«La collettività è più potente dell’individuo in tutti gli ambiti, salvo uno solo: il pensare. La collettività è per definizione più forte dell’individuo: il “diritto” dell’individuo contro la società è altrettanto ridicolo del “diritto” del grammo verso la tonnellata. L’individuo non ha che una forza: il pensiero. Ma non come l’intendono i piatti idealisti – coscienza, opinione, ecc. Ilpensiero costituisce una forza e dunque un diritto unicamente nella misura in cui interviene nella vita materiale».
Così estrapolata dal contesto, questa frase di Simone Weil tratta dai suoi Quaderni (vol. I), può essere interpretata sia come una apologia del collettivo (l’individuo conta come un grammo), sia come il suo esatto rovescio: l’unico modo di cui l’individuo dispone per evitare di essere assorbito e schiacciato dal collettivo, è il suo essere pensante. Dal che potrebbe derivare che il collettivo non pensa (nemmeno attraverso la categoria marxiana di general intellect, o quella averroistica di intelletto attivo, filogenetico e comune a tutti gli umani). Ma l’individuo non è forse un prodotto del collettivo? Da dove sgorga il pensiero, se non da una lunga storia, e da una perenne dialettica tra individuo e comunità, fatta per lo più di rotture, deviazioni, negazioni?