Filosofie della storia – 3. Nuovi mondi: le Americhe, l’Oriente. “Selvaggi” e civilizzati

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 16.01.2023]

Questo e il prossimo si possono considerare un unico incontro da suddividere in due puntate: tratteremo dell’istituirsi, con la modernità occidentale a partire dalla fine del XV secolo, di quella visione geostorica che via via si allargherà all’intero globo terracqueo, e che darà luogo ad una vera e propria filosofia della storia occidentale, tra Illuminismo ed epoca dell’ascesa della borghesia industriale. L’arco che ci interessa va dunque dalla “scoperta” dell’America di Colombo fino al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, un arco di 350 anni il cui processo condurrà fino alla globalizzazione del tardo Novecento – e alla sua crisi negli anni ‘20 del XXI secolo.
Se nello scorso incontro ci siamo concentrati su alcuni elementi fondativi della visione storica occidentale, in particolare per quel che riguarda la temporalità e la visione “progressiva” e diveniente, ci concentreremo ora sullo spazio, ovvero sugli aspetti geografici, geostorici ed antropologici – elementi che confluiranno, tra l’altro, nella visione geopolitica contemporanea.
L’annuncio di quest0 nuovo mondo è ben testimoniato dal filosofo inglese Bacone, che vede con acume visionario nelle vele e nei cannoni – e più in generale nella tecnica – i soggetti principali di una epoca di grande trasformazione: vele e cannoni viaggiano su mari e oceani, ed è proprio questa la chiave di volta di un’accelerazione temporale della storia e di un suo allargamento spaziale come mai prima nella storia umana.

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L’intruso

(traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 14 marzo 2022)

Mai come per l’argomento di questa sera – medicalizzazione della vita e rimozione della morte – è valido un approccio di tipo complessivo e dialettico: inquadrare la mutazione del fenomeno-morte nelle nostre società implica la necessità di guardarlo da lontano, e soprattutto in relazione con diversi piani, categorie, strutture. Ciò che è una modalità tipica dello sguardo filosofico: penetrare al di là della superficie, andare a vedere le molteplici cause, risalire alle radici, trovare le connessioni, individuare gli sviluppi e i loro intrecci. Ciò che qui possiamo solo provare a fare schizzando un quadro e offrendo degli spunti per ulteriori analisi e riflessioni.

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Caste biologiche

Essendo precipitati in un tempo e in uno spazio ignoti, contrassegnati dall’invisibilità del “nemico”, si moltiplicano le metafore utilizzate dalla nuova santa alleanza politico-medica, sia per descrivere quel che accade sia per ordinare quel che dovrà accadere. Com’è noto, la retorica prevalente è quella militare, che avrà ricadute sociali pesanti. Si insinuano poi nei linguaggi dei virologi e dei politici altre metafore volte a costruire gli scenari futuri (le famose fasi 2 e 3): una ricorrente è la “patente di immunità” – anche se uno scienziato italiano qualche sera fa ha specificato che sarebbe meglio parlare di “foglio rosa”.
Queste immagini, che hanno l’apparente funzione di deviare o alleggerire l’asfissiante stato di emergenza, prefigurano in realtà pericolosi esiti di ingegneria sociale e di governo biopolitico della società. Intendiamoci: una società di massa è organizzata a priori per essere addomesticata, immunizzata e biotecnologizzata, e lo è ontologicamente, ovvero o si dà con quelle condizioni o non si dà. Le alternative sono comunque al di fuori dell’imperante logica hobbesiana dello stato (ovvero del decisore ultimo delle vite individuali nel nome di un interesse superiore di potenza collettiva). E al momento queste alternative – anche solo immaginate – sono ridotte pressoché a zero.
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Zoon politikon 6 – Popolo, moltitudine, populismi 2.0

«I più, ciascuno dei quali non è un uomo di valore, possono tuttavia, riunendosi, essere migliori dei pochi. […] Infatti, essendo molti, ognuno ha la sua parte di virtù e di saggezza, sicché con la loro unione dalla moltitudine (plethos) si ottiene una sorta di uomo unico con molti piedi, molte mani e capace di percepire molte cose, e lo stesso accade anche per i costumi e l’intelligenza (dianoia)» [Aristotele, Politica]

[plethos: moltitudine, folla, masse, la maggior parte; in assonanza con populus, plus, polis – tutte parole derivanti dalla radice indoeuropea par- o pal- che esprime il concetto di riunire, mettere insieme]

Questa tesi aristotelica sull’unità dei molti – che potrebbe essere avvicinata alla interpretazione moltitudinaria del suo intelletto attivo, così come verrà riletta da Averroè come potenza collettiva dell’intelligenza umana, una sorta di mente sovraindividuale che può anche essere avvicinata al concetto marxiano di general intellect – ci riporta ai fondamenti della concezione politica, sia greca sia ripresa poi dalla modernità: l’unificazione dei molti risolverebbe il problema del conflitto naturale (la guerra di tutti contro tutti), soprattutto se è in grado di istituire uno stato coeso sorretto da un popolo-corpo unico, secondo la visione di Hobbes, che consolida ed anzi moltiplica la propria potenza di sviluppo, quasi si trattasse di un organismo biologico dotato di molte mani, braccia, gambe e di molte menti.
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Zoon politikon – 3. Lo stato-leviatano

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Occorrerebbe affrontare questo tema innanzitutto da un punto di vista storico, per cercare di capire come la forma politica muta (ammesso che se ne possa identificare una privilegiata, ovvero la pòlis greca da cui siamo partiti, scegliendola come invenzione vincente dell’organizzazione sociale): in particolare com’è che si è passati da realtà politiche locali (le città-stato) ad organismi enormi come gli imperi (quello alessandrino, quello romano, poi le strutture politiche medievali, complicate dalla “città di Dio”).
Bisognerebbe anche discutere delle basi giuridiche dello stato moderno, cioè di quella forma politica che si affaccia in Europa chiaramente a partire dal XVI-XVII secolo: vi è tal proposito un grande dibattito in ambito filosofico-politico – con il cosiddetto giusnaturalismo – che tenta di spiegare la nascita dello stato a partire dal concetto-limite dello stato di natura.
Vi è poi – e credo sia l’elemento cruciale – la demografia, in stretta connessione con le trasformazioni economiche e produttive (e, più di recente, con quelle tecnoscientifiche e mediche): nella forma dello stato diventa cioè sempre più preponderante l’elemento del popolo, della nazione, dell’identità collettiva – praticamente invenzioni della modernità (anche se l’idea di patria è senz’altro più antica).
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Terzo fuoco: homo homini deus

Q10

Il nostro terzo incontro avrà come oggetto di discussione la religione. Naturalmente è un argomento vastissimo, noi ci limiteremo a domandarci se ha ragione Marx nel definirla oppio del popolo, e quale possa essere il senso di questa definizione in un periodo così tormentato (anche in termini religiosi) come il nostro. A guidarci sarà L’essenza del cristianesimo, un saggio del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, pubblicato nel 1841 e cruciale (anche per Marx) sul significato della religione nella vita umana – con un approccio che antropologizza la teologia e umanizza il divino, invertendo così i termini del rapporto che lega l’uomo a Dio (il predicato e il soggetto), svelando il “trucco religioso” e smascherandone il vero senso: non Dio crea l’uomo, quanto piuttosto è l’uomo a creare Dio, riponendo in esso le cose essenziali, i tesori della propria umanità. Se tradizionalmente si pensava che il soggetto-creatore fosse Dio, e l’uomo il predicato che ne deriva, occorre invece rovesciare questo rapporto, e rimettere le cose al loro posto.

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Settima parola: bene

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(Vista la vignetta dei Peanuts qui sopra, mi toccherà forse parlar male del bene…)

Nel termine latino bonum (aggettivo bonus) ci sono tutte le caratteristiche con le quali viene comunemente utilizzato il concetto di bene: dal summum bonum, all’essere retti e onesti, alla felicità, utilità, prosperità, ecc.
Senonché dire:
il Bene
-fare il bene (o meglio, buone azioni)
-io sto bene
sono espressioni molto differenti, che si riferiscono ad accezioni parecchio diverse della medesima parola.
Che alludono ad una diversa caratterizzazione del bene a seconda che esso venga inteso in termini oggettivi (il bene come idea-valore in sé) o in termini soggettivi, e dunque relativi a situazioni sociali e storiche determinate, o più semplicemente concernenti le relazioni intersoggettive (utilità, felicità sociale e individuale, ecc.).

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Innanzitutto umani

Sempre più homo homini lupus (come voleva Hobbes), sempre meno hominem homini Deum (come avrebbe voluto Spinoza). Sull’orlo del fallimento definitivo dell’umanesimo cosmopolitico, frutto faticoso di millenni: le radici greche e classiche, cristiane, orientali, rinascimentali ed illuministiche dell’Europa si vanno inesorabilmente disseccando. Mentre sempre più umani non sanno più pensarsi e rappresentarsi innanzitutto come umani.