La metafora utilizzata da Carlo Formenti e da Onofrio Romano in un dialogo serrato sulla “attualità” del marxismo non dà scampo: esiste una serie di dogmi del marxismo che urge archiviare. Sarebbe anzi un grave errore, piuttosto lontano dallo spirito marxiano, deificare o ingessare il pensiero dell’autore del Capitale, rendendolo di fatto inservibile per la critica (e l’eventuale trasformazione) del tempo presente. Poco utile anche l’antica distinzione marxiano/marxista: ciò che è di Marx e ciò che è dei suoi interpreti (che in ultima analisi ci condurrebbe in uno dei tanti circoli viziosi ermeneutici, molto utili a fare la rivoluzione, no?).
La metafora ha però un altro risvolto: la potatura di un albero rende possibile un suo ulteriore sviluppo e rigoglio. Nella fattispecie, trovo che avere sottolineato la carenza del politico (in favore di una provvidenziale necessità storica), la non-uscita dal paradigma antropologico orizzontale-individuale e l’insufficienza critica nei confronti della categoria di valore d’uso – siano i maggiori pregi di questo testo. Che provo a sintetizzare brevemente per punti. Continua a leggere “I rami secchi del marxismo”
Tag: soggetto
Brucia l’identità
(mentre scrivo queste note, è la brutale realtà a bruciare: esplodono le sacrosante rivolte dei migranti reclusi nei campi di concentramento a Bari e a Capo Rizzuto, o quelle dei neoschiavi di Nardò; contemporaneamente altri muoiono soffocati nei campi galleggianti che fanno la spola tra una sponda e l’altra del Mediterraneo)
Noto con un misto di rammarico, stupore – e però anche, devo confessarlo, con una punta di eccitazione intellettuale -, che nulla come le radicali critiche alle identità, la loro revoca in dubbio, suscita reazioni altrettanto viscerali. Su questo blog in genere si discute pacatamente, anche quando non si è d’accordo, senza mai strillare. Le uniche volte in cui i toni si sono davvero accesi, andando sopra le righe, si è trattato di questioni identitarie: era successo qualche tempo fa con la “questione maschile” (ho addirittura dovuto chiudere ai commenti i 2 post, cosa mai successa); è capitato di nuovo, anche se in maniera più circoscritta, con la questione del “multiculturalismo” o del “meticciato” dopo i fatti di Norvegia.
Questi due episodi possono anche non indicare nulla (e del resto questo blog è piccola cosa nel mare magnum delle discussioni in rete), e tuttavia mi fanno sospettare che il concetto di identità sia un nervo scoperto, qualcosa che brucia e che tocca sensibilità profonde. Anche, se non soprattutto, quando non riguarda (almeno apparentemente) la propria ma quella altrui – poiché è sempre l’alterità ciò che insinua dubbi, come se il volto dell’altro restituisse un’immagine diversa di sé. Se n’è già discusso in altre occasioni, soprattutto in riferimento all’interminabile riflessione sulla natura umana, ma credo occorra ritornarci.
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Profanare i dispositivi
“… e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà”
(G. Gaber)
“Portare alla luce quell’Ingovernabile, che è l’inizio e, insieme, il punto di fuga di ogni politica” – con tale auspicio Giorgio Agamben conclude la sua lezione-saggio intitolata Che cos’è un dispositivo? Non posso qui dilungarmi nell’analisi (di tipo genealogico) del concetto di dispositivo, utilizzato da Foucault fin dagli anni ’70, alle cui spalle c’è il concetto hegeliano di positività e, prima ancora, la latina dispositio e l’oikonomia teologica – anzi, premetto subito che questo risulterà forse un post piuttosto denso ed ellittico, ma qualche esempio addotto qua e là potrà renderlo più comprensibile (ad ogni modo, il testo di Agamben è stato pubblicato nel 2006 da Nottetempo nella collana “I sassi“, quella serie di libretti a 2-3 euro che ricorda un po’ i vecchi e geniali Millelire di Stampalternativa).
Intanto comincio con il riassumere brevemente il significato di dispositivo – prima con le parole di Agamben: “qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi”; – e poi con la mia personale sintesi: il già-dato-e-prodotto tendenzialmente automatico e meccanizzato della rete sociale (una vera e propria ontologia sociale, così come esiste un già-dato dell’elemento biologico) che non solo avviluppa gli individui, ma che soprattutto ne produce (o destruttura) le soggettività. A tal proposito Agamben ipotizza addirittura una partizione ontologica tra due vere e proprie classi: gli esseri viventi e i dispositivi. Nel mezzo i soggetti, quali prodotti del “corpo a corpo” tra le due classi.
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Introduzione alla filosofia – 4. La filosofia moderna
Il nodo principale che affronteremo questa sera, e che attraversa tutta la filosofia moderna, specialmente da Cartesio in poi, riguarda il rapporto tra soggetto e oggetto. La costituzione di questi due termini e la loro cangiante e problematica relazione.
1. Medioevo e modernità
Ma facciamo prima qualche passo indietro.
Ci siamo lasciati alle spalle un intero millennio, quello che è stato definito Medio-evo, età di mezzo. L’età che separa l’antichità (o la classicità) da quella che evidentemente si ritiene una nuova era (guarda caso in concomitanza con la scoperta – o meglio, la conquista – di un Nuovo Mondo).
Possiamo schematizzare questo passaggio con una successione categoriale di ciò che catalizza l’attenzione dei filosofi, e di ciò che finisce per caratterizzare lo spirito delle epoche che si vanno succedendo:
Dio – natura – uomo
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Lezione spinozista 1 – La filosofia ridotta all’osso
(Con “lezione” s’intende che è Spinoza ad impartirla, non certo il sottoscritto. Di mio ci metto un po’ d’interpretazione, quel che ho capito e ricavato leggendo i testi – sperando di non sporcare troppo la purissima e candida farina del sacco spinozista…)
Nota faceto-filosofica a mo’ di introduzione
Era stato sua maestà Giorgio Guglielmo Federico Hegel ad utilizzare la metafora dell’osso a proposito dell’attitudine a “ridurre” a tale scheletrica (e schematica) pochezza nientemeno che lo spirito da parte di certi saccenti saperi pseudoscientifici, quale ad esempio (a suo immodesto parere) la frenologia, scienza del cranio, dunque dell’osso degli ossi. Lo stesso Giorgio Guglielmo eccetera, sempre nella Fenomenologia dello spirito, aveva praticamente aperto la sua ricerca lamentando che si era finora troppo sostanzializzato e poco spiritualizzato – indi per cui la sostanza andrà d’ora in poi intesa come soggetto. Poche palle e poche discussioni!
Per molto tempo ho tenuto in somma considerazione la filosofia hegeliana che tutto riduce o riconduce (cuce, scuce e ricuce) in guisa di spirito, idea, soggetto, concetto – ma ora che mi vado vieppiù dishegelizzando, mi sento di dire che un bel ritorno a Spinoza ci può anche stare (oggi va forse un po’ più di moda il caro Baruch, e poi fa chic ogni tanto voler ritornare a qualcuno o a qualcosa…). E così, non sarebbe del tutto fuori luogo rovesciare il precedente rovesciamento (anche il voler rovesciare a tutti i costi è una moda filosofica) e dire forte e chiaro che è venuto il momento di tornare ad intendere il soggetto (quel soggettone tanto ridondante, che ha eroicamente resistito alle varie e tremende destrutturazioni e decostruzioni novecentesche) un po’ più in termini di sostanza… Per dirlo in salsa hegeliana: “tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto“. Ecco, noi con la benedizione di Benedictus (quello seicentesco, non l’odioso vescovo di Roma) proveremo ad andare in direzione contraria…
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Qui comincia la lezione spinozista numero 1
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