Animalia VI – Liberazione umano-animale e koinè

[Traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 15 aprile 2024, ultimo incontro del percorso Animalia]

Nulla turba più i sapiens del silenzio,
o quello che a loro appare silenzio,
degli animali.
(F. Cimatti)

(Prologo)
Senzaparole è un albo illustrato dell’artista spagnolo Roger Olmos, pubblicato nel 2014, ormai dieci anni fa: si tratta di un piccolo capolavoro che rappresenta con alcune straordinarie illustrazioni il nostro rapporto criminale – non saprei come altro definirlo – con il mondo animale, ovvero con quei soggetti che sono senza parole, ma la cui infinita sofferenza ha cominciato a trovarle, a parlare, anzi a gridare. Senza parole non sono solo gli animali, ma innanzitutto noi umani, che distogliamo lo sguardo, che per vivere in una società fondata sul sangue e sulla violenza, dobbiamo innanzitutto rimuovere, tenere nascosta, non nominare e rendere invisibile proprio l’enorme gabbia che tiene imprigionata una moltitudine di viventi sfruttati. Ecco, partiamo proprio da qui, da questa rimozione, che è ancor più grave se viene imputata ai pensatori, ai filosofi, a coloro che invece le parole dovrebbero saperle trovare.
Partiamo dallo stupore di Peter Singer, uno dei grandi maestri dell’animalismo e dell’antispecismo, di fronte a questo mutismo.

Continua a leggere “Animalia VI – Liberazione umano-animale e koinè”

Moby Dick

Com’è giusto che sia, The Whale (la balena, come l’inafferrabile Moby Dick!), è un film ostico, in parte irritante, claustrofobico, che non può non far discutere.
Sull’interpretazione di Brendan Fraser non si discute, è semplicemente clamorosa; sulla storia registica di Aronofsky anche, i suoi film sono fatti per inquietare.
C’è un primo elemento problematico, ovvero il passaggio dalla scena teatrale a quella cinematografica: camera immobile, formato 4:3, tutto pensato per mettere al centro Charlie e il suo corpo strabordante. Ogni tanto, però, qualcosa si inceppa, nella trasposizione, nei dialoghi, nella sceneggiatura, e qualcosa risulta sopra le righe. Ma alla fine anche queste sbavature sono forse funzionali allo scopo della messa in scena: come rappresentare una storia di tentata redenzione di un corpo fuori controllo e di un’anima spezzata?
Devo dire che la parte “anima spezzata” mi ha preso meno, mentre è la rappresentazione dell’obesità, il corpo che esce dai propri limiti, e le conseguenze che ciò comporta nei gesti quotidiani anche minimi, che ho seguito con più interesse. Non so se con partecipazione, ma certo con sofferente curiosità.
Continua a leggere “Moby Dick”

Il corpo della voce

Mi piacerebbe scrivere qualcosa di sensato sulla voce. O, meglio, sul corpo della voce. Sulla sua fisicità, tonalità, sul timbro, sull’intensità, la profondità, l’altezza, l’estensione. Sugli effetti che questo corpo sottile che emette suoni, sia articolati che inarticolati, causa negli altri. Ma in primo luogo in sé: ascoltare la propria voce è un’esperienza primigenia essenziale. Immagino che la voce venga poi plasmata, partendo da una base biologica, attraverso una serie di meccanismi legati alla socialità, all’educazione (il canto, la lettura a voce alta, l’ascolto di sé e degli altri, l’imitazione dei suoni, le onomatopee, ecc.).
Insomma, un processo di formazione di grande fascino e complessità.
Ma è quel che la voce genera nell’altro ad affascinarmi ancora di più: il corpo della voce si annoda ai sensi e all’emotività della persona amante o amata, agli amici, agli affetti, alla cerchia di persone con cui interagisci. Basti pensare al ruolo della voce, alla sua “impostazione”, nella comunicazione, nell’oratoria (e, ahimé, nella propaganda). Voce poetica, voce della sapienza filosofica (che un tempo si trasmetteva oralmente), voce dei saggi, degli anziani, voce del canto.
Continua a leggere “Il corpo della voce”

Le parole del contagio

La morte – come da un’alta vetta –
riformula i criteri di giudizio
e ciò che non credemmo
ora scorgiamo chiaro
(Emily Dickinson)

«Non ho visto, pertanto, nient’altro da fare che provare, come chiunque altro, a sequestrarmi a casa mia e nient’altro da dire che esortare chiunque altro a fare lo stesso», così scrive Alain Badiou.
E alla domanda: “Che cosa possiamo imparare dal virus?”, Massimo Cacciari risponde seccamente: Nulla. A stare fermi un po’. Cosa volete imparare? Basta con questa retorica che dalle difficoltà si esce migliori. Il nostro cervello è lo stesso di 100.000 anni fa…

Qualcuno si sarà senz’altro chiesto che cosa può dire o fare la filosofia di fronte ad un evento come quello che stiamo vivendo, così violento e inaspettato (uno dei problemi è anche quello della sua definizione e qualificazione). Hanno ragione Badiou e Cacciari: la filosofia non può nulla. La filosofia non può modificare il corso degli eventi, la filosofia non può prevenirli, la filosofia non può nemmeno consolare gli animi. Ciò che forse può fare la riflessione filosofica è aiutare le menti ottenebrate degli umani a vedere con maggior chiarezza quel che hanno davanti (o sotto i loro piedi o alle loro spalle o dentro di loro), anche se in un senso radicalmente diverso da quello della scienza. Ecco, la scienza può provare a prevenire, modificare, curare, salvare (anche se non è detto che ci riesca), la filosofia no. La religione può provare a consolare, confortare, rasserenare, ma non la filosofia. Compito della filosofia è solo quello di dire il vero, o di provarci. La verità, una parola che può anche svelare cose che non vorremmo né vedere né sapere.
Continua a leggere “Le parole del contagio”

Il volto e il corpo dell’altro – 8. Freaks!

Il tema di stasera rappresenta una vera e propria summa delle tematiche sull’alterità/diversità, quasi una sintesi ideale del percorso fatto quest’anno: il freak – lo “scherzo di natura”, il mostro – rappresenta per antonomasia il più altro tra gli altri, l’alieno che raccoglie in sé le paure più ancestrali. Come vedremo, il vero freak abita nelle zone dell’interiorità, prima che nell’esteriorità del corpo mostruoso (e mostrato/esibito/rappresentato).

Partiamo da tre termini e dalla loro definizione:
Monstrum (dal latino moneo, monere – avvertimento, segno divino)
portento, prodigio, miracolo, cosa incredibile, meravigliosa
ma anche atto mostruoso (nefandezza), essere mostruoso
– ambivalenza del significato, con una successiva caratterizzazione di tipo morale che tende a sovrapporre se non a identificare la stranezza/mostruosità/deformità al male: dal kalòs kagathòs greco (ciò che è bello è anche buono) al rovesciamento cristiano: il brutto e il deforme che puzzano di zolfo, di diabolico, di maligno.

Freak – termine inglese traducibile con capriccio, bizzarria, anomalia, scherzo (di natura), mostruosità, fenomeno,  associato prima ai freak show (gli spettacoli in voga nell’800-900 nei quali venivano esibite creature straordinarie, deformi, bizzarre, mostruose – non solo umane: i cosiddetti “fenomeni da baraccone”), e a partire dagli anni ’60 al movimento contestatario e anticonformista americano (da cui “frichettone”).

Continua a leggere “Il volto e il corpo dell’altro – 8. Freaks!”

Corpi biochemiomeccanici – e dissociati

https://coreografadisogni.wordpress.com/2012/07/09/trasmigrazione-biomeccanica-dellanima/

Userò la condizione esistenziale di mio padre – violando così la sua privacy o velatezza, del resto lo avevo già fatto alcuni anni fa – senza alcun trasporto emotivo (nella misura in cui ci riuscirò), nella maniera più oggettiva e lucida possibile. Anche perché credo sia, almeno in parte, il suo stesso modo di guardarla. Come se cercasse parole per dirlo e concetti per descriverla – che proverò a prestargli con gli strumenti della filosofia.
Non che la filosofia non debba o non possa essere emotiva (noi siamo sempre in una condizione esistenziale connotata da una certa tonalità emotiva, come direbbe Heidegger) – ma qui occorre innanzitutto fingere l’espunzione dei sentimenti (e del sentimentalismo), prosciugare e ridurre all’osso, cercare l’essenziale. Impietosirsi non serve a capire, anzi sarebbe persino fuorviante.
Parliamo, cioè, della condizione esistenziale di una moltitudine crescente di anziani (ma non solo) integralmente medicalizzati. Un tempo “si moriva” dopo essere vissuti. Oggi si muore vivendo, o si vive morendo. I confini netti (e dialettici, dunque coessenziali) di morte e vita son più sfumati – ma, soprattutto, si sono andate costituendo nuove forme di vita, in una crescente commistione di biologia, chimica e meccanica. Corpi biochemiomeccanici hanno preso il posto degli antichi corpi naturali.
Ciò è sicuramente un progresso – non “si muore” più per caso, o si muore meno – si vive più a lungo, ci si conserva meglio – la quantità è salvaguardata. Ma che ne è della qualità?
Continua a leggere “Corpi biochemiomeccanici – e dissociati”

Le carcasse della metafisica

 

Questo slideshow richiede JavaScript.

Ho provato a fare ordine nella mia mente sul tema dell’animalità – su cui medito da tempo e che sto affrontando in vista del prossimo incontro del gruppo di discussione filosofica. Già questo “fare ordine nella mente” è indice di qualcosa di cruciale che accade in homo sapiens e che è essenziale per il processo dell’antropogenesi, proprio in relazione all’animalità. Ma, appunto, proviamo a procedere con un minimo di ordine.
Ho sempre trovato del tutto insufficiente l’approccio animalista o antispecista alla questione animale (ovvero: stabilire un minimo di regole etiche circa il nostro modo di trattare gli animali), proprio perché si fonda su un’inaggirabile posizione antropocentrica, ovvero sull’evidenza che il soggetto che pone il problema e che propone la soluzione è il medesimo, giudice e carnefice ad un tempo, razza padrona e dominante che per lenire il senso di colpa si inventa forme morali di risarcimento [a meno che non si voglia estinguere il problema con l’auspicio dell’estinzione della medesima razza umana, idea che conta un crescente numero di adepti e che si prospetta come una delle possibili configurazioni del nichilismo].
Continua a leggere “Le carcasse della metafisica”

Il volto e il corpo dell’altro – 1. Introduzione

matisse_viso_senza_volto

(Dedico questo incontro a due docenti universitari, ormai scomparsi e messi ai “margini”, ovvero Luciano Parinetto – uno dei miei maestri – e Franco Fergnani, un “maestro mancato”, entrambi alla cattedra di Filosofia morale dell’Università Statale di Milano, diversissimi per storie e riferimenti filosofici, ma entrambi dediti all’alterità, alla diversità, al cuore pulsante della filosofia, con passione e rigore)

L’altro, lo straniero, il diverso, l’estraneo – batte alla nostra porta.
Alterità e straniamento sono modalità essenziali ed originarie del presentarsi della filosofia nel mondo – la filosofia è innanzitutto un atto straniante, ciò che ci fa continuamente uscire dal pre-stabilito, dai confini, dalle abitudini. Che ci spinge sulla soglia per uscire dalle mura della città. Dall’identità che ci si ritrova cucita addosso – individuale e collettiva. La filosofia è un perenne volgere lo sguardo all’alterità, al di fuori dei confini e dei limiti consueti – e che ci invita a cercare le ragioni (ma anche le eventuali non-ragioni) di questa modalità di essere, sé e l’altro.
Con, però, un ricorrente pericolo: l’addomesticamento dell’altro, la riconduzione di ogni diversità e molteplicità all’unità (del pensiero), dell’altro-da-sé al medesimo.

Continua a leggere “Il volto e il corpo dell’altro – 1. Introduzione”

Poesia non poesia

razza-di-zingaro_dariofo-tmb

«I vari scrittori, italiani e non, i quali hanno strillato che Dylan non fa parte della letteratura, dovrebbero chiedersi prima di tutto se ne fanno parte loro, perché pubblicare un libro, o anche molti libri, significa essere dei lavoranti della scrittura, il che va bene, ma non significa per forza far parte di ciò che la letteratura decide di essere giorno per giorno. Vale ancora di più per la poesia. Che per ammontare a qualcosa deve uscire dalla pagina, deve acquisire una voce» (Alessandro Carrera)

«Nel mondo della merce, dello spettacolo e del pensiero unico… chi perde più tempo a leggere, e a leggere versi? … C’era proprio bisogno di correre in soccorso delle star? Sarebbe bastato aprire altre sezioni del Nobel, e  nel frattempo lasciare sopravvivere quella parola fragile, “diversamente musicale”, che vive unicamente sulla pagina» (Valerio Magrelli)

Al di là delle polemiche sterili, della faciloneria delle sparate social e di qualche mal di pancia “di categoria”, il Nobel a Bob Dylan, e la straordinaria contingenza della sua assegnazione nel medesimo giorno della morte di un altro premiato controverso quale fu a suo tempo Dario Fo – è interessantissimo proprio per quanto concerne lo statuto della poesia e della letteratura, che cosa esse siano (o siano diventate, vista la loro ovvia cangiante storicità), quale funzione sociale rivestono, quale il loro significato.
Continua a leggere “Poesia non poesia”