La vita ha qualcosa di inafferrabile. Fa parte di quella categoria di concetti che, per l’eccessiva generalità o profondità, sfuggono alla possibilità di essere definiti – un po’ come succede coi concetti di essere o totalità o natura: tutti sappiamo che cosa si intende con quei termini, ma volendoli definire ci si avvolge in difficoltà… tipicamente filosofiche. «Benché sperimentiamo la vita quotidianamente – scrive il chimico e divulgatore scientifico Jim Baggott – e siamo in grado di riconoscerla facilmente quando la vediamo, in effetti non sappiamo davvero che cosa essa sia».
Nel caso del fenomeno della vita, è stata la scienza a prendere il sopravvento in epoca moderna (già era successo con il mondo fisico, lasciando alla filosofia le briciole dei concetti poco interessanti per la vita pratica degli umani). Per la biologia moderna la vita diventa un problema da risolvere, mentre per la filosofia rimane un enigma che non può essere sciolto. Noi qui ci occuperemo innanzitutto del problema, lasciando ai margini l’enigma (e il fascino del mistero), anche se vedremo come nel linguaggio scientifico finiscano poi per ricorrere termini e categorie di ordine filosofico.
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7 parole per 7 meditazioni – 1. Meraviglia
Cominciamo dalle parole di Aristotele (che in verità non è il primo filosofo ad avvicinare la meraviglia alla filosofia, già lo aveva fatto Platone nel Teeteto : “Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo”).
All’inizio della Metafisica, dopo aver ricordato (nelle prime righe) che tutti gli uomini sono per natura portati alla conoscenza, e che anzi essi amano conoscere, a partire dall’esperienza estetica, sensibile – Aristotele riprende l’espressione platonica e afferma che “gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare”.
Il termine thauma (verbo: thaumazo) si riferisce sia all’oggetto meraviglioso – il portento, il prodigio, il miracolo, anche in senso mostruoso – sia al sentimento che si prova di fronte a quell’oggetto: la meraviglia, l’ammirazione, lo stupore, la sorpresa.
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Al supermercato della meraviglia
La circostanza social #ioleggoperché in occasione della Giornata mondiale del libro, mi ha dato l’opportunità di ritornare con la mente ad un curioso episodio, risalente ormai ad almeno 40 anni fa, che racchiude forse, al di là dell’elemento personale, la cifra sociale dell’epoca.
Non ero un gran divoratore di libri, per il semplice fatto che non ne avevo molti a disposizione: in casa non ce n’erano, mio padre era analfabeta mentre mia madre aveva fatto la terza elementare, e di biblioteche neanche l’ombra. Il primo libro che ricevetti (un regalo dei miei padroni di casa) fu un atlante geografico De Agostini, che consultai fino alla consunzione. Poi i miei mi acquistarono un’enciclopedia di estrema sinistra (immagino a loro insaputa) intitolata Io e gli altri, molto ben fatta e che conservo ancora (fu la mia essenziale fonte di sapere scientifico, cosmologico, politico, antropologico e finanche sessuale).
Niente romanzi, niente libri per ragazzi (salvo un lacrimevole Incompreso, mi pare un Ragazzi della via Paal e poco altro). Avevo piuttosto una morbosa attrazione per le enciclopedie, non so per quale ragione: dati geografici di ogni tipo, classificazioni botaniche e zoologiche, nomi, nozioni, dati, date… l’idea che tutto lo scibile potesse venire ficcato a forza in un certo numero di pagine (e che fosse a mia disposizione) mi affascinava. Un’estate scoprii, in un cortile dove fui ospite per alcuni giorni, un’enciclopedia universale che ai miei occhi bambini dovette parermi immensa: tanto che preferivo star lì nel chiuso della stanza a sfogliarla, anziché andare a giocare all’aria aperta.
Se smonti questa classe qualcosa rimane sempre
Sono ormai 8 anni (più o meno) che filosofo con i bambini.
E ogni volta non finisco di sorprendermi e di ringraziare gli dèi (in particolare quelli greci) e di esultare (discretamente, tra me e me) per le ore passate a veder scintillare quegli occhi e per aver ascoltato modi inauditi di dire cose antiche di millenni.
Qualche mattina fa, ad esempio, in sole 3 ore mi è passata davanti mezza storia della filosofia, senza che io nominassi un solo filosofo o una sola teoria filosofica. È bastato domandare, che dalle loro menti e bocche è uscito di tutto (ed anzi, una rigorosa comprensione del concetto del tutto):
-Eraclito (“ogni cosa cambia”)
-insieme a Parmenide e all’anànke, la ferrea necessità che incatena le cose (tutto è “tutto quello che c’è”, “non manca niente”, ma, soprattutto, “non ci può essere nient’altro” – qualcuno ha usato l’espressione “è troppo”)
-l’atomismo di Democrito (noi siamo polvere, particelle, “qualcosa che non può essere più piccolo, e che quindi è invisibile”)
-la sostanza di Spinoza, descritta con l’incredibile metafora del pongo, attraverso cui tutte le cose prendono forma
-l’idea hegeliana: se togliamo di mezzo e smontiamo questa classe resterà comunque qualcosa (visto che il nulla non esiste), sì, ma che cosa? Ovvio: la sua “forma” o “struttura”
-il nous (intelligenza) di Anassagora, descritto come “progetto” o “prototipi”
-persino il dibattito medievale tra nominalisti e realisti: come nascono i nomi?
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Shock maieutico
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Quarto resoconto
“Che bello è stato, si pensava e si poteva dire un po’ quel che si voleva” (Simone C.)
“Ho tirato fuori delle cose che non pensavo di poter dire” (Alessia)
“Ho imparato molte più cose di quanto pensassi. Ho imparato anche a non fare il credulone […] non so spiegare questo fenomeno”(Riccardo)
“Mi sono accorta che avevi molto piacere a farla scoprire a noi bambini” (Giulia)
“Sono anche rimasta scioccata nel vedere come ci insegnavi cose che non sapevamo” (Rachele)
Sono alcune riflessioni dei bambini della VB, sollecitati, al termine del percorso, a mettere per iscritto – in forma di lettera – quel che avevano provato durante gli incontri. A parte l’interesse per una cosa così strana e anomala come la filosofia – farsi domande su tutto senza garanzia di risposte certe – è emerso universalmente lo stupore (la meraviglia aristotelica), insieme alla percezione del salto (piccolo o grande, non ha importanza) che ciascuno di loro ha fatto nel valutare la propria capacità di ragionare autonomamente: si capisce bene dalle frasi riportate sopra, come si sia generata una nuova ed imprevista soglia dell’autocoscienza.
Una crescita che non è certo stata priva di ombre o di difficoltà: dai loro scritti emerge anche la fatica di sostenere tale nuovo livello di consapevolezza, con ciò che comporta in termini di fastidio o noia (soprattutto quando il dialogo diventa polemica) nell’affrontare alcuni temi; per non parlare della conclusione amareggiata di Simone L., “scettico” per partito preso, che ha retto il ruolo fino in fondo, con caparbia coerenza, e che sostiene che “si parla, parla, parla e non si conclude niente e se si conclude qualcosa, quella cosa è una cosa che non userai mai nella vita.” Autocontraddicendosi paradossalmente (e marxianamente) proprio su una delle questioni più delicate e dibattute della filosofia degli ultimi due secoli: contemplare o trasformare il mondo?
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Il respiro bambino della filosofia
“Bisogna cercare piano piano…”
(Sara)
“…ragionare molto molto”
(Riccardo)
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Secondo resoconto
(Prologo: in genere mi affaccio sornione alla porta, chiedo “come state?” e poi propongo di cominciare con un minuto di silenzio – “chiudete gli occhi e provate ad ascoltare il vostro respiro, solo il vostro respiro…”)
Continua a ritmo battente la saga dei nostri incontri filosofici alla scuola Manzoni di Rescalda. Qui posso solo offrire qualche frammento di quel che va succedendo nelle tre classi interessate all’esperimento. Ieri mattina, ad esempio, un bambino se ne è uscito con una frase abbastanza classica per il pensiero filosofico (un po’ meno per un bambino di 10 anni) – una domanda che ora va di moda persino tra alcuni fisici e, soprattutto, neocosmologi:
Perché c’è qualcosa (la vita, noi umani) e non il nulla?
Però quel che la mia trascrizione non riesce a rendere è la sua espressione nel cercare le parole giuste per dirlo, lo sconcerto e la fatica mentre lo diceva, il suo avvilupparsi in qualcosa di eccessivo per la sua (e nostra) mente. Un episodio straordinario di straniamento nel contemplare l’abisso che c’è tra quell’io che chiede e l’enormità della domanda, tra significante e significato, tra quel non capacitarsi qui e ora e lo sfuggire eterno del senso dell’interrogare (della sua eco e dell’impossibile risposta). Catalogate come volete la cosa – campo semantico o linguistico, campo psicologico o (tauto)logico, campo scientifico od ontologico, casualità pedagogica – ma il domandare di quel bambino è sorto in maniera spontanea, e a testimoniarlo c’erano i suoi gesti, la sua voce, la sua espressione. Unici, irripetibili, irriproducibili.
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Campi fioriti e campi minati
Non so come sia venuta fuori, né quale associazione di parole o immagini l’abbia prodotta. So solo che stavo alla lavagna e segnavo nella parte di destra parole e concetti che avevano a che fare con la ragione, e nella parte di sinistra con il mito. Cercavo cioè di spiegare, per contrapposizione, quel discrimine (forse più fittizio che reale) che avrebbe consentito la nascita della filosofia. Convenzionalmente si dice: prima c’era il mito (la narrazione immaginifica, l’immemore tradizione orale, le cosmologie fantastiche, e la credenza popolare in tutto ciò) – poi, quasi come un fungo o un frutto esotico, ecco lì spuntare e finalmente ergersi, ben staccata sullo sfondo fideistico, nostra signora filosofia, con il suo verbo logico. Lògos distillato allo stato puro, dopo tutta quella secolare e disordinata fermentazione.
Naturalmente tutto questo lo avevo in testa io, e non è che lo stessi dicendo e spiegando in questi termini.
Però, dopo aver giustapposto parole e concetti, strisciato gessi sull’ardesia nera e saltabeccato qua e là tra i banchi – so che questo mio moto perpetuo un po’ li ipnotizza – un ragazzino sul lato sinistro della classe se ne esce con una metafora fulminante:
Da una parte c’è un campo fiorito, dall’altra un campo minato – così dice testualmente.
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La filosofia è un filo d’argento
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Primo resoconto
Il quarto (o forse quinto) anno di sperimentazioni filosofiche con i bambini mi vede impegnato su tre fronti – nel senso che, per la prima volta, sono ben 3 le classi (quinte elementari) coinvolte. Un numero cospicuo di bambini (oltre 50), dei quali mi rammaricherò soprattutto di non poter imparare i nomi, se non in bassissima percentuale. Ma veniamo al dunque, senza tanti preamboli.
Come sempre ci buttiamo subito a capofitto (sia io che loro), anche perché il terreno è fertile e non ha alcun bisogno di essere dissodato o preparato. Sono già piuttosto avvezzi a farsi domande, e non si fanno certo pregare quando si tratta di riflettere, pensare a voce alta e dialogare insieme. Gli attrezzi ci son tutti, l’oggetto si dispiega imponente dinanzi a loro – ma non incute alcuna paura.
Però questa volta ho voluto cominciare con un esperimento: nonostante i nostri incontri siano in genere orali (e “frontali”), ho pensato di far fissare per iscritto alcuni pensieri. In due classi su tre ho chiesto ai bambini, prima di iniziare, di scrivere sul lato A di un foglio quel che la parola “filosofia” suggeriva loro, per poi tornare a scrivere sul lato B, al termine dell’incontro, rispondendo alla medesima domanda.
Ho così potuto misurare sia l’impatto immaginifico della parola e del suo suono, sia quel che le mie parole e la discussione hanno poi prodotto (ed eventualmente modificato) nel loro immaginario. Quel che segue è un resoconto sommario dei due lati (anche se in alcuni casi i bambini non hanno specificato quale fosse il lato A o il lato B, oppure hanno deciso di scrivere solo su un lato del foglio).
Introduzione alla filosofia – 2. I “giganti”: Socrate, Platone, Aristotele
Noi siamo come nani sulle spalle di giganti
così che possiamo vedere più cose di loro
e più lontante, non certo per l’altezza del
nostro corpo, ma perché siamo sollevati
e portati in alto dalla statura dei giganti
(Bernardo di Chartres)
Socrate non è una dottrina, è una vita
(A. Banfi)
Mi tremano le vene dei polsi se penso che dovrò parlare, in poco più di un’ora, di Socrate, Platone, Aristotele – cioè delle tre figure più influenti, nel bene e nel male, di tutta la filosofia occidentale.
Comunque ci piazzeremo comodamente come nani sulle spalle dei tre “giganti”: la celebre metafora, che risale al filosofo medioevale Bernardo di Chartres, illustra chiaramente la situazione nella quale ci troviamo quando ci confrontiamo con la tradizione (sia essa quella di artisti o pensatori, così come della specie più in generale). Rispetto, riverenza, imbarazzo, persino impotenza (hanno già detto, fatto e pensato tutto loro!) – ma, anche, la capacità di essere fortunati e di poter guardare più lontano. Oltretutto è un’immagine particolarmente calzante per i tre filosofi di cui parleremo, dato che gran parte delle questioni filosofiche e dei relativi termini, l’idea stessa di discussione filosofica, una certa figura di filosofo, nascono proprio con loro.
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Prima cronaca: la statua di Condillac e la guerra civile in Afghanistan
“Con la possibile eccezione delle più alte sfere della matematica pura o della fisica teorica, è difficile immaginare qualcosa di più inumano della filosofia”.
“Essere filosofo significa essere esistenzialmente sradicato”.
“Ai filosofi bisognerebbe porgere condoglianze piuttosto che incoraggiamenti”.
Con queste frasi appena lette in testa, sconsolato ma sostanzialmente d’accordo, mi sono recato l’altra mattina in una classe di quinta elementare per il primo incontro di un nuovo esperimento filosofico con i bambini. Ci sono stati come sempre grande fermento, agitazione e partecipazione – è una novità, e quindi benvenuta, però loro sono tanti (troppi) e piuttosto svegli.
C’è poi Andrea che ha scelto di fare il guastatore (è uno dei pochi nomi che sono riuscito a memorizzare, insieme a quello di Martina, che è intervenuta a raffica per tutto il tempo). Insomma, la piccola peste decide di indossare la maschera del baby-nichilista e ad ogni uscita intelligente dei suoi compagni su che cosa si debba o si possa intendere per filosofia, spara parole a caso. Distruttore e futurista ad un tempo. Poi succede qualcosa, e senza apparente soluzione di continuità con la parte interpretata prima, se ne esce con queste due perle (non ricordo le parole esatte, ma non erano molto dissimili dalle seguenti):
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