Ottavo (ed ultimo) lunedì: arte e bellezza oltre le scissioni

Partirò per la mia analisi da una delle scissioni fondative (probabilmente la madre di tutte le scissioni) della natura umana, cioè del nostro modo di concepire il mondo e noi stessi: l’opposizione con l’animalità.
Sta proprio qui – nell’opposizione originaria con l’animale, se si vuole il corpo stesso della nostra base biologica – il fondamento di tutta la nostra produzione culturale, spirituale, e dunque artistica ed estetica.
La mia tesi è che la maledizione della scissione – il vivere sempre come decentrati, in altro, al di là e fuori di noi stessi, come straniati – rechi con sé tanto il frutto velenoso dell’alienazione, dell’insoddisfazione, della noia e dell’angoscia, del desiderio mai sopito e realizzato (il nostro essere incompleti, mancanti, la nostra non accettazione della finitezza e della mortalità), quanto il sogno della bellezza e della perfezione.

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La peste di Tadzio

tadzio

Chi volesse cimentarsi in una sorta di “esperienza estetica totale”, potrebbe ad esempio passare un’intera giornata in compagnia di un precipitato artistico che nel Novecento ha avuto pochi eguali: cominciare al mattino leggendo La morte a Venezia di Thomas Mann; ascoltare – possibilmente dal vivo – la Quinta Sinfonia di Mahler (con particolare attenzione al celebre Adagietto), ed infine compiere l’opera con la visione del film di Luchino Visconti Morte a Venezia (se non ricordo male l’omissione dell’articolo non fu casuale). Se poi al malcapitato fruitore dovesse restare tempo, potrebbe anche provare a dare un occhio al melodramma di Britten – ma credo che già così la sopportazione estetico-percettiva avrebbe raggiunto il livello di guardia. E quella che si annunciava come una straordinaria esperienza estetica volgerebbe ben presto in un asfittico incubo estetizzante.
(Un mio amico filosofo, a tal proposito, soleva dire che, insieme a psicologismo e narcisismo, l’estetismo è uno dei grandi mali che affliggono la nostra epoca – e tutti e tre questi -ismi confluiscono nel male più grande di tutti, che è poi il solito nichilismo. Io non so se avesse ragione, ma certo di alcune morbose manifestazioni socioantropologiche occorre tener conto).
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