Symphonia sive natura

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Die Welt ist tief,
und tiefer als der Tag gedacht
(F. Nietzsche)

La rappresentazione della totalità è un antico sogno, e non solo delle filosofie o delle religioni. La filosofia greca nasce evocando il tutto, e cercando di individuarne senso ed origine. E, tutto sommato, da lì non si è più mossa nei successivi 2500 anni. Anche le religioni, con la geniale e consolatoria invenzione di dio, evocano un ente sommo che riconduca a sé tutte le cose, altrimenti frante, irrelate ed incomprensibili.
Tuttavia è evidente come il tutto o la totalità (che, tra l’altro, sono concetti con sfumature semantiche diverse) non siano mai esperibili, se non in termini di immaginazione (che è base ineludibile dell’astrazione). Il tutto non si presenta mai qui e ora – poiché è ovunque e sempre. È insomma uno di quei concetti-limite soggetti ai continui alambicchi e rovelli della ragione (un po’ come il nulla, l’essere, il tempo, il divenire), su cui da sempre si discute e, presumo, sempre si discuterà in maniera pressoché inconcludente.
C’è però una modalità di accedere al tutto che trovo interessante e forse più soddisfacente di quella speculativa: le sue elaborazioni ed espressioni estetiche. Mahler è certo uno di quei musicisti che aveva ben chiaro il progetto, perseguito lungo tutta la sua vita, di dare alla propria musica (che in verità non è mai “propria”) tale respiro universale e totalizzante. E se c’è una sua opera che tenta di assurgere alla dimensione di opera-totale, quella è propria l’immensa Terza Sinfonia – non a caso la più lunga della sua produzione. Una sinfonia che si propone di rappresentare la natura nella sua totalità – nientemeno!
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IV viaggio in Sicilia

“Il viaggio più difficile è quello che si inoltra fin dentro lo specchio”
(R. Alajmo)

[Sommario: Un viaggio geostorico – Inizio tra le Madonie – Nuddu cu nnenti – I vecchi di Corleone – Le pietre insanguinate di Portella – Semiotica a Cefalà Diana – La memoria del Belìce – Vecchie strade da Sambuca a Sciacca – Caltabellotta: in cima al mondo – Rupi e bellezza – Ellenica sintesi estetica – Attese e ritorni – Autunno sui Nebrodi – Il giusto mezzo di AlajmoDedica finale]

Tralasciando i periodici ritorni e le numerose gite, sparsi lungo quasi (ahimé) mezzo secolo di vita, sono ormai giunto al compimento del mio quarto viaggio intorno (soprattutto interno) all’isola.
Il primo e il secondo, in compagnia rispettivamente di alcuni cari amici e di una cara amica, datano 1994 e 2000. Gli ultimi due, rigorosamente solitari, sono dello scorso e di quest’anno.
Ciò che li ha accomunati è stato il tentativo, via via crescente, di guardare alla Sicilia al di fuori di ogni schema turistico. Troppo brevi, in verità, per essere dei veri e propri viaggi – questi ultimi avendo bisogno per loro natura di tempi e ritmi quantomai ampi – ma certo lontani da ogni frettolosità vacanziera. Ogni viaggio è un viaggio dell’anima (ammesso e non concesso che questa sia qualcosa) all’interno di un mondo enigmatico e misterioso cui ci si dovrebbe concedere senza riserve. Una compenetrazione di soggetto e oggetto e una discesa alle loro comuni radici. Cosa peraltro quasi impossibile. E ogni viaggio in Sicilia è – sempre più me ne convinco – metafora della vita e della sua (altrettanto quasi) impossibilità. Una recita assurda della comprensione dell’incomprensibile.

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Meritarsi le lucciole

Il cielo stellato sopra di me
e la legge morale dentro di me

(I. Kant)

La bellezza fa spesso capolino, ci passa accanto ogni giorno, talvolta ci sguazza attorno e ci sovrasta, e noi manco ce ne accorgiamo.  Forse non ce la meritiamo. Lei si mostra generosa, persino procace, mentre noi rimaniamo inerti e incasellati nelle nostre ore dense di impegni, cose e affanni.
Oppure non è così, e quella che chiamiamo “bellezza” è in realtà un concetto ambiguo, solo una chimera, un abbaglio; o magari la sensazione fugace di una perdita irreparabile. Un nòstos del tutto precluso.
Ma ecco che cosa può succedere in una qualsiasi sera d’estate…

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