Homo melancholicus

Robert Burton (1577-1640) fu bibliotecario, insegnante, prete, e passò gran parte della sua vita nelle biblioteche di Oxford, dove compilò questa immensa e barocca enciclopedia volta a catalogare e dissezionare l’animo umano, specie per quanto concerne la sua tonalità emotiva prevalente – dalle cui pagine fitte ho scelto di leggere e commentare alcune parti dedicate alla generazione della malinconia in ambito intellettuale: perché lo studio, l’accrescimento del sapere, il troppo pensare generano passioni tristi?
Burton, confortato da un caleidoscopio di citazioni, aneddoti, riferimenti alla tradizione classica (ma anche dalla propria diretta esperienza), fornisce alcune possibili spiegazioni. Innanzitutto la vita sedentaria e solitaria: corpi troppo seduti e rattrappiti, che generano effetti negativi sull’animo.
Ma anche lo studio eccessivo genera follia: e qui mi sarei aspettato una maggiore penetrazione ed esplorazione nelle parti più recondite della mente a proposito del desiderio di troppo sapere – la brama, la Begierde hegeliana – e dei limiti che sarebbe meglio darsi in fatto di curiosità e di accesso a verità scomode (magari in rapporto alla sfera divina) – ma in un testo e in un autore ci può stare solo quello che quel testo e quell’autore hanno dentro, non quello che ha dentro il lettore, e che a tutti i costi ci vorrebbe trovare.
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