«La lentezza delle piante è il loro maggior vantaggio sugli animali. Le religioni della passività, come il buddhismo e il taoismo, vogliono procurare agli uomini un’esistenza vegetale. Forse non sono consapevoli di questo carattere delle virtù che raccomandano; ma la vita attiva che esse combattono è eminentemente animale. Le piante non sono selvagge; la parte preparatoria o sognante della loro natura prevale di gran lunga su quella volitiva. Ma all’interno della loro sfera hanno qualcosa che ricorda da vicino gli uomini. I loro fiori sono la loro coscienza. A ciò sono giunte prima della maggior parte degli animali, ai quali l’azione non lascia mai tempo per la coscienza. Gli uomini più saggi, che hanno lasciato da un pezzo dietro di sé il tempo delle loro azioni, portano il loro spirito come un fiore. Le piante però hanno molteplici fioriture; il loro spirito è plurale e sembra libero dalla terribile tirannide dell’unitarietà dell’uomo. Il numero Uno ci ha catturato e ora siamo per sempre in sua balìa. Le opere disperse degli artisti hanno qualche somiglianza coi fiori; solo che, mentre la pianta fa nascere sempre la stessa cosa, gli artisti moderni sono scossi dalla febbre del diverso».
(E. Canetti, 1944)