Filosofie della storia – 3. Nuovi mondi: le Americhe, l’Oriente. “Selvaggi” e civilizzati

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 16.01.2023]

Questo e il prossimo si possono considerare un unico incontro da suddividere in due puntate: tratteremo dell’istituirsi, con la modernità occidentale a partire dalla fine del XV secolo, di quella visione geostorica che via via si allargherà all’intero globo terracqueo, e che darà luogo ad una vera e propria filosofia della storia occidentale, tra Illuminismo ed epoca dell’ascesa della borghesia industriale. L’arco che ci interessa va dunque dalla “scoperta” dell’America di Colombo fino al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, un arco di 350 anni il cui processo condurrà fino alla globalizzazione del tardo Novecento – e alla sua crisi negli anni ‘20 del XXI secolo.
Se nello scorso incontro ci siamo concentrati su alcuni elementi fondativi della visione storica occidentale, in particolare per quel che riguarda la temporalità e la visione “progressiva” e diveniente, ci concentreremo ora sullo spazio, ovvero sugli aspetti geografici, geostorici ed antropologici – elementi che confluiranno, tra l’altro, nella visione geopolitica contemporanea.
L’annuncio di quest0 nuovo mondo è ben testimoniato dal filosofo inglese Bacone, che vede con acume visionario nelle vele e nei cannoni – e più in generale nella tecnica – i soggetti principali di una epoca di grande trasformazione: vele e cannoni viaggiano su mari e oceani, ed è proprio questa la chiave di volta di un’accelerazione temporale della storia e di un suo allargamento spaziale come mai prima nella storia umana.

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Il volto e il corpo dell’altro – 2. Stranieri, xenìa e homo migrans

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“Straniero” è parola che viene dal latino extraneus, che sta per esterno, esteriore, di altri. Medesima origine ha l’aggettivo “strano” (che invece in latino era reso dalla parola novus, nel significato di insolito) – convergenza ed assonanza che dovrebbe far riflettere.
Lo straniero è così ciò che sta fuori dei confini (familiari, nazionali, etnici, culturali, linguistici, ecc.) e che è affetto da stranezza, diversità, non familiarità. È l’estraneo che provoca turbamento.
I greci avevano invece coniato una parola – “barbaro” – che definiva lo straniero come colui che non parla la lingua greca, che letteralmente “balbetta” (bàrbaros è parola onomatopeica).
Molto diverso – e altrettanto interessante – il significato della parola greca xénos, che sta sì a designare l’altro-straniero (addirittura il nemico, come in Omero), ma con sfumature molto ampie che ricomprendono anche la figura dell’ospite: xenìa indica infatti il vincolo di reciproca ospitalità. Quasi che in questa parola si accenni alla condizione universale di estraneità che può colpire in qualsiasi momento gli umani costretti a lasciare, per qualsiasi ragione, la loro casa, la loro terra, il loro paese, e che trovano confortante l’idea che da qualche parte ci sia uno straniero-ospite pronto ad accoglierlo (molto interessante a tal proposito l’ambivalenza della parola “ospite”, che indica sia il soggetto che ospita che quello ospitato).

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Lezione (hegeliana) di geografia

Quando mi misi a pensare all’argomento per la tesi di laurea – prima di focalizzare la mia attenzione su Rousseau, i selvaggi e l’antropologia – sottoposi a un docente germanofilo della cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea dell’Università Statale di Milano, l’idea di vederci chiaro sul rapporto tra geografia e storia nella filosofia hegeliana. Un argomento non semplice, poco studiato in Italia, e che dunque avrebbe richiesto una buona conoscenza della lingua tedesca, ostacolo per me all’epoca insormontabile. Tra l’altro avrei dovuto leggermi alcuni saggi di geografi e storici tedeschi a cavallo tra ‘700 e ‘800 (tra cui quelli di un certo Ritter, geografo spesso citato da Hegel), che se andava bene erano stati tradotti in francese. Mi sarebbe poi piaciuto tirar dentro Johann Gottfried Herder, che aveva scritto due opere splendide dedicate alla filosofia della storia. Ma poiché ero già abbondantemente fuori corso, finii per lasciar perdere.
(Forse giocava anche un riflesso condizionato della mia passione di bambino per tutto ciò che aveva a che fare con la geografia e, soprattutto, con  le carte geografiche; senza ancora sospettare che la cartografia – e la crisi della ragione cartografica di cui parla ad esempio il geografo Franco Farinelli –  è cosa serissima, tanto più in epoca globale).
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