La catasta del significato

index.phpInseguivo la lettura di questo libro da tempo. Parlando di (e rivolgendosi a) ragazzi, quand’era uscito, ormai quindici anni fa, aveva suscitato molto clamore. E persino qualche censura.
È un libro terribile, non c’è dubbio. Ma non così terribile se commisurato alla crescente insensatezza del mondo – con le sue guerre ed atrocità, compreso l’ormai irreversibile destino entropico della biosfera.
Il racconto si basa su un assunto molto semplice: non c’è niente che abbia senso – slogan proclamato da Pierre Anthon, che all’inizio del nuovo anno scolastico, senza apparente motivo, esce dalla classe, abbandona la sua  normale vita di tredicenne e sale su un albero di susine. Dal quale comodamente seduto (si suppone sia anche diventato fruttariano), comincerà ad urlare ogni giorno ai compagni di classe che passano lì sotto di non darsi pena, che tanto nulla ha significato, e che tutto è destinato a perire. [Con buona pace, evidentemente, di Parmenide e, soprattutto, di Emanuele Severino].
Ma i suoi coetanei non intendono accettare quel verdetto e raccolgono la sfida: contro il nichilista appollaiato sul ramo cominciano a radunare oggetti simbolici volti a formare una vera e propria “catasta del significato”, al fine di contraddirlo. Ciascuno sacrifica qualcosa dell’altro, in una catena che da grottesca si fa via via sempre più macabra, in un crescendo di assurdità e crudeltà che rischia di sfuggir loro di mano.
Al punto che proprio l’eccesso di significazione rischierà di sprofondare tutto e tutti nell’abisso dell’insensatezza – come quando si guardano le cose troppo da vicino e non se ne comprendono più forma e lineamenti.
L’autrice spinge il gioco fino in fondo, fino alle estreme – terrificanti – conseguenze, perché lei sa, come i suoi giovani protagonisti “che con il significato non si scherza”. E che di significato – o di nichilismo – si può anche morire.

Un giorno questo straniamento ti sarà utile

“Anna avrebbe voluto morire
Marco voleva andarsene lontano
qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”
(Lucio Dalla)

Gli adolescenti mi danno da pensare. Forse perché cerco di ricordarmi com’ero io all’epoca e provo un certo disagio nel figurarmi goffo, inadeguato, inadatto – sempre in conflitto con un mondo pronto indifferentemente ad assorbirmi o a stritolarmi. “Quante balle si ha in testa a quell’età […] a vent’anni si è stupidi davvero“, cantava Francesco Guccini – anche se i suoi 20 anni corrispondono ben poco a quelli di oggi, e tantomeno a quella fascia del tutto aliena che va dai 14 ai 18.
Mi vien però da dire che se i bambini sono naturalmente disposti alla filosofia – dato che si fanno tante domande e chiedono in maniera petulante ed asfissiante “perché?”, allora lo sono anche gli adolescenti, magari per ragioni diametralmente opposte, dato che non si chiedono un bel niente (o sono indotti a non farlo), e quando per avventura si fermano a chiedersi qualcosa, lo fanno da una posizione di radicale straniamento. Lo esemplifico con tre scene – due di vita vissuta, una di vita fittizia e rappresentata. Continua a leggere “Un giorno questo straniamento ti sarà utile”

I detriti e lo sfondo

Seba (il cui vero nome è Sebastiano) ha nove anni ed è il figlio della mia amica Chiara, filosofa, ex-contadina e ora libraia. Lo ha tirato su, insieme al fratello di un anno più grande, nella campagna marchigiana, tra mare e collina, senza televisione, in maniera roussoianamente sauvage. Il 31 dicembre, giusto per non perdere la mia abitudine a filosofare con i bambini, ho avuto con lui, durante una terribile cena cinese, una amabile chiacchierata sul concetto di nulla. La madre dice che ha una buona propensione per le cose logico-matematiche, io la prendo sul serio e provo a saggiarne le capacità deduttivo-ontologiche.
-Che cos’è il nulla? – gli chiedo mentre cerco di capire se nelle verdure saltate che mi hanno appena servito siano nascosti dei cadaveri.
Seba ridacchia, e alla fine mi risponde che è una parola – visto che abbiamo appena convenuto che il nulla non può esistere. E se proprio esiste, esiste solo nella nostra bocca – così si spinge a dire.
Ci lanciamo poi in un piccolo gioco sulla catena causale. Sull’inizio (ed eventualmente la fine) di tutte le cose. Se è vero che le cose non possono iniziare dal nulla, da dove saltano fuori? prima del loro inizio doveva pur esserci qualcosa.
-Sì – dice tranquillamente – c’erano dei detriti. Continua a leggere “I detriti e lo sfondo”