I nuovi bambini-philosophes con cui lavoro quest’anno hanno finalmente rotto il ghiaccio – però l’hanno fatto solo al quarto incontro, ieri mattina. Prima stavano evidentemente prendendo le misure. Poi è stato come un fiume in piena.
Non mi era infatti ancora capitato di partire dalla cosmologia di Empedocle e di arrivare alla questione spinosissima dell’aborto (tirata fuori da loro, lungi da me il solo pensarlo), passando per alcune domande tostissime sull’identità: quando dico “io” cosa sto dicendo/indicando? l’anima o il corpo? e che cos’è l’anima, dove si situa? nel pensiero, nel “cuore”… dove? ma esiste davvero?
Ecco perché amo filosofare con i bambini: tu puoi prepararti tutti gli schemi che vuoi, ma poi loro te li fanno a pezzi – magari utilizzando altri schemi, che di per sé sono sempre poco originali, anche perché quasi sempre indotti – però è il loro modo di usare ogni schema, ogni concetto, ogni parola a fare la differenza: un bambino, prima di diventare un fottuto adulto, è per sua natura creativo, innovativo, poietico. E lo è in maniera sorgiva, archetipica.
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Shock maieutico
Ciclo di filosofia con i bambini 2011/2012 – Quarto resoconto
“Che bello è stato, si pensava e si poteva dire un po’ quel che si voleva” (Simone C.)
“Ho tirato fuori delle cose che non pensavo di poter dire” (Alessia)
“Ho imparato molte più cose di quanto pensassi. Ho imparato anche a non fare il credulone […] non so spiegare questo fenomeno”(Riccardo)
“Mi sono accorta che avevi molto piacere a farla scoprire a noi bambini” (Giulia)
“Sono anche rimasta scioccata nel vedere come ci insegnavi cose che non sapevamo” (Rachele)
Sono alcune riflessioni dei bambini della VB, sollecitati, al termine del percorso, a mettere per iscritto – in forma di lettera – quel che avevano provato durante gli incontri. A parte l’interesse per una cosa così strana e anomala come la filosofia – farsi domande su tutto senza garanzia di risposte certe – è emerso universalmente lo stupore (la meraviglia aristotelica), insieme alla percezione del salto (piccolo o grande, non ha importanza) che ciascuno di loro ha fatto nel valutare la propria capacità di ragionare autonomamente: si capisce bene dalle frasi riportate sopra, come si sia generata una nuova ed imprevista soglia dell’autocoscienza.
Una crescita che non è certo stata priva di ombre o di difficoltà: dai loro scritti emerge anche la fatica di sostenere tale nuovo livello di consapevolezza, con ciò che comporta in termini di fastidio o noia (soprattutto quando il dialogo diventa polemica) nell’affrontare alcuni temi; per non parlare della conclusione amareggiata di Simone L., “scettico” per partito preso, che ha retto il ruolo fino in fondo, con caparbia coerenza, e che sostiene che “si parla, parla, parla e non si conclude niente e se si conclude qualcosa, quella cosa è una cosa che non userai mai nella vita.” Autocontraddicendosi paradossalmente (e marxianamente) proprio su una delle questioni più delicate e dibattute della filosofia degli ultimi due secoli: contemplare o trasformare il mondo?
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