Brucia l’identità

(mentre scrivo queste note, è la brutale realtà a bruciare: esplodono le sacrosante rivolte dei migranti reclusi nei campi di concentramento a Bari e a Capo Rizzuto, o quelle dei neoschiavi di Nardò; contemporaneamente altri muoiono soffocati nei campi galleggianti che fanno la spola tra una sponda e l’altra del Mediterraneo)

Noto con un misto di rammarico, stupore – e però anche, devo confessarlo, con una punta di eccitazione intellettuale -, che nulla come le radicali critiche alle identità, la loro revoca in dubbio, suscita reazioni altrettanto viscerali. Su questo blog in genere si discute pacatamente, anche quando non si è d’accordo, senza mai strillare. Le uniche volte in cui i toni si sono davvero accesi, andando sopra le righe, si è trattato di questioni identitarie: era successo qualche tempo fa con la “questione maschile” (ho addirittura dovuto chiudere ai commenti i 2 post, cosa mai successa); è capitato di nuovo, anche se in maniera più circoscritta, con la questione del “multiculturalismo” o del “meticciato” dopo i fatti di Norvegia.
Questi due episodi possono anche non indicare nulla (e del resto questo blog è piccola cosa nel mare magnum delle discussioni in rete), e tuttavia mi fanno sospettare che il concetto di identità sia un nervo scoperto, qualcosa che brucia e che tocca sensibilità profonde. Anche, se non soprattutto, quando non riguarda (almeno apparentemente) la propria ma quella altrui – poiché è sempre l’alterità ciò che insinua dubbi, come se il volto dell’altro restituisse un’immagine diversa di sé. Se n’è già discusso in altre occasioni, soprattutto in riferimento all’interminabile riflessione sulla natura umana, ma credo occorra ritornarci.
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