Parlar di filosofia mangiucchiando ceci

ceci

“Bisogna parlare di tali cose nella stagione d’inverno
vicino al fuoco, distesi sopra un molle divano
sazi di cibo, con un dolce vino da bere e mangiucchiando ceci”
– questa l’allettante immagine consegnataci da Senofane, il girovago cantore della Magna Grecia, in uno dei suoi frammenti, a proposito di una delle modalità possibili del filosofare.
Meglio, insomma, mettersi comodi e darsi tempo, visto che di cose molto importanti si tratta – nientemeno che di far fuori una mentalità millenaria e di fondarne una moderna (Carlo Sini ha detto a tal proposito che il moderno umanesimo trova la sua antica fondazione proprio in questo strano e poco considerato pensatore presocratico).
Ho riletto di recente i frammenti di Senofane, e me ne sono fatto un’immagine diversa che nel passato, un po’ più incerta e sfumata, ma molto più intrigante per la sfida che pare abbia lanciato: non v’è dubbio che il punto di partenza sia la critica all’antropomorfismo, una critica irridente e corrosiva, tesa a mettere alla berlina persino i grandi padri della grecità, Omero ed Esiodo, rei a suo dire di avere a loro volta amplificato quell’insopportabile propensione a rappresentare e mettere sulla scena gli dèi a nostra immagine e somiglianza – soprattutto esaltandone i vizi, anziché le virtù.
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Kamasutra del pensiero

kamasutra

Come al solito Wislawa Szymborska – della quale ricorreva il primo anniversario della morte qualche giorno fa – ha fatto centro.
“Non c’è dissolutezza peggiore del pensare” – così apre la sua poesia Un parere in merito alla pornografia. E ad essere pornografico in massimo grado non è il corpo, quanto piuttosto il pensiero:

Nulla è sacro per quelli che pensano.
Chiamare audacemente le cose per nome,
analisi spinte, sintesi impudiche,
caccia selvaggia e sregolata al fatto nudo,
palpeggiamento lascivo di temi scabrosi,
fregola di opinioni – ecco quel che gli piace.

Interessante questa sequela di metafore erotiche – d’altra parte eros e pensiero sono strettamente connessi già in Platone – al che vien da pensare che la facoltà più algida, oggettiva, rigorosa, inflessibile che possediamo si lascia irretire dal flusso di quelle stesse passioni che vorrebbe mettere sotto controllo.

È spaventoso in quali posizioni,
con quale sfrenata semplicità
l’intelletto riesca a fecondare l’intelletto!
Posizioni sconosciute perfino al Kamasutra.

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Spinoziana lectio

E’ la seconda volta che ho il piacere di ascoltare una conferenza di Carlo Sini su Spinoza. L’occasione era ghiotta, dato che Spinoza è in questo periodo al centro dei miei interessi e il relatore ne conosce molto bene i testi e il pensiero. E’ successo qualche sera fa a Canegrate, un piccolo paese della provincia milanese, dove da anni un’eroica insegnante di filosofia del liceo (ora in pensione) organizza incontri filosofici a carattere divulgativo. La lectio aveva dunque un carattere non specialistico, si rivolgeva a tutti, anche ai non esperti di cose filosofiche. Ritengo che proprio dalla capacità orizzontale di comunicare la filosofia si possa misurare la bravura di un filosofo o di un docente. Tanto più che, nel caso in questione, si trattava di rendere in un’ora l’attualità di un classico come Spinoza, con particolare riferimento all’etica.
Direi che il buon Sini c’è riuscito molto bene, senza per questo sminuire o annacquare troppo la potenza di quel pensiero.
Tra le varie questioni sollevate, ne vorrei ricordare in particolare una, da Sini segnalata come cruciale per la piena comprensione del pensiero del filosofo olandese: quella che potremmo definire come la disarticolazione interna al soggetto delle categorie di libertà, volontà e necessità. Disarticolazione che è innanzitutto una chiarificazione.

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La supermente umana

Tradizionalmente i filosofi (forse perché più “umanisti”) sono sempre stati inclini a porre l’umanità al riparo dall’animalità, trovando proprio nella mente (nel linguaggio, nell’anima, ecc.) il tratto dirimente. Se n’è parlato spesso in questo blog, e credo che continueremo a parlarne. Viceversa, sono stati gli scienziati, per lo meno a partire da Darwin, a compiere una lunga opera di riavvicinamento della sfera umana a quella animale, fino alle recenti scoperte circa la rilevante comunanza genetica (il 98% di condivisione con gli scimpanzé).
Ecco perché sono rimasto piuttosto sorpreso di leggere sulla rivista Le Scienze dello scorso novembre, le conclusioni cui è giunto il biologo evoluzionista Marc Hauser circa l’assoluta peculiarità della mente umana. O meglio: non avevo dubbi sul fatto che la nostra mente, sulla base tra l’altro di una maggiore encefalizzazione, fosse diversa e un po’ più complessa delle “semplici” menti animali. Ero (e resto) però convinto che, proprio come sosteneva Darwin ne L’origine dell’uomo, si tratti semplicemente di una differenza “di grado e non di tipo”. Di quantità, non di qualità. Hauser sembra pensarla diversamente, anche se ad esser sincero, e per quel che ne posso capire date le mie scarse conoscenze neuroscientifiche, non mi è proprio riuscito di visualizzare o di collocare in qualcosa di definito tale preteso grande salto.
Ma vediamo di che si tratta. Il biologo di Harvard individua la humanuniqueness (termine coniato fondendo human e unique) in quattro caratteristiche specifiche:

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