Il percorso di quest’anno – dedicato all’Antropocene, cioè all’epoca in cui sul pianeta parrebbe essere dominante e determinante per i suoi equilibri la specie umana – è stato inevitabilmente attraversato dai consueti chiaroscuri: se il successo evolutivo di homo sapiens, con la progressiva espansione della sua parte mentale e “metafisica” (quel che abbiamo denominato come sfera della coscienza) ha del prodigioso, d’altro canto proprio questo sviluppo ha comportato ricadute letali per l’ecosistema e le altre specie (e, in prospettiva, per la sopravvivenza della stessa specie umana).
Quel che faremo stasera è provare a identificare nel concetto di discrezione – in senso lato, e sulla scorta del libro L’arte di scomparire del filosofo francese Pierre Zaoui – un possibile antidoto (un contravveleno, come dice Zaoui) alla forma più letale dell’antropocentrismo fin qui manifestatasi nella storia umana, una forma che ha avuto origine in Occidente ma che interessa ormai l’intero ecumene, che ha anzi come esito finale quello dell’istituzione dell’ecumene (la casa umana) come casa globale tendenzialmente coincidente con la biosfera: l’occupazione sistematica del pianeta da parte della specie umana pretenderebbe quindi di far diventare la casa di tutti una casa esclusivamente propria.
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Ottavo fuoco: la bellezza
Avevamo parlato due anni fa dell’arte. Ora è il turno della bellezza, cui inevitabilmente questa rinvia. Ma se l’arte è il fronte oggettivo, visibile, espressivo del mondo estetico, la bellezza ne è lo sfuggente lato soggettivo, legato al gusto e al piacere individuali.
Arte (e natura) si stagliano – sterminati e muti – di fronte a noi, laddove è il sentimento della bellezza in noi a scuoterci. Ma donde viene questo sentimento? Come si è formato? Cos’è?
È questa la domanda – che possiamo volgere anche nella forma classica, e un po’ abusata, del bello in sé o bello per noi: è bello perché ci piace o è bello perché lo è in se stesso?
Già la formulazione di questa domanda richiede un chiarimento terminologico tra piacere e bellezza, ma ci torneremo tra poco.
Cominciamo col dire che i filosofi hanno risposto in modi diversi al quesito, e che solo da un paio di secoli e mezzo è nata quella disciplina filosofica denominata Estetica, che si occupa di bellezza, di gusto, di arte in maniera sistematica, cercando di fare ordine e chiarezza in questo campo, sia a livello percettivo che formale.
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Aforisma 100
Che ci debba pur essere qualcosa che non sia posseduto, usato, consumato; nemmeno interessante, ma solo da contemplare – questo è il segreto (o la speranza) della bellezza.
Finché le nostre labbra raggiunse il muschio
Morii per la bellezza – ma non m’ero
ancora abituata alla mia tomba
quando un altro – morto per la verità –
nel sepolcro vicino fu adagiato –
Piano mi domandò perché ero morta –
“Per la bellezza” – gli risposi – e lui:
“Io per la verità – è una sola cosa”
disse “siamo fratelli”.
Così, come congiunti che di notte s’incontrino –
dall’una all’altra stanza conversammo –
finché le nostre labbra raggiunse il muschio –
e coprì i nostri nomi –
[oggi nessuno, per lo meno in questa parte del pianeta, ambirebbe più a morire per cose piuttosto aliene come la bellezza e la verità; e tutto sommato è un bene, ché di solito quando qualcuno brandisce la spada nel nome della verità produce più danni che benefici; però forse Emily Dickinson ci vuol suggerire una morte più simbolica e trasfigurata, fatta di sottili allusioni, smottamenti delle gerarchie e dei significati; e poi comunque lei muore per la bellezza, non per la verità; che si dissero da una stanza all’altra? e… ma forse è meglio tacere, e coprire quei nomi pudicamente, col muschio di un silenzio più antico di ogni parola sussurrataci dal passato]
La Genesi e il perturbante
Proprio mentre stavo ammirando il fulgido lavoro di Sebastião Salgado intitolato Genesi – il progetto durato un decennio di catalogare fotograficamente (ma sarebbe meglio dire, nel suo caso, trasfigurare poeticamente) i luoghi naturali ed antropologici più lontani, irraggiungibili e pressoché incontaminati del pianeta – mi capita tra le mani un romanzo di Georges Simenon di cui non conoscevo l’esistenza, appena ripubblicato da Adelphi, ed intitolato Hôtel del ritorno alla natura (peccato che non lo conoscessi, visto che su questo tema ci avevo fatto la tesi). Il prolifico autore belga-francese lo aveva scritto a Tahiti negli anni ’30 (guarda caso, un luogo mitizzato proprio dalla cultura francese, da Diderot a Gauguin), prendendo spunto da un inquietante fatto di cronaca avvenuto in un altro luogo leggendario, quelle isole Galàpagos dove Darwin aveva trovato non pochi spunti per la sua rivoluzionaria teoria.
Nel catalogo di Genesi vi è un capitolo dedicato proprio alle Galàpagos, isole che ci vengono ritratte se non come un luogo paradisiaco senz’altro come una riserva naturale straordinaria, dove la terra, il mare, il fuoco, i venti si incontrano e danno luogo a sculture mirabolanti, e migliaia di specie animali convivono in pace (una pace che certo non esclude la legge ferrea dell’eterotrofia).
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Ottavo (ed ultimo) lunedì: arte e bellezza oltre le scissioni
Partirò per la mia analisi da una delle scissioni fondative (probabilmente la madre di tutte le scissioni) della natura umana, cioè del nostro modo di concepire il mondo e noi stessi: l’opposizione con l’animalità.
Sta proprio qui – nell’opposizione originaria con l’animale, se si vuole il corpo stesso della nostra base biologica – il fondamento di tutta la nostra produzione culturale, spirituale, e dunque artistica ed estetica.
La mia tesi è che la maledizione della scissione – il vivere sempre come decentrati, in altro, al di là e fuori di noi stessi, come straniati – rechi con sé tanto il frutto velenoso dell’alienazione, dell’insoddisfazione, della noia e dell’angoscia, del desiderio mai sopito e realizzato (il nostro essere incompleti, mancanti, la nostra non accettazione della finitezza e della mortalità), quanto il sogno della bellezza e della perfezione.
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Kandinsky a Burgess Shale
Trovo meraviglioso che un artista cacciato dai nazisti (i quali cancellarono in un sol colpo quell’esperienza creativa e straordinaria che era stata il Bauhaus), le cui opere vennero esposte in Germania come arte degenerata, e che sarebbe poi morto a Parigi senza vedere la fine della guerra, negli ultimi anni abbia avuto l’impulso e la forza di creare nuove forme di vita – rispondendo così con l’arte e la bellezza alle pulsioni di morte di cui la vecchia Europa era preda.
Proprio nel 1938 Vasilij Kandinsky dipinse Ammasso regolato (in altri testi l’ho trovato titolato con Insieme multicolore) e nel 1940 il suo quadro forse più metafisico Blu di cielo (o Azzurro cielo), che appare una sorta di celebrazione della vita pullulante, variegata e rigogliosa di Burgess Shale – un biomorfismo ed una geometria vitale senza eguali nell’arte del Novecento: «In questo modo l’arte astratta pone accanto al mondo reale un nuovo mondo che esteriormente non ha nulla a che fare con la realtà»; Kandinsky osserva le cose con uno sguardo interiore che penetra attraverso «il duro involucro, la forma esteriore e giunge all’interno della cosa, facendoci percepire il suo pulsare interno con tutti i nostri sensi».
Se è vero che quanto più si crea tanto più si è liberi, allora Kandinsky è stato davvero un uomo libero.
Secondo lunedì: éros e agàpe
[Quella che segue è la traccia del mio intervento al Gruppo di discussione filosofica tenutosi lo scorso lunedì 18 novembre, cui è seguito il contributo dell’amico e teologo Marco Paleari. Che ci ha consegnato una visione tutt’altro che eterea dell’amore cristiano – éros come un uscire da sé e andare verso l’altro – che affonda le proprie radici in una complessa tradizione religiosa e spirituale non riducibile a quella occidentale o al cattolicesimo, con interessanti riferimenti all’arte, all’iconografia, al misticismo e ad un pensiero teologico più propenso ad indicare che a prescrivere, decisamente più comprensivo che moraleggiante. È stata una serata ricca di spunti, con una partecipazione davvero straordinaria – fin nel numero di presenze, che ha superato le 30 persone, ma che ha scontato l’ovvio limite dell’ampiezza del tema e della pochezza del tempo a disposizione: troppa carne al fuoco, insomma, anche se preferirei un’altra metafora, visto il mio vegetarianesimo…]
***
Cominciamo dalle parole e dai loro significati originari. Ne metto in gioco tre, tutte della lingua greca:
éros – philìa – agàpe
(in verità quest’ultima è pochissimo usata, ed entrerà nel vocabolario religioso quando si tratterà di tradurre in lingua greca il concetto dell’amore di Dio nei confronti degli uomini).
Questo il significato delle due parole più utilizzate:
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Amor…
Lasciare che sia la contingenza
di corpi e menti e spiriti che incocciano
a decidere lì per lì
– forse la cosa più bella che ci si possa attendere dalla vita
o quella più vitale che possa venire dalla bellezza
o che la vita possa aspettarsi da se stessa.
Non tanto l’esito dell’incontro
quanto l’incontro in sé, la sua pura idea
– la relazione in sé.
Non la prosa dell’accoppiamento
ma la poesia dell’attesa,
non l’atto che si consuma
ma la potenza che si strugge.
L’assenza, non la presenza.
L’amare, non l’essere amati
– quasi un amore senza s-oggetti.
L’estro dell’essere, prima che qualcosa sia.
Psicosofie estive – 7. Repetita iuvant
Già una volta mi ero meritato le lucciole.
Però non credevo che una cosa del genere si sarebbe potuta ripetere.
Certo, non è mai la stessa cosa. Trattasi degli ossessionanti indiscernibili leibniziani: perché mai dovrebbero esistere due cose identiche?
E di fatti: niente lucciole, tre anni di più, una maggiore stanchezza che grava sulle membra accaldate e sprofondate nella sedia a sdraio, qui sul balcone. Il crepuscolo promettente in arrivo non è sufficiente a farmi muovere.
Poi succede che… quel refolo d’aria fresca… quella striscia rosata di una certa nuvola… quel battito d’ali delle mie due amiche nottole… insomma, un concorso di banali concause, ed ecco che, come un automa, mi trovo catapultato sul solito viottolo di campagna, al limitar del bosco.
Se non altro, è fresco. Lo percorro mentre la luce si disfa e le tenebre faticano a prenderne il posto.
Decido che è meglio tornare, sto già crollando, e poi domattina… d’un tratto la vedo: ma quella? possibile che lei sia lì per me? quella forma, quella rotondità (invero smussata, anzi smangiata), quel suo sporgere inaspettata dalle robinie nerastre, quel colore inaudito: una lampada accesa sulla linea dell’orizzonte…
E così i pensieri si accendono dello stesso colore; la frase, scurrile, che si presenta è «ma che cazzo di dèi adorano gli umani, se io sono l’unico inginocchiato qui, su questo sentiero polveroso?».
E allora decido di farlo: ma non è un ululato, è un urlo che mi squassa il petto, e che spero squassi anche l’aria e la distanza che corre tra me e lei. Lei che, ne son sempre più certo, stava lì ad aspettarmi. Con quella faccia rosarancio mai vista, là dietro l’intrico dei rami e i profili scuri dei vegetali dai quali vorrebbe liberarsi. E sopra i quali, tra poco, sorgerà.
Mi spolvero le ginocchia e mi sovviene un ultimo pensiero: però qualcuno degli amici e delle amiche, qualcuno tra i viventi o tra gli essenti di questo pianeta, una qualunque anima sperduta come la mia, l’avrà pur notata, e come me si sarà inginocchiato ad adorarla e magari le avrà pure urlato qualcosa, o si sarà limitato ad accarezzarla, o a sognarla o… o a immaginarne forma e colore, come Kandinsky.
Lui, la luna e quei cerchi.
Segni e graffi, sulla tela nera ed immensa di questa notte muta e senza stelle.