Spinoza impazzisce di gioia

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Addì 29 aprile 2015, tra le 9.30 e le 11, presso le due classi quinte – per l’occasione riunite – della scuola primaria Alessandro Manzoni di Rescalda, frazione del comune di Rescaldina, all’estremità nord-ovest della provincia di Milano…
…ho avuto l’onore e la fortuna di partecipare ad uno dei dibattiti più belli, ricchi ed intensi della mia esperienza filosofica con i bambini. Complice il film-capolavoro Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze (un’odissea caleidoscopica sul mondo emotivo, un “catalogo delle passioni” visivo da far invidia all’Etica di Spinoza), i bambini sono stati in grado di affrontare ed approfondire temi quali

la paura, la rabbia, l’aggressività
la solitudine
il nòstos e il viaggio

le migrazioni, la fuga, l’ospitalità (dovuta)
l’alterità, il rispecchiamento e l’identificazione all’altro

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JJR 5 – Emilio e le finzioni roussoiane

Il tema della maschera è centrale nel pensiero roussoiano. E lo è proprio all’interno della concezione  di natura umana – dunque in termini antropologici oltre che psicologici. Il mettere a nudo ciò che si suppone coperto ed incrostato dalla (quasi sempre fallace) cultura umana, è un’ossessione che accompagna Rousseau lungo tutta la vita e la biografia (fin nelle Confessioni, dove tale meccanismo di messa a nudo viene impietosamente applicato su di sé, per quanto con ambiguo autocompiacimento).
Complementare a questa ossessione, vi è anche l’elemento della finzione. La natura è genuina e sincera, mentre la contorta psiche umana – corrotta da un sociopatico stare insieme detestandosi e facendosi la guerra – rende tutto falso, distorto, dissimulato.
La società immaginata da Rousseau è allora una società impossibile (lo “stato di natura” retrovolto ed utopico non essendo forse mai esistito, non esistendo attualmente e non potendo ragionevolmente esistere nemmeno in futuro) – così come impossibile è un ritorno individuale alla presunta bontà naturale.
Il suo pensiero si muove dunque lungo un corridoio strettissimo, al limite del contorsionismo teorico (e dell’inattingibilità pratica): fare come se la natura fosse ancora la via maestra in una situazione non più naturale, ma irreversibilmente artificiale.
È quel che ad esempio accade al sauvage Emilio Continua a leggere “JJR 5 – Emilio e le finzioni roussoiane”

Hyknusa: l’altra isola

Nello scorso mese di maggio ho avuto la fortuna di visitare per la prima volta la Sardegna. Ad impedirmelo, finora, la gelosa isola di cui sono figlio, che possessiva ed ossessiva com’è mi ha imposto una sorta di signoria emotiva di stampo feudale. Finalmente ho avuto la forza di rompere la catena e di forzare il blocco, tradendo l’isola per l’altra isola.
Nel farlo, mi è venuta in mente un’antica diatriba con un caro amico sardo, che ci vedeva, specie durante l’epoca universitaria, intraprendere spesso e volentieri singolari tenzoni, nelle quali accampavo, con una punta di protervia, una pretesa superiorità culturale, filosofica e spirituale della Sicilia sulla Sardegna. Ora che quegli ardori giovanili sono evaporati, posso tranquillamente affermare che la bellezza naturale della Sardegna è unica ed incomparabile. Della cultura non so dire – se non che si tratta di storie diversissime, con insediamenti ed antropizzazioni differenti (in Sicilia molto più marcate, produttive insieme di magnificenza e devastazione).
Le note che seguono non sono né una cronaca né un diario di viaggio, ma solo la riscrittura disordinata di fugaci appunti presi sull’onda dell’impressione immediata, con l’intersezione delle graditissime discussioni avute con l’amico Franco, uno dei miei compagni di viaggio, cui dedico volentieri questo post.

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JJR 2 – L’arcano della proprietà

Qualche giorno fa una ricca ministra del governo italiano in carica, rivendicava la propria ricchezza come “non peccaminosa”, e come qualcosa di cui non ci si debba vergognare. A parte l’interessante accostamento alla sfera del sacro, la suddetta ministra rimuoveva l’ovvietà (sepolta sotto anni di pesante restaurazione) di dover rendere conto delle cause e delle radici di quella ricchezza. Non tanto della sua propria – di cui m’interessa poco (e su cui i riccastri fanno di solito leva, per argomentare con la naturale passione umana dell’invidia) – ma, più in generale, della genesi e struttura della proprietà in quanto tale. Continuare a suonare la campana a morto del pensiero marxiano, che aveva messo il dito sulla piaga, non li esime  certo dal dover rispondere alla domanda essenziale: donde viene, qual è il senso storico, sociale ed antropologico della loro ricchezza? come si è originata ed accumulata? e che cosa se ne fanno?
Sono domande che, come appare evidente, esulano dalla sfera etica o morale. Non è con i sensi di colpa che si cambiano le cose, ma con il “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Togliere il velo dagli occhi di chi guarda e il velo dell’oblio dai rapporti sociali (cos’altro è la ricchezza se non questo?), è semmai il compito primario del pensiero critico.
Ascendendo di causa in causa, uno degli affluenti più importanti del fiume marxiano è proprio il pensiero politico-antropologico di Jean-Jacques Rousseau, in particolare quello del Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, la cui rilettura attenta consiglierei al ministro di cui sopra…

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