Animalia IV – La natura come Wunderkammer. Con una nota finale sul concetto di forma

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PARTE PRIMA – Bellezza evolutiva

«Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o ad una sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose» – così Darwin chiudeva la sua opera L’origine delle specie, comparsa nel 1859.
Il concetto di meraviglia (e di bellezza) è qui presente innanzitutto in una forma che potremmo definire esteriore: un alieno che arrivasse sulla terra (secondo l’esperimento mentale del biologo contemporaneo Kupiec) vedrebbe nello spaziotempo il manifestarsi delle linee vitali attraverso una enorme variabilità e sperimentazione di sempre nuove forme, forme mai fissabili in categorie, ma perennemente cangianti. Un’apparenza di stabilità contro un continuo lavorìo metamorfico su tempi lunghissimi, misurabili in centinaia di milioni di anni. Un processo che procede però senza un apparente ordine, con ritmi quantomai contingenti e imprevedibili: basti pensare a quel che i paleontologi definiscono “il noioso miliardo” (da 1,8 a o,8 miliardi di anni fa), in contrapposizione all'”esplosione del Cambriano”, quasi un’epoca psichedelica e lisergico-evolutiva.
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Animalia I

(traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica tenutosi il 6 novembre 2023)

1. Nella relazione umano-animale si annidano gran parte (se non tutte) le questioni fondamentali che riguardano la nostra essenza, storia e destino.
In questi anni di discussioni filosofiche abbiamo già affrontato il tema dell’animalità (così come quello della natura, del mondo vegetale, dei corpi-macchine, dell’intelligenza, della coscienza, del rapporto con gli ecosistemi, ecc.) – ma mi sembrava fosse venuto il momento di raccogliere queste membra sparse in un percorso più organizzato, così da avere un quadro il più possibile completo e da poterne approfondire gli aspetti più importanti.

2. Questo un breve e sintetico elenco dei temi e dei campi di riflessione che derivano dalla cosiddetta “questione animale”, ovvero dalla relazione problematica tra umani e animali non-umani:

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Filosofie della storia – 2. Se la storia ha un senso: per i greci, per i cristiani, per i moderni

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 12.12.2022]

Sommario: Una pagina di Berdjaev sul concetto di “storico” – Il metodo dell’istorìa – La geostoria di Ecateo – Le Storie di Erodoto – Il rigore di Tucidide – Assenza di una “filosofia della storia” nel mondo greco – L’universalismo di Polibio – Messianismo biblico – La città di Dio di Agostino – L’escatologia in Gioacchino da Fiore – Tempo lineare e “progresso”

In una pagina molto ispirata all’inizio del saggio del 1923 Il senso della storia, il filosofo spiritualista russo Nikolaj Berdjaev evoca un’aria di profonda universalità e spiritualità nel rapporto che lega l’individuo al destino storico – più che dei singoli popoli o stati o nazioni, dell’intera umanità. Quasi che il senso dell’uomo sia quello della storia e viceversa, che il mistero dell’umanità si riveli proprio nella storia e che esista una intensa e sotterranea corrispondenza che lega tutte le epoche: dice Berdjaev che “tutto è mio”, l’intera spiritualità umana si riversa nel singolo che ne partecipa.
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“Innumerevoli forme e meravigliose”

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La vita ha qualcosa di inafferrabile. Fa parte di quella categoria di concetti che, per l’eccessiva generalità o profondità, sfuggono alla possibilità di essere definiti – un po’ come succede coi concetti di essere o totalità o natura: tutti sappiamo che cosa si intende con quei termini, ma volendoli definire ci si avvolge in difficoltà… tipicamente filosofiche. «Benché sperimentiamo la vita quotidianamente – scrive il chimico e divulgatore scientifico Jim Baggott – e siamo in grado di riconoscerla facilmente quando la vediamo, in effetti non sappiamo davvero che cosa essa sia».
Nel caso del fenomeno della vita, è stata la scienza a prendere il sopravvento in epoca moderna (già era successo con il mondo fisico, lasciando alla filosofia le briciole dei concetti poco interessanti per la vita pratica degli umani). Per la biologia moderna la vita diventa un problema da risolvere, mentre per la filosofia rimane un enigma che non può essere sciolto. Noi qui ci occuperemo innanzitutto del problema, lasciando ai margini l’enigma (e il fascino del mistero), anche se vedremo come nel linguaggio scientifico finiscano poi per ricorrere termini e categorie di ordine filosofico.

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Il biopunto in 11 punti: il virus come iper-oggetto

[Sommario: Il peso dell’incompreso – La forma del virus – Iperoggetti – Le tesi biopolitiche di Foucault – Masse biologiche e masse psichiche – Corpi sani, corpi potenziati – Homme-machine – Riduzionismo: ta stoicheia – Limite, Hybris, Aidos – Meccanizzazione  e addomesticamento – Pesantezza della tecnica – Bioetica ristretta e Bioetica generale – In bilico]

1. Non avrei voluto scrivere più nulla sul virus e sulla pandemia, almeno per qualche tempo, dato che già lo sento come un peso che grava quotidianamente, ma l’impulso a riflettere, pensare, scrivere, e così facendo liberarsi dei pesi dell’incompreso (o almeno provarci) non è controllabile, viene e basta, e occorre obbedirgli. E poi il primo anniversario poteva anche essere un’occasione buona per fare il punto sulla situazione. Cosa che risulta non meno problematica oggi di un anno fa, quando marciavamo verso l’ignoto, mentre ora ci viene detto che si sta per uscire dal tunnel e che l’immunizzazione arrecata dai vaccini sarà la luce che ci salverà.
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La mano di Chandra

Fin troppo citata la testimonianza in cui Anassagora dice che l’uomo è il più sapiente dei viventi perché dotato di mani: «Le mani, in effetti, sono uno strumento e la natura, come un uomo sapiente, dà ogni cosa a chi può usarla». Soprassediamo qui sulla questione se l’uomo sia più sapiente perché dotato di mani o, viceversa come sostiene Aristotele, venga dotato di mani proprio in virtù della sua sapienza.
Non so quanto poi il tema sia stato trattato in modo sistematico, di certo esisteranno scritti antropologici o biologici, ma non mi risulta una “storia della mano” di intento universalistico (ho trovato solo una storia della stretta di mano). Strano, vista la moda recente di scrivere la storia di qualunque cosa (dal vento alla sabbia, dal sangue allo zucchero). Seguiamo però la lezione aristotelica circa l’universalità della poesia (a differenza della storia): questa poesia di Chandra Livia Candiani sulle mani ne è un raro esempio. Dove non possono le scienze – umane o naturali – è l’espressione poetica a dire l’essenziale.

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Anarco≠comunismo

«L’io, io!… il più lurido di tutti i pronomi!… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona». (C.E. Gadda)

La pandemia da SARS-CoV-2 ha resecato a mezzo il cuore della sinistra.
Quel cuore che – specie dopo il ‘68 – aveva provato a coniugare libertà e giustizia – rifiutando insieme l’egualitarismo omologante e totalitario del modello sovietico e il liberismo proprietario e mercantile dell’Occidente, omologante a sua volta in altra maniera. Immaginando di poter percorrere un’altra strada. O altre strade.
Per lo meno, se mi volto indietro, è questo il cuore politico di quel che sono – ed è questo cuore, che è anche il mio, ad essere resecato a mezzo.
Nella mia gioventù era ingenuamente la formula dell’anarcocomunismo: non si poteva che essere libertari (contro l’autorità, contro i padri, contro lo stato di polizia, per l’autodeterminazione a tutti i livelli), non si poteva che essere insieme comunisti (contro la proprietà privata, lo sfruttamento, l’alienazione capitalistica, per il bene comune, per una radicale giustizia redistributiva).
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7 parole per 7 meditazioni – 6. Spazio

Premessa inevitabile e contingente: stiamo sperimentando in questi giorni una forma molto particolare (e inaspettata) di spazio – quella della distanza di sicurezza, della misura che ci allontana dall’altro e ci protegge (o, viceversa, protegge l’altro) dal contagio.
Esiste dunque anche uno “spazio” e, addirittura, una “metafisica” della peste. Ne ha parlato, ad esempio, Sergio Givone in un bel saggio di qualche anno fa. Lo spazio, in questi termini, ci appare come uno “spazio vitale” (Lebensraum era parola terribile dell’ideologia nazionalsocialista) – lo spazio che ciascun vivente occupa e che non può essere condiviso con un altro vivente, il quale si deve tenere a debita distanza. Viviamo nell’epoca per antonomasia dell’immunizzazione e della biopolitica: lo stato istituisce e gestisce lo spazio vitale nel quale i corpi che lo compongono (vedi Hobbes!) devono essere sani e immuni. La cultura sembrerebbe non essersi poi così allontanata dalla natura.
D’altro canto lo strato sterile ed immunizzante che ci avvolge – l’igiene, il mondo artificiale, la tecnologia, le macchine, gli algoritmi – crea l’illusione di una separazione (e protezione) dalla natura e dai suoi pericoli. L’ecumene, lo spazio umano, sovrasta la biosfera, lo spazio naturale. Ma è sufficiente un virus – o un piccolo sommovimento della sfera terrestre – a sconvolgere le nostre certezze, e a riprecipitarci nell’angoscia originaria. Lo spazio torna a contrarsi, se non a sbriciolarsi.
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7 parole per 7 meditazioni – 4. Persona

Il concetto di persona ci svela fin dall’etimologia il problema riguardante le teorie dell’individualità: persona è, letteralmente, maschera (dal greco prosopon mediato forse dall’etrusco phersu), termine teatrale che allude alla duplicità, se non addirittura alla doppiezza, o comunque alla stratificazione e molteplicità di quella parte di noi stessi che denominiamo “io”. Pare che il primo filosofo ad utilizzare “persona” sia stato lo stoico Panezio, nel II secolo a.C.: interessante notare come gli stoici concepissero il ruolo dell’individuo in termini di “parte” (moira) nel destino del mondo – un po’ come la maschera svolge un ruolo nella scena teatrale.
Già tutti questi termini – io, me stesso, individuo (non-diviso, equivalente latino del greco a-tomos), persona, cui possiamo aggiungere soggetto, anima, coscienza – non sono affatto sovrapponibili, ciascuno di essi allude a significati o sfumature diverse; in ogni caso, quando parliamo di noi stessi, la prima cosa che salta agli occhi è proprio questa molteplicità : io sono io, ho un’identità (il nome è già una definizione di singolarità), ma se vado poi a vedere che cosa c’è in questo contenitore individuale – cosa c’è dietro la maschera-persona – scoprirò una varietà di elementi, spesso contraddittori. Io sono vasto, contengo moltitudini, dice Walt Whitman.

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7 parole per 7 meditazioni – 1. Meraviglia

Cominciamo dalle parole di Aristotele (che in verità non è il primo filosofo ad avvicinare la meraviglia alla filosofia, già lo aveva fatto Platone nel Teeteto : “Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo”).
All’inizio della Metafisica, dopo aver ricordato (nelle prime righe) che tutti gli uomini sono per natura portati alla conoscenza, e che anzi essi amano conoscere, a partire dall’esperienza estetica, sensibile – Aristotele riprende l’espressione platonica e afferma che “gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare”.
Il termine thauma (verbo: thaumazo) si riferisce sia all’oggetto meraviglioso – il portento, il prodigio, il miracolo, anche in senso mostruoso – sia al sentimento che si prova di fronte a quell’oggetto: la meraviglia, l’ammirazione, lo stupore, la sorpresa.
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