Già in qualche occasione avevo segnalato l’alto tasso filosofico di alcune serie televisive (basti pensare a Six feet under oppure a Lost o anche a Breaking Bad, The walking dead, House of cards, e l’elenco potrebbe continuare): un po’ perché il loro livello qualitativo è enormemente cresciuto da qualche decennio a questa parte, un po’ perché l’esplorazione del mondo – ma anche dei mondi possibili – da parte degli autori si è fatta sempre più sofisticata e sorprendente. Del resto la meraviglia di fronte al mondo (o agli infiniti mondi) non è una delle qualità essenziali del filosofare? Ricordo ad esempio che rimasi per anni fulminato da X-Files, forse per quel voler vedere quel che gli altri non vedevano – o non volevano vedere – e per gli effetti stranianti e per la messa in discussione della verità ufficiale, con quel paranoico I want to believe di Mulder, e poi lo scientismo e lo scetticismo dell’agente Scully – insomma, i fondamentali della gnoseologia e della ricerca filosofica.
In verità su questo blog si è insistito di più sul cinema, forse perché più semplice da recensire, o più immediatamente identificabile con alcune tematiche filosofiche forti. D’altro canto, parallelamente al diffondersi della mania seriale televisiva, abbiamo assistito all’uscita di saggi che analizzano il fenomeno, dai Simpson a Lost, dal Dottor House fino addirittura all’orripilante Peppa Pig – anche se forse la bibliografia più ampia la detiene ancora Matrix, per quanto non si tratti di serie televisiva, ma cinematografica.
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Tag: popsophìa
Ottava parola: filosofo
(con questo incontro si conclude il ciclo del Gruppo di discussione filosofica della Biblioteca di Rescaldina, edizione 2014/2015. Queste, nell’ordine, le altre parole discusse: guerra, lavoro, felicità, perdono, libertà, reale, bene)
Esiste subito un problema nel riferirsi ad una figura specifica del filosofo in un’epoca piuttosto che in un’altra: l’invarianza delle questioni filosofiche (dopotutto che cosa è cambiato nella sostanza delle domande filosofiche da Eraclito, Socrate, Diogene, Epicuro fino ad oggi?).
Il punto sarà quindi capire come le medesime questioni vengono ogni volta declinate entro situazione specifiche (“storicamente determinate”), al di là dell’invarianza filosofica.
Ciò non toglie che il ruolo del filosofo, il suo peso sociale, varia nel tempo e nelle diverse società (anche se rimane costante la sua “pericolosità” agli occhi del potere: basti pensare a figure come quelle di Socrate, Giordano Bruno, Spinoza, Rousseau o Diderot, Marx, Gramsci…).
Intervista pop-sophica
L’amico Antonino Fo, che scrive e collabora con Dillinger.it, un interessante esperimento sul web di giornalismo partecipativo, mi ha intervistato sul blog, sul rapporto tra filosofia e società, sul ruolo dei filosofi e altre simili quisquilie e amenità. L’intervista, che si intitola Può davvero essere popolare la filosofia?, parte dal recente fenomeno della cosiddetta popsophia, con tutti gli annessi e connessi (libri, siti e soprattutto il prossimo Festival del Contemporaneo che si terrà a Civitanova Marche). Io non so proprio se la mia “produzione di pensiero” sia popsophica (così come non so nemmeno se sia davvero filosofica) – posso solo dire di essere philo-sophos nel senso originario della costruzione semantica: amante devoto alla ricerca di agognata sophìa (ma che cosa si debba intendere per sophìa è questione aperta). Che poi, magari, è anche la possibilità più profonda e più propria dell’essere umano: e se ciò vuol essere reso dalla parola pop, ebbene che pop sia!
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1. Complimenti per il tuo blog ‘La Botte di Diogene’, è davvero ben tenuto, due cose colpiscono su tutte. La naturalezza, la prima, con cui riesci a coniugare l’uso di un linguaggio chiaro e diretto al rigore dei ragionamenti. La seconda cosa che colpisce è l’abilità con la quale spazi tra tematiche di varia natura. ‘La botte di diogene’, perché l’hai chiamato così?