Il biopunto in 11 punti: il virus come iper-oggetto

[Sommario: Il peso dell’incompreso – La forma del virus – Iperoggetti – Le tesi biopolitiche di Foucault – Masse biologiche e masse psichiche – Corpi sani, corpi potenziati – Homme-machine – Riduzionismo: ta stoicheia – Limite, Hybris, Aidos – Meccanizzazione  e addomesticamento – Pesantezza della tecnica – Bioetica ristretta e Bioetica generale – In bilico]

1. Non avrei voluto scrivere più nulla sul virus e sulla pandemia, almeno per qualche tempo, dato che già lo sento come un peso che grava quotidianamente, ma l’impulso a riflettere, pensare, scrivere, e così facendo liberarsi dei pesi dell’incompreso (o almeno provarci) non è controllabile, viene e basta, e occorre obbedirgli. E poi il primo anniversario poteva anche essere un’occasione buona per fare il punto sulla situazione. Cosa che risulta non meno problematica oggi di un anno fa, quando marciavamo verso l’ignoto, mentre ora ci viene detto che si sta per uscire dal tunnel e che l’immunizzazione arrecata dai vaccini sarà la luce che ci salverà.
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Meme nero

Qualche giorno fa, leggendo due cose molto diverse tra loro, ho pensato a quanto il clima sociale in 30-40 anni sia radicalmente cambiato, fin quasi a diventare irriconoscibile.
Prima la rievocazione di un giovane insegnante di filosofia dei suoi anni di liceo, della sua maturità, e della solidarietà di cui aveva memoria – e si trattava di solo una decina di anni fa, praticamente ieri; poi la “tempesta di merda” evocata da Bifo, in occasione di una sua recensione sulla destra alternativa americana – la Alt-Right – con il pressoché totale rovesciamento dell’antica egemonia (culturale e politica) della sinistra, in un rancoroso, cinico, sarcastico, oscuro pensiero (e umore) di destra che soffia sulle società occidentali, e che potrebbe portare a nuove forme di violenza, guerra e sopraffazione.
Queste due visioni, che evocavano tempi del passato in cui certo non regnava il migliore dei mondi possibili, ma vi era comunque un discorso pubblico, una mentalità, una visione critica delle cose che si era andata affermando con una certa autorevolezza, e che misuravano e registravano nel tempo social-internettiano – un battito di ciglia – una drastica trasformazione del mood (per usare l’espressione di Revelli) – queste due visioni, dicevo, mi hanno fatto venire in mente il clima socioculturale della mia giovanile formazione, all’incirca tra la metà degli anni ‘70 e i primi anni ‘80.
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Zoon politikon 6 – Popolo, moltitudine, populismi 2.0

«I più, ciascuno dei quali non è un uomo di valore, possono tuttavia, riunendosi, essere migliori dei pochi. […] Infatti, essendo molti, ognuno ha la sua parte di virtù e di saggezza, sicché con la loro unione dalla moltitudine (plethos) si ottiene una sorta di uomo unico con molti piedi, molte mani e capace di percepire molte cose, e lo stesso accade anche per i costumi e l’intelligenza (dianoia)» [Aristotele, Politica]

[plethos: moltitudine, folla, masse, la maggior parte; in assonanza con populus, plus, polis – tutte parole derivanti dalla radice indoeuropea par- o pal- che esprime il concetto di riunire, mettere insieme]

Questa tesi aristotelica sull’unità dei molti – che potrebbe essere avvicinata alla interpretazione moltitudinaria del suo intelletto attivo, così come verrà riletta da Averroè come potenza collettiva dell’intelligenza umana, una sorta di mente sovraindividuale che può anche essere avvicinata al concetto marxiano di general intellect – ci riporta ai fondamenti della concezione politica, sia greca sia ripresa poi dalla modernità: l’unificazione dei molti risolverebbe il problema del conflitto naturale (la guerra di tutti contro tutti), soprattutto se è in grado di istituire uno stato coeso sorretto da un popolo-corpo unico, secondo la visione di Hobbes, che consolida ed anzi moltiplica la propria potenza di sviluppo, quasi si trattasse di un organismo biologico dotato di molte mani, braccia, gambe e di molte menti.
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Mood

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Marco Revelli utilizza più volte nel saggio Populismo 2.0 il termine inglese mood – traducibile con umore o stato d’animo – per descrivere la condizione emotiva delle società esposte ai venti del populismo. Il mood epocale sembra insomma essere l’incertezza diffusasi in Occidente nell’ultimo decennio (ma che covava dal decennio precedente) – un mood pronto a mettere sul mercato della demagogia il proprio vissuto di sofferenza e di disagio, e ad offrire al primo capopopolo utile la sensazione di deprivazione come  trampolino di lancio per il decollo politico.
Il declassamento e la frammentazione prodotti dal venir meno delle certezze fordiste (processo massicciamente avviatosi almeno a partire dagli anni ‘80), la globalizzazione neoliberista, con il rapace trasferimento di risorse dal lavoro al capitale, che ne ha fatto soprattutto un gioco speculativo (il finanzcapitalismo) anziché un reinvestimento produttivo; la delocalizzazione e la deindustrializzazione – tutti questi processi che hanno investito come una buriana un Occidente abituato agli allori di oltre mezzo secolo di espansione (e di stato sociale), hanno messo in crisi il sistema politico tradizionale e avviato un vortice populista che nella Brexit e nell’elezione di Trump ha avuto i suoi primi scioccanti colpi di scena.
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L’opacità della politica

“Se un’inversione di rotta è possibile immaginare […] essa non potrà provenire né dalla mano invisibile delle derive impersonali dell’economia, né da quella visibile di una qualche avanguardia dotata di un’adeguata tecnologia del potere, bensì dalla scelta consapevole di un numero ampio d’individui liberamente cooperanti nel compito impervio di vivere qui e ora – non di “progettare”, né tantomeno di “costruire”, ma di praticare – rapporti sociali radicalmente diversi”. (M. Revelli, Oltre il Novecento).

Ovunque io guardi alla situazione della politica oggi in Italia, mi viene in mente un solo aggettivo: opaco. E’ opaca la maggioranza degli elettori: eternamente moderata, impaurita, rancorosa, piccolo-borghese, e, all’occasione, un po’ fascistoide (d’altra parte la sinistra non è mai stata maggioritaria in questo paese – s’intenda poi con “sinistra” quel che si vuole). A tal proposito è quantomai opaca la differenziazione destra/sinistra, con quella non meglio identificata convergenza al centro. Si è inoltre costituito un ampio schieramento astensionistico (il primo vero partito), anch’esso opaco, che sembra non preoccupare molto il potere – sarà che il vuoto in politica non può esistere.
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