Alienazione strategica

Quel che dovrebbe turbare di più quando si parla di guerra – di questa guerra in particolare, ma vale per ogni guerra – è la presa di distanza, l’astrazione, la disumanizzazione con cui per lo più se ne parla. Sia la visione geopolitica, più o meno cinica o brutale, sia quella militare, propagandistica, ideologica – tutto concorre a rappresentare il fenomeno guerra come un dispositivo, una megamacchina, di cui gli umani – i soldati, gli arruolati a forza, spesso i civili – sono solo dei “pezzi” (Stücken, come i nazisti nominavano gli ebrei internati nei campi).
Era stato Hegel ad evocare ed elogiare il “progresso” della guerra moderna, tramite la polvere da sparo, verso una forma di astrazione che nascondeva il volto e il corpo del nemico: la guerra non è più (ammesso lo sia stata in qualche epoca) una faccenda eroica del “corpo a corpo”, ma diventa un enorme meccanismo di cui i combattenti (e nel Novecento i civili come “mobilitati totali”) sono solo ingranaggi.

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Profanare i dispositivi

“… e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà”
(G. Gaber)

“Portare alla luce quell’Ingovernabile, che è l’inizio e, insieme, il punto di fuga di ogni politica” – con tale auspicio Giorgio Agamben conclude la sua lezione-saggio intitolata Che cos’è un dispositivo? Non posso qui dilungarmi nell’analisi (di tipo genealogico) del concetto di dispositivo, utilizzato da Foucault fin dagli anni ’70, alle cui spalle c’è il concetto hegeliano di positività e, prima ancora, la latina dispositio e l’oikonomia teologica – anzi, premetto subito che questo risulterà forse un post piuttosto denso ed ellittico, ma qualche esempio addotto qua e là potrà renderlo più comprensibile (ad ogni modo, il testo di Agamben è stato pubblicato nel 2006 da Nottetempo nella collana “I sassi“, quella serie di libretti a 2-3 euro che ricorda un po’ i vecchi e geniali Millelire di Stampalternativa).
Intanto comincio con il riassumere brevemente il significato di dispositivo – prima con le parole di Agamben: “qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi”; – e poi con la mia personale sintesi: il già-dato-e-prodotto tendenzialmente automatico e meccanizzato della rete sociale (una vera e propria ontologia sociale, così come esiste un già-dato dell’elemento biologico) che non solo avviluppa gli individui, ma che soprattutto ne produce (o destruttura) le soggettività. A tal proposito Agamben ipotizza addirittura una partizione ontologica tra due vere e proprie classi: gli esseri viventi e i dispositivi. Nel mezzo i soggetti, quali prodotti del “corpo a corpo” tra le due classi.
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