Filosofie della storia – 5. Post-moderno, fine della storia e messianismo

L’ultimo scorcio del Novecento sembra chiudersi filosoficamente con una sorta di resa della ragione che ha fondato la modernità: il filosofo francese Lyotard pubblica nel 1979 La condizione postmoderna, lo scritto con il quale si apre l’epoca della fine delle grandi narrazioni (le ideologie totalizzanti e unificanti, l’universale, l’assoluto, ecc.) – e però entra in crisi lo stesso asse portante del “moderno”, la moda e il modo dell’ora, del recente, del nuovo, l’ideologia del progresso infinito.
La medesima idea di filosofia della storia, di storia universale, di un’evoluzione storica unitaria entra in crisi: potremmo dire che si apre l’epoca della crisi per antonomasia interna al mondo occidentale (krisis è parola greca che indica un apice di forza e di tensione che occorrerà risolvere in un senso o nell’altro, ma che nella lotta che lo contraddistingue resta incerto nel suo esito).

A partire allora da questa irreversibile consapevolezza critica – e di disincanto – proveremo a mettere in scena alcune tesi di filosofia della storia elaborate nel corso del ‘900, secolo quantomai storico se non storiolatrico, le cui certezze però vanno in crisi proprio al suo volgere: il secolo forse più denso di storia che si sia mai dato, se non altro per le tragedie storiche che vi si sono svolte, e che non hanno precedenti, si chiude con un senso di totale irresolutezza riguardo al futuro.

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Dentro fuori

[piccolo esempio di (in)utilità filosofica]

Uno degli aspetti più perturbanti di questi quasi 2 anni di pandemia (un tempo che non ci saremmo mai aspettato e che è ben lungi dal terminare) è il rapporto tra interno ed esterno, tra dentro e fuori.
Prendiamo “omicron”, la nuova variante che è destinata a sparigliare tutti i giochi (e presumibilmente a farli ricominciare quasi daccapo): gli stati nazionali stanno correndo ai ripari, per lo più alla rinfusa, ma sanno bene che omicron non può stare fuori, perché in un mondo globale il fuori non esiste. Omicron è già dentro, è già qui tra noi.
Anche con le “caste biovaccinali” succede qualcosa di simile: gli immunizzati si rinchiudono in aree protette, un dentro che lascia fuori il rischio maggiore di contagiarsi e ammalarsi, ma col passare del tempo questa ripartizione si fa illusoria. La barriera tra dentro e fuori viene a indebolirsi, se non a cadere. E i non vaccinati – che a rigore non sono né immuni né non immuni, ma probabilisticamente più esposti ad infettarsi – in che luogo stanno tra il dentro e il fuori? Fuori dai luoghi di socialità o rinchiusi in una bolla di potenziali appestati da tenere in una quarantena perenne?
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Green

Masqueofthereddeath-Clarke

Son stato nel bosco per quasi due ore, avvolto in un manto fitto di verde. Verde non vuol dire necessariamente un ambiente bucolico e sicuro, il verde è anche urticante, fino ad arrivare a quello delle terre estreme di Kracauer. Comunque il mio verde era per lo più mansueto, e pungeva solo qua e là, con qualche rovo di more e spine.
Pensavo, avvolto in questo verde fitto, senza cielo, che la parola “verde” è parecchio di moda. Verde è l’economia, verdi i piani di rinascita economica, verde è l’energia pulita, verde pure il passaporto per circolare in sindemia… Green sta bene con tutto, ormai. È come il prezzemolo, che è pur esso verde (ma in dosi eccessive velenoso).
Osservavo le foglie degli alberi, i cespugli, l’intrico dei rami e pensavo green e subito vedevo diventarmi la pelle e la mente verdognole, ma allo stesso tempo sorgevano le immagini dei boschi che stanno bruciando, in California, in Grecia, in Turchia – e dio non voglia che succeda la prossima settimana in Sicilia. Miliardi di alberi in cenere, un miliardo e mezzo di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, i ghiacci che si sciolgono…
Insomma, per concludere questi pensieri sconclusionati, ci ammantiamo di verde – di cose green – e la terra ci sta bruciando sotto i piedi. Ci accapigliamo per una stupidissima tessera verde, e il verde va in fumo.
Un po’ come succede nel racconto di Edgar Allan Poe, La maschera della morte rossa: i privilegiati che si illudono di stare al sicuro tra le mura del castello del principe, mentre fuori le campagne si spopolano; tutti a far festa come dei cretini, a bersi spritz e a folleggiare, a ballare nella stanza azzurra, in quella gialla e arancione, nella bianca e ovviamente in quella verde, finché il morbo non compare nell’ultima stanza, quella che tutti avevano evitato…