Pneuma: il respiro di tutti gli esseri viventi

(traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 14 febbraio 2022)

Le piante, il respiro, la natura metamorfica saranno i tre temi, tra di loro strettamente connessi, di cui parleremo stasera. Per farlo, specie per quanto concerne il primo e il terzo tema, ci serviremo di due testi: La vita delle piante di Emanuele CocciaLa metamorfosi delle piante di Goethe.

1. Piante-arché
Ed è proprio Goethe a darci il là per l’attacco di stasera: «Nello spirito umano come nell’universo non vi è nulla che stia sopra o sotto». Il primo atteggiamento da assumere di fronte al mondo vegetale è proprio quello della deposizione di ogni forma di antropocentrismo o di zoocentrismo. La metafisica della mescolanza che Coccia propone, assume il punto di vista (che è un punto di vita) delle piante come decostruzione di ogni gerarchia del vivente e critica radicale di una non più tollerabile secessione umana dalla natura. Il mondo delle piante è esemplare della interconnessione delle forme di vita, della loro complementarità, del fondamento orizzontale di tutti i punti di vista-punti di vita. E ciò è proprio delle piante in quanto fondatrici del mondo della vita di cui siamo parte.
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“L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte”

(traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 10 gennaio 2022)

Nonostante Canetti dica in maniera tranchant che la filosofia non ha nulla a che spartire con la morte (semmai la religione), fin dagli inizi i filosofi non hanno fatto altro che misurarsi con la morte e la finitezza umana. Lo hanno fatto nelle maniere più diverse: sostenendo che meditare la morte sia utile al fine di prepararsi ad affrontarla, oppure che sia meglio non pensarvi affatto e rimuoverla dal nostro animo, oppure identificandola come il senso profondo dell’esistenza umana. Ho individuato 7 filosofi (meno uno che non lo è di professione) per 7 idee sulla morte, che ci danno conto di questa varietà di vedute e di sensibilità. Il primo paradosso è che sette morti ci dicano qualcosa sulla morte – e la dicano proprio a noi che non potremo mai saperne nulla, essendo vivi. Per ora. La morte è una soglia che sfugge del tutto alla nostra comprensione.

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Catalogo delle passioni: misericordia affetto triste?

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I filosofi tradizionalmente e nella stragrande maggioranza sono inclini ad essere poco misericordiosi e compassionevoli: basterebbe consultare un qualunque dizionario filosofico per rendersene conto, visto che difficilmente vi si troverebbero le voci “misericordia”, “pietà”, “compassione” e simili; al più tali affetti verrebbero citati sotto voci più ampie, quali virtù, etica, giustizia, passioni.
Occorre chiedersi donde vengono questa indifferenza, circospezione quando non manifesta sospettosità. Forse la celebre immagine della dolce lontananza dagli affanni con cui Lucrezio apre il libro II del De rerum natura ci offre qualche interessante spunto in proposito: il filosofo – nella forma più classica del saggio antico – preferisce non essere turbato dagli affetti tristi indotti dalle miserie umane; egli guarda anzi con piacevole sufficienza (e un poco di alterigia) gli umani «errare smarriti cercando qua e là il sentiero della vita», gareggiare, competere e «sforzarsi giorno e notte con straordinaria fatica di giungere a eccelsa opulenza e d’impadronirsi del potere». Sforzo inutile e vano per menti misere e cieche, che non capiscono che l’unica vera liberazione dalla miseria – l’unico vero atto di misericordia – è che l’anima viva e goda «d’un senso gioioso sgombra d’affanni e timori»: atarassia, imperturbabilità sono qui le parole d’ordine1.

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Quinta parola: libertà

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[Sommario: Libertà e filosofia – L’uomo-misura di Protagora – Socrate eroe classico della libertà – Diogene hippy e cosmopolita – Il giardino di Epicuro – La catena degli stoici – Il libero arbitrio di Agostino – L’uomo proteiforme di Pico della Mirandola – Necessità e libertà in Spinoza – Stato e individuo: il liberalismo – Libertà, natura e spirito – L’oltreuomo nietzscheano – Sartre e l’esistenzialismo: libertà come possibilità – Libertà moltitudinaria – Responsabilità, alterità e libertà]

Il concetto di libertà è piuttosto sfuggente e, soprattutto, cangiante: epoche e culture diverse intendono questo termine in maniere inevitabilmente diverse. Ma senza voler entrare nella molteplicità dei significati e delle sfumature, evocare la libertà nel campo filosofico significa evocare nello stesso tempo una delle condizioni essenziali del pensiero: di libertà i filosofi hanno bisogno come l’aria, senza libertà di pensiero non ci può essere filosofia.
Ma di che cosa realmente parliamo quando parliamo di libertà? Da che cosa (o di che cosa) siamo (o dobbiamo) essere liberi? E poi: possiamo davvero esserlo, o si tratta di una pura illusione?
Ci faremo queste domande scorrendo velocemente il pensiero di alcuni filosofi o correnti filosofiche, dalla grecità all’epoca contemporanea.

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Introduzione alla filosofia – 3. Cinici, stoici, epicurei: la filosofia come stile di vita

Potremmo sottotitolare questo incontro con l’espressione “la filosofia come stile di vita” (che è poi il titolo di un interessante libro scritto anni fa da Màdera e Tarca). Ci occuperemo cioè questa sera di quelle correnti filosofiche della tarda filosofia greca (siamo a cavallo tra il IV e il III secolo a.C.), che mettono al centro la questione etica e la libertà dell’individuo – in estrema sintesi è questa la domanda che ci porremo: come possiamo vivere saggi e felici in questo mondo? Domanda piuttosto impegnativa, visto che il mondo fa di tutto per distrarcene (o per darci delle risposte pronte, preconfezionate e spesso a loro volta infelici).

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La storia al cinema: stoici o epicurei?

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Ho visto con molto interesse Baarìa di Giuseppe Tornatore e Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. Due film che appaiono diversissimi, sia per lo stile dei loro autori che per le intenzioni estetiche o per i contenuti. E allora perché mai accostarli, a parte la circostanza della loro quasi contemporanea uscita nelle sale italiane? In realtà mi pare interessante comparare proprio il modo con cui i due autori affrontano il medesimo soggetto, quello cioè della storia e della memoria.
Ho seguito Baarìa in preda ad incantamento (da siciliano che ci si è “ritrovato”, ma che non per questo si è sempre piaciuto), una sorta di malìa rotta solo dalla discussione razionale e dal ripensamento, sia sulla forma estetica che ha reso possibile quell’incanto, sia sui contenuti (in buona parte vi ha contribuito un bell’articolo comparso su Nazione Indiana, molto critico in verità, con il dibattito che ne è seguito). Devo però dire che la rottura definitiva di quell’incanto si è consumata tramite la “controvisione” del film di Tarantino. Mi spiego.

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Lezione spinozista 1 – La filosofia ridotta all’osso

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(Con “lezione” s’intende che è Spinoza ad impartirla, non certo il sottoscritto. Di mio ci metto un po’ d’interpretazione, quel che ho capito e ricavato leggendo i testi – sperando di non sporcare troppo la purissima e candida farina del sacco spinozista…)

Nota faceto-filosofica a mo’ di introduzione
Era stato sua maestà Giorgio Guglielmo Federico Hegel ad utilizzare la metafora dell’osso a proposito dell’attitudine a “ridurre” a tale scheletrica (e schematica) pochezza nientemeno che lo spirito da parte di certi saccenti saperi pseudoscientifici, quale ad esempio (a suo immodesto parere) la frenologia, scienza del cranio, dunque dell’osso degli ossi. Lo stesso Giorgio Guglielmo eccetera, sempre nella Fenomenologia dello spirito, aveva praticamente aperto la sua ricerca lamentando che si era finora troppo sostanzializzato e poco spiritualizzato – indi per cui la sostanza andrà d’ora in poi intesa come soggetto. Poche palle e poche discussioni!
Per molto tempo ho tenuto in somma considerazione la filosofia hegeliana che tutto riduce o riconduce (cuce, scuce e ricuce) in guisa di spirito, idea, soggetto, concetto – ma ora che mi vado vieppiù dishegelizzando, mi sento di dire che un bel ritorno a Spinoza ci può anche stare (oggi va forse un po’ più di moda il caro Baruch, e poi fa chic ogni tanto voler ritornare a qualcuno o a qualcosa…). E così, non sarebbe del tutto fuori luogo rovesciare il precedente rovesciamento (anche il voler rovesciare a tutti i costi è una moda filosofica) e dire forte e chiaro che è venuto il momento di tornare ad intendere il soggetto (quel soggettone tanto ridondante, che ha eroicamente resistito alle varie e tremende destrutturazioni e decostruzioni novecentesche) un po’ più in termini di sostanza… Per dirlo in salsa hegeliana: “tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto“. Ecco, noi con la benedizione di Benedictus (quello seicentesco, non l’odioso vescovo di Roma) proveremo ad andare in direzione contraria…

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Qui comincia la lezione spinozista numero 1

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Aforisma 9

Patire, agire, interagire: istruzioni per l’uso.

Patire: lasciare che le cose accadano: quasi sempre – specie nei giorni lavorativi e nella quotidianità.

Agire: solo eccezionalmente – e comunque nei dì di festa, e quando nostra signora “la” storia bussa alla porta.

Interagire: sempre – ma ricordarsi di non farlo solo con i simili e gli umani.