Secondo fuoco: piccola apologia (gender) del corpo

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Opera di Salvatore Carbone

Tema quantomai scottante – direi infuocato come le discussioni che ne potrebbero scaturire – quello di stasera. Scottante perché attiene al sé di ciascuno e ciascuna, al modo di essere, alla propria identità più profonda – alle modalità attraverso cui l’essere umano si viene costituendo.
Ecco perché, tra l’altro, scatena battaglie ideologiche, guerre, fobie, campagne mediatiche…
Mi riferirò, di tanto in tanto, non ad uno – come preannunciato – ma a ben tre testi che ci aiuteranno nell’impostazione della riflessione e del dibattito – senza per questo doverli seguire passo passo.

1. Delegherò la funzione di “battaglia di retroguardia” alla filosofa morale Michela Marzano, che, pur da un punto di vista cattolico, dedica gran parte del pamphlet appena pubblicato dal titolo provocatorio Papà, mamma e gender a smontare, criticare, decostruire i luoghi comuni cattolici – e più in generale oscurantisti – su questo tema.
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Terza parola: felicità

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“Ho riconosciuto la felicità dal rumore che faceva allontanandosi”
(Prévert)

Strana cosa la felicità, inafferrabile e sfuggente, ma soprattutto incerta com’è: eppure non c’è cosa che di più occupi la nostra anima e il nostro corpo se non la ricerca del piacere e, per suo tramite, di quello stato emotivo che definiamo, appunto, “felicità”: per certi versi potremmo dire che scopo principale del nostro agire è raggiungere, o avvicinarsi il più possibile, a quello stato di grazia. Parrebbe la cosa più ovvia e naturale, eppure…
Ma cerchiamo di dare uno sguardo (e di mettere un po’ di ordine) nella questione così come la filosofia l’ha considerata.

1. I filosofi come “medici” dell’anima?
In effetti Ippocrate, il primo grande medico greco, aveva stabilito un nesso tra psiche e corpo, vita mentale e vita sensibile, le quali avevano bisogno di un certo equilibrio, di un’armonia: equilibro tra umori interni del corpo e con il mondo esterno, il clima, ecc.
Col che si genera uno strano paradosso: nel momento in cui la filosofia viene intesa come “cura”, sembra quasi voler presumere una condizione di malattia ed infelicità originaria (“ontologica”, cioè costitutiva del nostro essere e legata alla natura umana in quanto tale).

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Piacevoli errori percettivi

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Qualche mattina fa ho avuto una delle tante esperienze percettive errate che ci capita spesso di fare. Nella fattispecie: stavo camminando in direzione di un bosco, e da lontano mi è parso di vedere due piccoli animali (sarebbero potuti essere delle taccole, delle gazze, ma anche gatti o lepri – e già qui l’imprecisione regnava sovrana) che stavano muovendosi a passo di danza, incrociandosi l’un l’altro (probabilmente la mia mente ha richiamato esperienze percettive precedenti, od anche filmati e documentari dove avevo viste scene del genere). Senonché dopo pochi secondi mi sono reso conto che in realtà si trattava di un uomo (ma poteva essere anche una donna) che camminava inoltrandosi nel bosco, calzando molto probabilmente degli stivali scuri – ed erano stati questi ad avermi ingannato.
Sono celebri fin dall’antichità i misconoscimenti percettivi (celeberrimo il remo spezzato), con argomentazioni raffinate in ambito stoico, scettico, ecc. Ma al di là dell’interesse per l’aspetto gnoseologico (oggi suffragato da ulteriori elementi neuropercettivi) ciò su cui mi sono soffermato è stata la tonalità di piacevolezza dell’errore, o, per meglio dire, di piacevole stupore – peraltro già sperimentato altre volte, senza che mi fossi fermato a riflettervi. Come mai questa reazione psichico-emotiva? Non avrei dovuto piuttosto dispiacermi e rimproverarmi per l’errore? Gli errori ortografici venivano segnati a scuola con dei segnacci rossi: perché, allora, compiacermene? darmi un buon voto, anziché un’insufficienza?
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Fortune rota volvitur

Or puoi veder, figliuol, la corta buffa
de’ ben che son commessi alla Fortuna
per che l’umana gente si rabuffa
.
(Inferno, VII, 61-3)

La vostra nominanza è color d’erba
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce della terra acerba.
(Purgatorio, XI, 115-7)

Già Epicuro dava un certo peso alla fortuna nel suo tridente delle cause riguardanti l’accadere, di cui ci parla verso il termine della Lettera a Meneceo: tra le cuspidi della necessità (anànke) e del libero arbitrio, si interpone il caso o la fortuna (tyche), ovvero la sorte inviata dagli dèi.  Irresponsabile, atroce ed inflessibile la prima punta, minuscola e però di nostra pertinenza l’altra punta – mentre del tutto instabile ed imprevedibile la cuspide di mezzo.
La storia umana è un’incessante dialettica di necessità e libertà: sottrarre territori sempre più ampi alla prima in favore della seconda pare essere il senso del cosiddetto “progresso” – eppure la fortuna torna sempre a sparigliare i giochi. Ce lo ribadisce Carl Orff in quell’opera così celebre (ma solo a pezzi) e discussa e però mirabile che sono i Carmina Burana.
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Introduzione alla filosofia – 3. Cinici, stoici, epicurei: la filosofia come stile di vita

Potremmo sottotitolare questo incontro con l’espressione “la filosofia come stile di vita” (che è poi il titolo di un interessante libro scritto anni fa da Màdera e Tarca). Ci occuperemo cioè questa sera di quelle correnti filosofiche della tarda filosofia greca (siamo a cavallo tra il IV e il III secolo a.C.), che mettono al centro la questione etica e la libertà dell’individuo – in estrema sintesi è questa la domanda che ci porremo: come possiamo vivere saggi e felici in questo mondo? Domanda piuttosto impegnativa, visto che il mondo fa di tutto per distrarcene (o per darci delle risposte pronte, preconfezionate e spesso a loro volta infelici).

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