlato molte volte su questo blog (vi è una delle categorie che si intitola così), ma sempre sento il bisogno di ritornarvi. Magari per ribadire e confermare (per non perdere il filo), ma anche per cercare dell’altro e del nuovo – qualora ve ne fosse.
Continua a leggere “Anfibolie della memoria”

L’anima? Nient’altro che un grafema!

[Sommario: New Realism – Dualismo immaginario – La lettera e lo spirito – Mente-tabula – Lo spirito in un iPad – Il corpo di Spinoza – La macchina di Cartesio – L’automa di Leibniz – Homme machine – L’osso hegeliano – Scritture essoteriche]

Ho letto con molto interesse Anima e iPad di Maurizio Ferraris. Mi è piaciuto innanzitutto il tono ben poco accademico, non so dire se per le eventuali contaminazioni popsophiche o per quel piglio militante che fa dell’autore uno dei più convinti assertori del cosiddetto nuovo realismo in filosofia (so che è uscito in questi giorni per Laterza il suo Manifesto del nuovo realismo, i cui contenuti essenziali si trovavano già in un articolo comparso su La Repubblica dell’8 agosto 2011 ). Il costante riferimento a pratiche sociali, linguaggi audiovisivi, film, letteratura, canzoni, fatti di cronaca e aneddoti rende piacevole la lettura, anche se immagino possa far storcere il naso a certi filosofi un po’ ingessati, nonostante l’eventuale professione di postmodernismo. Comunque mi interessa poco dare etichette o valutare le mode filosofiche del momento, e dunque vado subito al nocciolo.
Le tesi di fondo – per lo meno quelle che mi sembrano più interessanti e in sintonia con le questioni più volte discusse in questo blog – sono almeno due, che è poi una soltanto, e che si può inscrivere nel dibattito su che cosa si debba intendere per natura umana, e, conseguentemente, sulla peculiarità spirituale delle produzioni umane:
Continua a leggere “L’anima? Nient’altro che un grafema!”