Animalia VI – Liberazione umano-animale e koinè

[Traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 15 aprile 2024, ultimo incontro del percorso Animalia]

Nulla turba più i sapiens del silenzio,
o quello che a loro appare silenzio,
degli animali.
(F. Cimatti)

(Prologo)
Senzaparole è un albo illustrato dell’artista spagnolo Roger Olmos, pubblicato nel 2014, ormai dieci anni fa: si tratta di un piccolo capolavoro che rappresenta con alcune straordinarie illustrazioni il nostro rapporto criminale – non saprei come altro definirlo – con il mondo animale, ovvero con quei soggetti che sono senza parole, ma la cui infinita sofferenza ha cominciato a trovarle, a parlare, anzi a gridare. Senza parole non sono solo gli animali, ma innanzitutto noi umani, che distogliamo lo sguardo, che per vivere in una società fondata sul sangue e sulla violenza, dobbiamo innanzitutto rimuovere, tenere nascosta, non nominare e rendere invisibile proprio l’enorme gabbia che tiene imprigionata una moltitudine di viventi sfruttati. Ecco, partiamo proprio da qui, da questa rimozione, che è ancor più grave se viene imputata ai pensatori, ai filosofi, a coloro che invece le parole dovrebbero saperle trovare.
Partiamo dallo stupore di Peter Singer, uno dei grandi maestri dell’animalismo e dell’antispecismo, di fronte a questo mutismo.

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Animalia V – Mechané, con una nota sul concetto di clinamen

Massimo Kaufmann, Clinamen 2013

[traccia del Gruppo di discussione filosofica dell’11 marzo 2024]

Parleremo questa sera di “riduzionismo”, ovvero di quella concezione tipica della scienza moderna che riduce la natura a “oggetto”, “elemento”, “meccanismo” – producendo conseguentemente una mentalità che la intende come cosa, risorsa, giacimento a disposizione degli umani. Secondo questa visione, tutto è riducibile a materia, non esistono principi “irriducibili” che sfuggano all’analisi fisica: tutto è fisico (che diventa sinonimo di naturale), tutto è spiegabile attraverso leggi fisico-materiali. La coscienza, l’etica, l’arte, le leggi, il pensiero, i sentimenti sono riducibili al loro sostrato biologico-evolutivo che è riducibile a quello biochimico che è a sua volta riducibile al piano fisico: un brillante esempio di operazione riduzionistica della vita è quella operata dal fisico quantistico Schrödinger, nel breve saggio Che cos’è la vita? – salvo dover concludere con una serie di osservazioni che alludono, come vedremo, ad un “problema difficile” da risolvere.
Ci muoveremo quindi su questo doppio binario: riduzione ed irriducibilità, risoluzione di tutti i problemi al livello fisico, e “problema difficile”.

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Ecoansia

L’episodio della giovane che, in lacrime, confessa al ministro dell’ambiente Pichetto Fratin di essere affetta da “ecoansia”, è una limpida rappresentazione di quel che ci attende nei prossimi tempi in tema di transizione “verde”, clima e dintorni. Non tanto per la manifestazione emotiva – per certi aspetti comprensibile – quanto per la reazione di colui che in quel momento rappresentava il potere: si può anche pensare che soggettivamente il ministro si trovasse in una situazione “empatica” con la giovane spaventata, ma la scena ci dà la misura plastica dell’uso che oggettivamente il potere (i corposi interessi che ne sono espressione) farà della paura dei sudditi.
Senza voler scomodare Spinoza, ogni volta che la sfera del politico si lascia condizionare dalle passioni tristi – dalla paura, dall’angoscia, dall’ansia e da tutte le consimili sfumature emotive – abdica a quella che è la sua funzione fondamentale, ovvero la capacità di analisi, conoscenza e trasformazione razionale della realtà.

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Filosofie della storia – 6. Il principio speranza di Bloch

1. Una filosofia della storia futura: quasi una contraddizione in termini.
La storia, il passato, la memoria, insieme alle condizioni materiali date, sono il complesso di elementi che pesa sulla vita degli umani, che sembra condizionarli, pre-determinarli, obbligarli su strade necessitate. Evocare quindi una filosofia della storia futura appare quantomai problematico, se si pensa alla forza di quei condizionamenti. Nello stesso tempo – basti pensare alla vita dei singoli – esiste pur sempre una controforza, una pulsione che spinge in direzione del nuovo, dell’inusitato, del non-ancora. Se c’è nell’individuo deve esserci anche in quell’individuo più in grande che è la collettività – fino probabilmente a spingersi all’intera umanità. Questa pulsione viene individuata dal filosofo tedesco Ernst Bloch nel principio speranza (Prinzip Hoffnung).
Principio, non solo affetto: Bloch pensa che la speranza non sia da restringere al campo sentimentale o soggettivo, ma che piuttosto costituisca una forza evolutiva presente a monte, ontologicamente, nell’essere, nella materia, nella vita stessa. Non solo: la speranza ha anche un significato cognitivo, è docta spes, una sorta di scienza utopica.

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Filosofie della storia – 4. Da Rousseau a Marx

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 13.02.2023]

È a partire dal ‘700, il secolo dei Lumi, che in Europa si viene formando una coscienza storica (e filosofica) che mette insieme quei salti temporali e spaziali che avevano preparato l’epoca moderna: l’idea, cioè, di un tempo lineare e progressivo e di uno spazio geografico globale, insieme al problema crescente della relazione tra le diversità culturali ed antropologiche, trovano una prima grande sistemazione concettuale nei filosofi a cavallo tra XVIII e XIX secolo, in un arco che va da Rousseau a Marx. Già Vico, poco prima, aveva chiamato non a caso “scienza nuova” la storia – l’unica scienza rigorosa possibile: se è vero che verum e factum corrispondono, e che la natura è fatta da Dio e solo Dio può conoscerne le leggi interne, allora ciò deve valere per la storia in relazione agli uomini, che proprio perché la fanno possono conoscerla dall’interno. Manca ancora un passo, che verrà fatto solo nel secolo successivo: poiché gli uomini fanno la storia, possono eventualmente anche disfarla e deviarne il corso.
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Il silenzio di Ratzinger

Quando Benedetto XVI giunse al soglio pontificio, ricordo che una mia cara amica laicissima e illuminista lo soprannominò papa Natzinger. Non solo per le parole e il programma – peraltro ampiamente annunciato nei decenni di stretta collaborazione con Wojtyla, un papa nuovissimo per ragioni di “marketing” e quantomai reazionario per ideologia – ma anche per la gestualità e per quel sorriso forzato, un po’ pastore tedesco un po’ sepolcro imbiancato. Certo, un giudizio quantomai tranchant, ai limiti del lombrosiano, che oggi verrebbe guardato storto dal fiume di retorica corrente.
Ma la guerra del nuovo papa contro il relativismo, la sua visione tradizionalista ed assolutista, forse inevitabile a ridosso dell’epoca della “guerra di civiltà” e della discussione europea sulle “radici cristiane”, non poteva che infastidire qualunque progressista. Oggi che più di ieri il progressismo è un concetto abusato e problematico (ma del resto il Pasolini del discorso sul “sacro” e una schiera di filosofi novecenteschi ci avevano avvertiti), possiamo non tanto rivedere ma ricollocare quel giudizio nel nuovo contesto, etico, antropologico e geopolitico.
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Il bacio dei contraddittori

Ascoltavo o leggevo distrattamente in questi giorni le discussioni a proposito di pos, denaro contante e dintorni, con tutte le stranezze e i rovesciamenti del caso: sinistri che invocano la libertà elettronica di pagare, destri che criticano le banche, e poi le solite immagini evocanti rotoli di banconote che circolano negli ambienti mafiosi o dell’economia nera, sommersa, informale, ecc.
Certo, non si tratta di quisquilie, visto che l’uso del denaro attiene alla vita quotidiana e alla socialità. Ma al di là delle questioni specifiche, non può non tornarmi in mente ogni volta quel che a proposito del denaro dice Marx, fin dai giovanili Manoscritti economico-filosofici. Per noi maneggiarlo (in verità sempre meno) è normale e scontato, ma non sarebbe male, ogni tanto, chiedersi che cos’è – perché tutto è il denaro tranne qualcosa di immediatamente chiaro, un po’ come la merce. Sono oggetti strani, sfuggenti, imbrogliati e quasi metafisici, per riprendere il linguaggio marxiano.
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Sgretolamento

L’idea che sia tutto da ripensare non può non sfiorarci.
È probabile che in ogni passaggio storico percepito come critico – come quando un mondo si sgretola e ancora non si avverte il profilo del successivo – questa sensazione di inadeguatezza sia una costante: anche se oggi ci sembra più diffusa del solito.
Lo è in particolare da qualche decennio – con una spinta ulteriore negli anni ‘20 del XXI secolo – proprio perché i processi sembrano sfuggire alla nostra comprensione. L’accelerazione tecnologica, le sfide cognitive (pandemia ma non solo), la crescita della coscienza del nostro impatto sugli ecosistemi, l’avvento di un nuovo – conflittuale – sistema geopolitico a vocazione multipolare – alla vigilia della meta demografica degli 8 miliardi di umani: tutto questo sembra “troppo” per le categorie di comprensione a cui eravamo abituati.
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Perché non possiamo non essere anti-americani

Una delle questioni che torna inevitabilmente alla ribalta nella guerra in corso (che ormai è del tutto fuorviante chiamare “russo-ucraina”), è la nostra posizione – degli antimilitaristi, della sinistra radicale, dell’Italia, ma anche dell’Europa – nei confronti degli USA, e della loro propaggine militare nel vecchio continente.
Dietro la facciata della Russia imperiale e aggressiva, si nasconde in realtà uno scontro a tutto campo tra potenze, con al vertice il destino del dominio globale americano.
L’America – che già nel nome è una sineddoche che si espande su tutto il continente, il caro vecchio “cortile di casa” – fin dalla fine della seconda guerra mondiale è andata consolidando un impero globale fatto di merci, finanza, basi militari (quasi 700 in oltre 70 paesi, con 270mila soldati dislocati), con una enorme capacità di diffondere e spesso imporre un certo immaginario e stile di vita, che nella sua narrazione sarebbe una sorta di compimento universale del meglio della storia umana, un vertice antropologico veicolato dall’Occidente.
Ma dietro questa colonizzazione dell’immaginario, c’è il dato duro e puro del controllo della materia (energia, mercati, denaro e – soprattutto – sistema militare: quando non basta la dissuasione morale o l’imperativo economico, si passa alla forza bruta: le guerre americane sono state innumerevoli: “Gli USA sono stati coinvolti in vari tipi di conflitto armato per 227 anni dei 245 della loro breve storia con circa 124 scontri armati”.)
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