FEDE E RAGIONE, ovvero dell’oxymoros perfetto

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C’è una parola che va molto di moda da qualche tempo, che è “ossimoro”. Deriva dal greco oxymoros, ed è composta da oxùs, acuto e moròs, stupido: come dire capra con cavoli, cioè accostare due termini che non c’entrano l’uno con l’altro, o meglio che sono agli antipodi (basti come esempio quello della “guerra umanitaria”). Mi pare che parlare di “fede e ragione” sia uno dei tanti ossimori oggi ricorrenti. Proverò a mostrare perché.

Iuxta propria principia! – ecco che cosa dà sui nervi al conservatorismo teocratico di cui papa Ratzinger è l’estremo (e speriamo ultimo) celebre rappresentante – non diversamente dal “pensiero” di Osama Bin Laden, magari meno raffinato ma sostanzialmente identico. Tutto ciò che non è mosso dall’esterno (in ultima analisi da Dio: vi ricordate il detto “non si muove foglia che Dio non voglia”?), e che si prova a spiegare attraverso principi propri e razionali, ebbene ciò va respinto come foriero di relativismo e di nichilismo. Dalle concezioni cosmologiche all’autodeterminazione della donna, il fronte che separa l’eteronomia ecclesiastica e fideistica dall’autonomia umanistico-razionale sta tutta in quel principio discriminante.

Era stato un filosofo cosentino del ‘500, Telesio, a scrivere un De rerum natura iuxta propria principia, un trattato di filosofia della natura in polemica con l’aristotelismo cristiano allora imperante. Il testo sarebbe poi stato messo all’indice, non a caso, nel 1588. Ma al di là delle circostante particolari, quel saggio è importante perché, fin dal titolo, prende posizione per la totale autonomia della conoscenza, chiarendo come la natura vada indagata in se stessa e attraverso se stessa senza fare ricorso a leve teologiche, mistiche o mitologiche. Viene cioè ristabilito, dopo circa mille anni, il principio su cui era nato e si fondava il sapere filosofico e scientifico occidentale.
E’ una battaglia antica quella tra fede e ragione, che ha avuto diverse sfaccettature, picchi e pieghe drammatiche alternati da momenti di relativo rilassamento, ma non mi pare ci sia possibilità di una reale composizione. Come ho già scritto altrove, tra fede e ragione non c’è dialogo che tenga – tra umani sì, se ci si sforza, ma tra quei due concetti vi è una profonda e radicale incompatibilità. Al limite della schizofrenia, nel caso di scienziati credenti o filosofi devoti, ma siccome in uno stesso individuo convivono posizioni spesso contraddittorie, ci può anche stare che con un occhio si guardi nell’alto dei cieli e che con l’altro si cerchino le ragioni che stanno qui in terra – però, ribadisco, fede e ragione sono un po’ come il principio di non contraddizione aristotelico: dove è l’una non può essere l’altra. Fede: cioè come dire, credere e accettare definitivamente, senza discutere, quel che si ha di fronte, bendandosi preventivamente gli occhi (fidarsi ciecamente, appunto!); ragione: indagare con la propria testa e a occhi ben spalancati le cose, cercandone la causa, il senso, il significato: la ragione, appunto. Sono atteggiamenti che si escludono a vicenda. Disgiunzione: o si crede o si ragiona. Quando si crede non si ragiona e viceversa. Credere significa chiudere gli occhi della ragione, ragionare significa non fidarsi, sospettare che dietro qualcosa si nasconda qualcos’altro. E’ come uno snodo, uno switch mentale per cui si procede in direzioni opposte. Entrambe sono decisioni individuali, non si può essere obbligati a credere (costretti sì) o a ragionare, ma le cose in comune finiscono qui.

Fatta questa premessa un po’ tranchant, provo ad argomentare in termini storico-filosofici. Nel Medioevo la filosofia diventa ancilla theologiae – cioè una forma di conoscenza al servizio del pensiero teologico. Ora, è vero che esimi filosofi cristiani (da Anselmo a Tommaso) hanno provato a discutere razionalmente il problema dell’esistenza di Dio, ma la priorità teo-logica su quella onto-logica non può mai essere messa in discussione. Non può esserlo innanzitutto per una questione di mentalità. Dio è parte della configurazione del mondo, e nulla è pensabile senza il suo concetto. Poco importa che sia patente la contraddizione insita nel voler dimostrare con la ragione l’esistenza di un ente per definizione indimostrabile. E Dio lo è. Uno, perché trascende la ragione, due perché si vorrebbe ricomprendere qualcosa di infinito in qualcosa di finito. Rimangono allora due soluzioni possibili: o identificare la ragione con Dio (cioè naturalizzare Dio, come farà il panteismo spinozista; o ancor più radicalmente umanizzarlo e insieme divinizzare l’essere umano – operazione tentata dall’idealismo tedesco e da Feuerbach); oppure far fuori il concetto di Dio come irrazionale ed incompatibile con la ragione. La scienza e la filosofia degli ultimi due secoli hanno sicuramente seguito questa strada.

Ma tornando al tramonto del Medioevo, non appena la ricerca dell’arché, dei principii, cioè, che reggono la realtà, si sposta dall’ambito divino a quello terreno, dal cielo alla terra, da Dio alla natura – che, come si diceva sopra, viene finalmente indagata iuxta propria principia; quando cioè la “mentalità” medievale viene messa in discussione nelle sue fondamenta, ecco che l’atteggiamento inquisitorio della chiesa (l’organo di gestione della fede) si fa anch’esso decisamente più materiale: Giordano Bruno e Vanini sono mandati al rogo, Galileo viene inquisito, Campanella imprigionato, libri e teorie messi all’indice. Anche la caccia alle streghe si intensifica (per inciso: è una colossale balla che la caccia alle streghe sia cosa del buio Medioevo, è invece cosa modernissima, praticata specialmente nei secoli XVI e XVII).
La battaglia della ragione critica e dei lumi sarà durissima, ma alla fine riuscirà ad averla vinta e, progressivamente, a conquistare tutti i territori – dal cielo alla terra, dalla terra alla natura, fino ai viventi e persino dentro la mente umana e i segreti della psiche e dello spirito. Darwin darà il colpo finale all’antico teo-antropocentrismo: l’ “uomo”, figlio ed emanazione diretta di Dio, non occupa più il centro della scena (così come la terra non è più al centro dell’universo), egli è ora integralmente naturale e terrestre, ma ciò non gli impedisce di determinare (almeno in parte) il proprio destino. Grazie ancora all’ausilio della ragione.
Naturalmente questa autonomia, che è insieme conoscitiva e pratica, è in radicale conflitto con tutte le credenze fideistiche, che secondo la ragione non possono non contenere elementi di irrazionalità e di superstizione.
Con questo, non voglio certo dire che la sfera umana sia riducibile alla sua “ragione”, così come la “ragione” non è nemmeno riducibile alla “scienza” – che è solo una forma conoscitiva tra le altre, e non necessariamente la migliore. Bisognerebbe poi parlare dei mostri che la ragione genera (per quanto il sonno della ragione ne generi senz’altro di peggiori). Tralascio poi la faccenda della mortalità e della paura della morte, o le altre forme di “fedi” (per esempio quella nella stessa tecnoscienza su cui Heidegger e Severino avrebbero molto da dire – Severino, poi, sulla critica al concetto di “fede” impianta l’intero suo pensiero ontologico). Insomma, le questioni appaiono numerose e intricate, e non è certo questo lo spazio per affrontarle in modo sistematico.
Quel che però è certo è che tra fede e ragione c’è una asimmetria, una non reciprocità di base: la ragione ammette la pluralità di spiegazioni, è finita, relativa e in divenire, erra per costituzione, e dunque tende a correggersi, a ravvedersi, a mettersi in discussione poiché nella sua essenza è logos, discorso, discussione pubblica, orizzontale e controllabile; mentre la fede è per definizione una, assoluta, indiscutibile, verticale, non verificabile – e soprattutto non vuole essere discussa e criticata dalla ragione. Le dà sui nervi. Non l’accetta. Una sola infiltrazione della ragione nella cecità fideistica dissolverebbe l’incanto.
Insomma, per quanto ci provi e mi sforzi, non trovo possibilità di coesistenza: come ho già detto, dove ce l’una non c’è l’altra.
Certo, la ragione non può nemmeno pretendere di liquidare in poche battute una cosa così complessa e diffusa (in tutte le culture e in tutti i tempi) come le religioni, le fedi, gli dèi, le credenze. Ma, appunto, tutto ciò è anch’esso plurale e storicamente determinato (dunque, mi verrebbe da dire, una sorta di autonegazione), con buona pace dell’assolutista Ratzinger. Resta il fatto che la verità etica e conoscitiva non è un esclusivo appannaggio di sua santità, e non è che chi ragiona e agisce con la sua testa – cioè si autodetermina iuxta propria principia – sia destinato al male e al nulla.
E poi: è meglio danzare sull’abisso con una benda sugli occhi o con la mente lucida e ben spalancata?

Categorie: Scritti
Tags: illuminismo, religione, relativismo, scienza
Immagine: Galileo di fronte alla Santa Inquisizione, di Cristiano Banti, fonte Wikipedia

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

31 pensieri riguardo “FEDE E RAGIONE, ovvero dell’oxymoros perfetto”

  1. Tieni presente che anche la materia più razionale, come la matematica si fonda su assiomi, dai quali (è dimostrato) non si può prescindere, accettando a priori. Con un atto di fede.

    Michelangelo

  2. Certo, è esattamente quello che ho letto ieri in uno dei faticosissimi paragrafi di “Oltrepassare” di Emanuele Severino a proposito di Godel e dintorni; ma si tratta comunque di due fedi diverse: quella matematica è sempre revocabile e discutibile, l’altra no.

  3. A mio avviso, avere fede significa credere in qualcosa, senza averne alcuna prova tangibile. E tale concetto vale in assoluto, indipendentemente da ciò in cui si crede.

    Se come scrivi “si tratta di fedi diverse”, allora avrei due osservazioni:

    1. Se esistono più tipi di fede quanti e quali sono? Sembrerebbe necessaria una classificazione.
    2. il concetto di conversione di fede è applicabile a tutti i contesti.

    Michelangelo

  4. E allora mi spiego meglio: nel caso della scienza in generale non mi pare si possa parlare di “fede”, sarebbe più corretto parlare di sapere ipotetico (nel senso greco e platonico del “punto d’appoggio” da cui partire per giunngere alla verità), dunque di verità parziali e provvisorie. Un assioma poi non sarà qualcosa di tangibile e di dimostrabile, ma per definizione è una verità autoevidente. Il principio di non contraddizione aristotelico è l’ assioma per eccellenza, ed è assolutamente vero e innegabile. La ragione non può non accettarlo, e chi lo nega si autonega. Dunque questo genere di saperi utilizza metodi e argomentazioni che devono rispondere per lo meno al principio di non contraddizione, oltre che all’empiria. Che poi giungano o meno alla “verità” questo è un altro discorso, ma devono rispondere razionalmente e pubblicamente dei loro procedimenti. La fede, al contrario, ne prescinde. Per la fede non è affatto scandaloso respingere l’evidenza e il principio di non contraddizione.
    Che poi Severino dichiari non solo la religione e il mito, ma anche la scienza, la filosofia, ecc. fondate sulla “fede”, è perché, secondo lui, tutti quanti questi saperi in realtà prescindono dal principio fermissimo (ancora una volta il principio di non contraddizione), proprio nel momento in cui accettano la follia del divenir-altro-da-sé di cioò che è. Ma qui il discorso diventerebbe troppo lungo. Ma presto ci tornerò in un post apposito.

  5. In merito agli assiomi mi sento di dire che essi semplicemente sono, prova della loro correttezza è (lo dico alla Popper) la loro resisitenza alla falsificazione. Nessuna costruzione ecluidea, i cui teoremi non cadono in contraddizione, falsifica il postulato che per due punti passa una e una sola retta. Le costruzioni logiche intorno alla fede spesso stridono tra loro e con la fede stessa.
    Il teorema dimostrato da Godel dice che qualunque sistema basato sulla teoria dei numeri non riesce a decidere alcune proposizioni e una di questa è quella che esprime la non contradditorietà del sistema, ma ciò non implica che il sistema non funzioni, ovvero che le logiche interne non ridiano gli stessi risultati. Non credo si possa utilizzare Godel per avallare che “qualunque” geometria piana sia equiparbaile a quella euclidea, solo se ci si crede.
    Per quanto riguarda Ratzinger credo che la citazione del filosofo gnostico-scettico P. Feyerabend, sia stata un po’ azzardata. Non credo ci si possa aggrappare a un realtivismo assoluto e al nichilismo per giustificare la fede, ma credo ci sia bisogno di approfondimenti che ora purtroppo non ho tempo di fare.

  6. L’argomentazione è corretta e in linea di massima sono d’accordo.

    L’unico punto che non mi convince è l’affermazione che “Un assioma poi non sarà qualcosa di tangibile e di dimostrabile, ma per definizione è una verità autoevidente”

    Al di là del fatto che l'”autoevidenza” è un fattore soggettivo, gli assiomi matematici, non sono così scontati.
    Non sono intuitivi il concetto di punto, piano e retta. Non è intuitivo il quinto assioma di Euclide, che a lungo i matematici hanno tentato invano di dimostrare a partire dai precedenti quattro e che addirittura presuppone un’accettazione assiomatica del comportamento all’infinito di due rette.
    Presupponendo qualcosa di diverso, sono nata geometrie non euclidee che oggi trovano ampiamente spazio in numerose applicazioni fisiche.

    D’altra parte evidenzio come sia “una verità autoevidente” la nostra stessa esistenza, dal quale derivare (in modo assiomatico), un qualcosa che “non sarà qualcosa di tangibile e di dimostrabile”, ma che sia Dio, Zeus, Allah o la Causa Prima o il motore Immobile, permetta di spiegare: perchè esiste l’universo?.

    Ed è sempre – a prescindere dalle implicazioni etico-religiose – una questione di fede.

    Mi auguro non averti tediato con questa riflessione.

    Michelangelo.

  7. era arrivata la pizza, scusate.
    Quello che voglio dire è che se la scienza è sempre avanzata contraddicendo teorie precedenti, ciò non implica necessariamente che debba sempre essere così. Non vedo motivi, per esempio, per dubitare che la terra ruoti intorno a sole, e “forse” non ci saranno. Così come non vedo motivi di dubitare della geometria euclidea: se aggiungiamo una dimensione in più allora siamo in una geometria non ecuclidea, ma avendo una dimensione in più non falsifica quella d’euclide. L’affermazione “del filosofo gnostico-scettico P. Feyerabend”: «La Chiesa dell’epoca di Galileo
    si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica
    se ne può legittimare la revisione». (Citata da Ratzinger in Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti», Edizioni
    Paoline, Roma 1992, pp. 76-79.)
    è surrettizia perchè cerca di contraddire un sistema con un altro, la geometria euclidea con quella non euclidea, sostiene che il pane non è pane perchè esisite anche la pasta.

  8. Fabrizio, permettimi di puntualizzare che una geometria non-euclidea non è determinata dal numero di dimensioni, ma dalla non accettazione del quinto postulato, indipendentemente dal numero di dimensioni.
    (Quanto scrivi può essere accettato da un certo punto di vista fisico, laddove si accetta la geometria euclidea, come caso particolare della geometria dello spazio-tempo).

    In merito Godel, il teorema di incompletezza non sconfessa ovviamente il corretto funzionamento del sistema matematico, ma evidenzia come già intuito da Russell, la necessità di un sistema più ampio che lo contenga, ovvero che ne contenga i presupposti assiomatici e così via. Sembrerebbe all’infinito, oppure fino ad una “causa prima”…ma questo non ci è dato saperlo! Solo crederlo.

    Saluti
    Michelangelo

  9. Michele, grazie per la precisazione, mi sembra evidente che la mia memoria stia iniziando a vacillare. Quello che cercavo di evidenziare è che sposare un relativismo assoluto non solo è pericoloso, ma, a mio modo di vedere, anche irrazionale, perchè mi sembra di vedere una resistenza di certi costrutti razionali alla propria falsificazione.
    Per quanto riguarda Godel e i sistemi conteneti altri sistemi, mi trovi d’accordo, mi viene però da chiedermi se questo procedere di sistemi che si contengono non sia un avanzare della razionalità che ruba spazio alla fede. All’inifinito, senza mai riuscirci completamente?

  10. Fabrizio, sono assolutamente d’accordo con te, ottima la tua sintetica interpretazione dei “sistemi contenenti sotto-sistemi”, traslata sul rapporto ragione e fede. La penso proprio così.

    Il resto sono dettagli, questione di forma.

  11. Ratio e Fides sono comunque legate indissolubilmente e in un certo senso si assomigliano. Ognuna ha le sue ragioni, ognuna, nel suo fondo, è indimostrabile. La fede ha la sua ragione, quella che Pascal chiamerebbe esprit de finesse e, indubbiamente non dimostrabile oggettivamente. Del resto, anche la razionalità della ragione ha la sua ragione interna, viene dimostrata dalla ragione stessa: il giudicato e il giudice sono la stessa persona!
    La fede del matematico e la fede del religioso saranno anche diversi in riferimento a contenuti e modelli ma a livello sostanziale hanno lo stesso effetto: conferire un senso all’universo e alla vita.

  12. Ares

    non mi avete convinto..

    La fede “tecnica” o “della ragione” puo’ essere controvvertita in qulunque momento.. quella in Dio no!.. il trascendente si pone sempre al difuori.. come contenitore assoluto di ogni fede.

    ..md… gli scenziati-credenti… o ifilosofi-redenti .. non sono contraddittori..lasciano semplicemente ..una porta aperta al dubbio.

  13. Ares

    Gli scenziati con fede…pur continuando a ricercare la verita’..con i mezzi umani che hanno a disposizione..si liberano di quel sentire arrogante che potrebbe portarli a pensare di poter essere “l’unico” Dio..

    Poi tanto per tornare a Galileo…. siamo proprio sicuri che la terra giri intorno al sole?… da qulche tempo sappiamo che anche l’universo si muove….. chi sa se gira anch’esso ?.. se girasse allora anche il sole gira intorno alla terra…(il modello e’ facilmente riproponibile usando dei modelli in carta)

    .. dopotutto la teoria galileiana e’ dimostrabile solo sulla terra..

    .. cervelloni mi sbaglio?

  14. Grazie a tutti/e, bella discussione!
    @Ares: il dubbio è cosa della ragione, non della fede. Meglio ancora, dell’essere umano. La contraddizione sta nel voler affermare, da finiti quali si è, qualcosa di infinito affermandone l’esistenza e facendone derivare ogni significato: Dio esiste, dunque… – cosa del tutto illogica.
    Il paradosso sta qui: la fede parla di verità ma non può dimostrarla; la ragione, che potrebbe eventualmente dimostrarla, non ci arriva perché revoca tutto in dubbio, compresa se stessa.
    Ma una cosa non può revocare in dubbio: questa stessa capacità di revocarsi in dubbio, che dunque è un’autonegazione dello scetticismo (e del relativismo) estremi. Quasi un’ancora di salvezza…
    Pare cioè che almeno il principio di non contraddizione non sia revocabile in dubbio: A=A, e non non-A.
    Ma è’ questo un principio puramente interno al nostro modo di ragionare (una “regola” soggettiva, giusto per non sbandare ed errare in modo incontrollabile), o può trovare applicazione anche nella struttura delle cose?
    In filosofia la domanda è così traducibile: ha ancora senso parlare di “ontologia”? O sono solo chiacchiere metafisiche (come volevano Popper e i positivisti logici)?
    D’altra parte se la scienza si occupa del mondo (finito) e la fede del mondo (infinito) – di che si occupa la filosofia?

  15. Ares

    Poi io non ho detto che il dubbio sia cosa della fede.. la fede non contempla il dubbio… dico solo, che i filosofi credenti,consapevoli di non essere nelle condizioni di poter negare Dio, si limitano a non escludere la possibilità che esista .. In una sorta di dicotomia intelettuale – che e’ grazie a Dio possibile nell’essere umano – ed e’ la stessa dicotomia che ci permette di poter affermare di essere finiti.. con la possibilità di tendere al divino. Chi afferma di essere finito implicitamente afferma Dio.

  16. Ares

    Ah .. ho capito e’ solo una questione tra filosofi che vogliono occuparsi dell’infinito affermando di essere finiti.. e filosofi che vogliono occuparsi d’infinito..accettando di essere “finiti”.

  17. Ares

    Perche’ quando ci succede qualcosa di grave o spiacevole c’e’ sempre chi dice…. “prendila con filosofia” … quasi fosse un atto di rassegnazione?…

    .. perche’ non si dice “prendila con la fede”, se la fede e’ atto di rassegnazione?

  18. @ Ares: Secondo me è un’espressione impropria (il linguaggio non è mai insensato, ma non è nemmeno sempre rigoroso): credo dipenda dal retaggio stoico. Prendila con filosofia, fai come il saggio stoico (si dice anche “stoicamente”), che sopporta tutto pazientemente.
    Abbi fede, invece, implica sempre un atteggiamento di conforto e di speranza – anche senza alcuna base razionale, anzi vale soprattutto se non c’è una base razionale, del resto del futuro non c’è mai certezza… e spesso lo si dice in modo generico, senza alcun riferimento teologico

  19. Ricominciamo da capo e mettiamo le note fra parentesi. Il dramma della cibernetica è quello che nei collegamenti interdisciplinari si rischia che per spiegare qualcosa di andare “per boschi” perdendo il filo conduttore. La fede è una cosa, la ragione è un’altra che però all’infinito anche se su piani di partenza diversi dalla partenza.
    La fede è un sentimento comune a tutti i popoli di tutte le razze e religioni da “illo tempore”. Non è un principio proprietario della Chiesa e come concetto è avulso da qualsiasi potere. E un imprimatur della nostra anima,la possiamo negare,possiamo bistrattarne il pensiero ma lei resta sepolta sotto la cenere dei nostri limiti attuali,pronta però a presentarci il conto. Non è quindi una cosa ragionevole ma una costante così come per essere uomini definiamo il concetto di una struttura definita riconoscibile in tutto l’universo e non alienabile. Il fatto che noi la riconduciamo a DIO e non al sole o alla natura,non è filosoficamente importante in quanto la sua definizione è riferita a seconda della proprietà che la esprime all”Oggetto “al quale la riferisce. La ragione invece fa parte della vita reale dell’uomo,per spiegarci meglio “dai tetti in giù” serve la ogni dove nello scibile umano è al servizio di noi stessi della nostra vita quotidiana ,della speculazione del nostro pensiero,della scperta continua delle leggi della materia,dall’infinitesimamente piccolo all’infinitesimamente grande.
    Tutto questo sia per risolvere i nostri problemi quotidiani sia per meravigliarci delle infinite pieghe della natura. Ragion per cui,perchè litigare? Una è dai “tetti in su” e qui stiamo calmi perchè potremmo fare la fine di quel certo filosofo, L’altra è dai tetti in giù , e godiamone fratelli perchè c’è ancora molto da fare.
    Che poi in passato questo sia servito a pretesto per dominare sulle umane genti credendosi depositari dei nostri destini e delle nostre menti,beh,anche se a posteriori avranno un bel pò da spiegarsi con chi di dovere anche se purtroppo per noi sarà troppo tardi per ottenere giustizia….o no?…

  20. Per ogni religione il Dio e’ il proprio Dio come unico ed invece restano tanti dii; il dialogo intereligioso deve partire dall’accettazione del Dio Unico e le religioni ridotte a comunita’ lasciamdo inalterati culti, riti ,paramenti ed ogni icona identitaria

  21. Da dove vengo a dove vado: vengo dalla terra ed alla terra ritorno! Allora, cosa mi distingue dal gatto? La ragione che vulnera la paura e dove non arriva la ragione, la fede

  22. Tempo fa Stephen Hawking voleva poter conoscere la Mente di Dio. Per questo io gli dedicai il mio libro: “Il Tachione il dito di Dio”. Ora ha cambiato idea e dice che Dio non esiste. Il CERN a sua volta ripropone l’eterna esistenza della materia. Io rispondo così:
    COMMENTO ALL’ULTIMO ESPERIMENTO DEL CERN DI GINEVRA.
    Ciò che è stato osservato al CERN di Ginevra ,consiste di un plasma di teorema geometrici e matematici, espressi in numeri cardinali .
    Questi a loro volta sono costituiti da un gas di numeri ordinali, (la polvere di Cantor ” diviene “ frattali).
    A proposito DUNQUE ,della presunta autosufficienza della materia ,affermata dopo gli ultimi esperimenti del CERN di GINEVRA.
    Siamo semplicemente alle solite tesi ideologiche .
    Non si tiene conto che l’energia applicata nell’esperimento del CERN è già esistente nell’universo . Quindi la materia non è affatto autosufficiente. Rimane vero semplicemente che nulla si crea e nulla si distrugge .
    Rimane insoluto infatti ,quali sono le ragioni dell’esistenza dell’energia ? Perché c’è l’energia invece che il nulla ?
    Per approfondire segnalo il sito: il Tachione il dito di Dio.
    Nel sito http://www.webalice.it/iltachione si può leggere gratuitamente in rete la teoria unificata dell’universo fisico e mentale, secondo il pensiero sineterico.
    La tesi fondamentale della teoria afferma che la gravità non è una qualità della materia ma una reazione astratta all’estensione angolare .
    Pertanto le successive dimensioni spaziali “estendendosi” a partire dal punto mentale,alla retta ,al piano e ai volumi, determinano REAZIONE ANGOLARE GRAVITALE ,all’ipotesi immaginaria di estensione LAMBDA, nello spazio tempo.
    Dunque le ragioni invisibili delle apparenze fisiche ,sono astrazioni di teorema matematici.
    Le apparenze fisiche visibili ai sensi sono simulazioni delle idee della teoria.
    In pratica non ci sono fenomeni fisici ma solo rappresentazioni mentali dell’osservatore

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