La pandemia smuove essenzialmente passioni. È fatta sì di biologia, dati, scienza, statistiche, grafici, tabelle, strategie, elementi materiali, economia che si contrae o – come succede ora – che torna ad espandersi – è fatta di tutto questo complesso di elementi razionali, ma per lo più viene vissuta in modo passionale.
Tralascio di parlare della prima passione che si prova, ovvero la paura, con tutti i sentimenti correlati, dall’ansia al terror panico all’angoscia al proliferare di fobie immaginarie. Il passato ci mostra molti esempi in proposito, con un ricorrente prevalere dell’irrazionalità. Tutto questo è ampiamente noto, lo abbiamo studiato nei libri di storia, senonché ora ne siamo travolti. Ci siamo dentro.
Ma è un altro aspetto a colpirmi, ovvero la modalità emotiva prevalente nel porsi di fronte alle argomentazioni, nel respingerle, oppure recepirle e poi farle proprie, o anche nell’ignorarle: proprio perché occorre scacciare la paura, si mette in campo la fiducia, con le sue gradazioni, dalla fede cieca, anch’essa irrazionale, fino ad una fiducia critica e condizionata, avvertita, frammista di ragione e passione. Oppure la totale sfiducia, lo scetticismo, il proliferare dell’immaginazione. Vi è poi anche una forma di difesa estrema, l’indifferente ritrarsi in sé.
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