La più deprimente di tutte le saghe

Due appunti di Canetti sulla storia, risalenti al 1950:

«Darei molto se potessi disimparare a vedere il mondo nella prospettiva della storia. Questa divisione per anni è miserevole, tanto più quando si estende alla vita degli animali e delle piante nei periodi in cui non era ancora gravata della nostra presenza. La corona della tirannia umana è il computo degli anni; la più deprimente di tutte le saghe è quella che racconta che il mondo sarebbe stato creato per noi».

Ovviamente noi oggi sappiamo – dovremmo saperlo per lo meno dai tempi di Spinoza – che non siamo affatto il fine della vita o della creazione, e che il nostro impero nell’impero è fasullo; eppure né la conoscenza, né lo scetticismo, nemmeno un fugace sospetto scalfisce la credenza di fondo, e così ci comportiamo come se fossimo davvero i padroni del tempo e dello spazio storico. E come se la storia non potesse procedere altrimenti che così. Canetti fa a tal proposito un’ulteriore osservazione:

«La storia presenta tutto come se niente si fosse potuto svolgere altrimenti. Invece si sarebbe potuto svolgere in cento modi. La storia si mette dalla parte di quel che è avvenuto e lo distacca dal non avvenuto costruendo solide connessioni. Tra tutte le possibilità si basa su quella sola che è sopravvissuta. Così agisce sempre la storia, come se fosse dalla parte dell’avvenimento più forte, cioè di quello realmente avvenuto; non sarebbe potuto rimanere non avvenuto, doveva avvenire».

Il silenzio di Ratzinger

Quando Benedetto XVI giunse al soglio pontificio, ricordo che una mia cara amica laicissima e illuminista lo soprannominò papa Natzinger. Non solo per le parole e il programma – peraltro ampiamente annunciato nei decenni di stretta collaborazione con Wojtyla, un papa nuovissimo per ragioni di “marketing” e quantomai reazionario per ideologia – ma anche per la gestualità e per quel sorriso forzato, un po’ pastore tedesco un po’ sepolcro imbiancato. Certo, un giudizio quantomai tranchant, ai limiti del lombrosiano, che oggi verrebbe guardato storto dal fiume di retorica corrente.
Ma la guerra del nuovo papa contro il relativismo, la sua visione tradizionalista ed assolutista, forse inevitabile a ridosso dell’epoca della “guerra di civiltà” e della discussione europea sulle “radici cristiane”, non poteva che infastidire qualunque progressista. Oggi che più di ieri il progressismo è un concetto abusato e problematico (ma del resto il Pasolini del discorso sul “sacro” e una schiera di filosofi novecenteschi ci avevano avvertiti), possiamo non tanto rivedere ma ricollocare quel giudizio nel nuovo contesto, etico, antropologico e geopolitico.
Continua a leggere “Il silenzio di Ratzinger”

L’orizzonte hegeliano

Hegel era senz’altro capace di ironia, talvolta caustica, così come senz’altro incapace di autoironia (forse le due cose si contraddicono, ma lui era un grande esperto in materia).
Chissà se quindi avrebbe applicato su di sé, due secoli dopo, quanto aveva detto a proposito di alcuni filosofi dell’antichità e della mole delle loro opere. È il caso di Crisippo, grande stoico del III secolo a.C., cui venivano attribuite non meno di 700 opere, andate tutte perdute. Hegel, nelle sue Lezioni di storia della filosofia (che peraltro sono frutto di appunti dei suoi allievi), dice che «se è da deplorare che non si sia salvata neppure una delle sue opere migliori, tuttavia è forse una fortuna che non si siano conservate tutte: se si dovesse scegliere fra tutte e nessuna, la decisione sarebbe difficile».
Dopotutto, anche senza quelle migliaia di pagine, il principio filosofico espresso dagli stoici (o da altri filosofi di cui ci resta non più di un frammento o di una diceria) è chiarissimo lo stesso.
Ovviamente nessuno studioso ed esegeta hegeliano – e forse nessun odierno storico della filosofia – applicherebbe quella lapidaria boutade alle 4000 pagine di trascrizioni di uditori hegeliani rinvenute a Monaco, in gran parte relative all’estetica nel periodo di Heidelberg, e con qualche possibile novità sul concetto di libertà.
Ma, cosa più importante, e al di là dell’ironia della sorte, resta il fatto che nessun occidentale possa dirsi fuori (o in salvo?) dall’orizzonte hegeliano. Oggi, che la storia ha ripreso a marciare a suon di bombe, più che mai.

Filosofie della storia – 1. Il tempo umano: storia, memoria, oblio

[traccia dell’incontro del gruppo di discussione filosofica del 14.11.2022]

1. Quella che si vuol condurre in questo ciclo di incontri è un’indagine sulla storicità, ovvero il tentativo di andare a vedere quali sono i fondamenti della propensione umana a fare storia, a muoversi su linee del tempo, trasformando se stessi, gli ambienti naturali, le organizzazioni sociali.
La storicità è un portato “ontologico”, “naturale” dell’essere umano? Una sua facoltà costitutiva ed originaria, così come il suo essere politico per Aristotele? Oppure esistono culture senza storia, civiltà che della storia hanno fatto il loro fulcro e civiltà immobili, società fredde e società calde, per usare la distinzione dell’antropologo Lévi-Strauss?
Ovviamente non potremo non chiederci che cos’è la storia, anche se è alle sue spalle (o alle sue radici) che proveremo a muoverci, con la consapevolezza che proprio lo storicizzare, il concepire cioè ogni manifestazione umana e naturale come “storica”, sia parte essenziale della nostra mentalità (nella fattispecie della civiltà occidentale, che ha inevitabilmente condizionato gran parte delle culture e civiltà moderne): dunque ci chiederemo da storicizzati che cos’è che storicizza e rende storico il modo di guardare al mondo, un’operazione ai limiti dell’equilibrismo.
Continua a leggere “Filosofie della storia – 1. Il tempo umano: storia, memoria, oblio”

La superstizione di essere epigoni

«Il responso del passato è sempre un responso oracolare: solo come architetti del futuro, come sapienti del presente, voi lo capirete. […] Formate in voi un’immagine a cui il futuro debba corrispondere, e dimenticate la superstizione di essere epigoni».

(F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita)

Il granello di senape

Ho finalmente visto l’ultimo film di Terrence Malick, La vita nascosta (A Hidden Life). Non esito a definirlo, insieme a La sottile linea rossa e a The Tree of Life, tra i capolavori della cinematografia del XXI secolo.
Sono due le parole che utilizzerei come filo conduttore: turbamento (ciò che provoca in noi spettatori), forza (il motore segreto che muove i protagonisti).
Il film si ispira alla vicenda di Franz Jägerstätter, contadino austriaco che dopo l’Anschluss (per la quale fu l’unico del suo villaggio a votare no), decide di obiettare al servizio militare e di opporsi al regime nazista, fino ad essere ghigliottinato a Berlino il 9 agosto 1943.
La sua scelta è radicale, ispirata dalla fede (che condivide fortemente con la moglie Franziska), e che non cede alle pressioni sociali, né all’ostracismo della comunità e nemmeno alle mediazioni ecclesiastiche. Di fronte a quello che riconosce come il male assoluto, Franz è intransigente e sceglie il martirio (verrà poi beatificato nel 2007).
Ora, di fronte ad una vicenda così drammatica e complessa, Malick non si sottrae e investe tutte le sue energie, il suo inconfondibile stile cinematografico, lo scavo interiore espresso dalla voce fuori campo, il linguaggio dei volti e dei corpi, l’estetica dell’immersione naturalistica, il suo profondo antimilitarismo e amore per la vita – al fine di costruire un’intensa rappresentazione insieme visiva e filosofica, per parlarci della responsabilità di fronte a cui ogni umano sempre si trova quando deve scegliere tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso.
Continua a leggere “Il granello di senape”

Antropocene 2 – Prima l’Africa!

Il titolo di questo incontro, se da una parte vuol fare il verso a quell’infelice slogan che va ora per la maggiore (“prima gli italiani” – ma anche “first America”, prima noi, padroni a casa nostra – che è poi sotto sotto prima io e la mia tribù), dall’altra allude a una realtà storico-antropologica ormai incontestabile: è dall’Africa che veniamo tutte e tutti. L’Africa sta alle origini della storia della specie e di tutte le sue infinite migrazioni planetarie. Ed è all’Africa che tutti i nodi dell’ingiustizia globale ritornano…

1. Una specie scissa
La paleoantropologia e la biologia ci fanno sapere che homo sapiens è un’unica specie (e l’unica specie umana rimasta sul pianeta, dopo che i nostri vari cugini diversamente umani si sono estinti per cause ancora da chiarire).
Ciò non vuol dire che al suo interno non vi siano “varietà” e diversificazioni, sia sul piano biologico (genetico) che sul piano culturale – ma è ormai assodato che le prime sono minime ed inessenziali, del tutto marginali, mentre sono le costruzioni culturali ad essere ben più consistenti.

Continua a leggere “Antropocene 2 – Prima l’Africa!”

Ricomporre l’infranto

Non lo avevo mai letto finora, e un po’ me ne vergogno.
Ma è bene che resti sempre qualcosa di importante da leggere, altrimenti a che scopo vivere?
In questi vent’anni devo averlo prestato migliaia di volte, ma io non lo avevo ancora letto.
A 14-15-16 anni ho letto tutto Dostoevskij. Ma non quel libro.
E allora lo scorso 27 gennaio, non potendone più, ho cominciato a leggerlo.
Due tre pagine al giorno. Una due lettere al giorno.
E stamattina è arrivata l’ultima pagina, l’ultima lettera, datata 1° agosto 1944.
Anna – perché è di lei che sto parlando – esordisce scrivendo di un “fastello di contraddizioni”. E prosegue, per l’ultima volta nella sua vita, con una capacità di analisi interiore davvero invidiabile.
Per quasi 4 mesi Anna Frank è stata qui, nel mio soggiorno, allegra e vitale come solo i fantasmi sanno esserlo. Preoccupata, ma mai disperata.
Un’adolescente che girava per casa, canzonandomi, che mi dava da pensare, che mi faceva ridere e commuovere, e stupire per quella precoce capacità di scrivere, di analizzare sé e gli altri, di prospettarsi, nonostante tutto, il mondo a venire. Un’adolescente con l’ansia di crescere e di trovare un posto nel mondo. E che un po’ ho sentito come una figlia. Talvolta la lettura m’imbarazzava, come se stessi violando uno spazio intimo, che doveva essere protetto.
E così, giorno dopo giorno, confessione dopo confessione, giravo le pagine, che via via si assottigliavano, col terrore di giungere alla fine. Perché a quel punto le mie stanze sarebbero rimaste vuote e Anna se ne sarebbe andata via per sempre.
Ora quel momento è arrivato. Il momento del congedo. Con le sue definitive pagine bianche. E sono più che mai sgomento. E svuotato.
Perché nell’aria rimane la sensazione che quella vita spezzata – insieme a milioni di altre – sia rimasta irredenta. Peggio ancora: che sia irredimibile. Poiché l’angelo della storia evocato da Benjamin non è in grado di “destare i morti e ricomporre l’infranto”.

La mafia è una montagna di merda, il capitale pure

Giovanni Impastato è passato qualche sera fa da Rescaldina, fortemente voluto dall’amministrazione comunale che della legalità e della battaglia contro le infiltrazioni mafiose ha fatto una delle sue bandiere e priorità.
È stato generoso e rigoroso, di fronte ad una sala piena e attentissima. Indicherei nei seguenti quattro punti la sostanza della sua visione delle cose italiane, in relazione alla mafia e alla vicenda del fratello Peppino – eroe civile di questo paese:

1. La storia di Peppino Impastato va inquadrata all’interno della storia italiana, per lo meno a partire dagli anni ’40, in particolare dalla prima strage di stato, avvenuta a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947: fu quello il primo atto di guerra (preferirei chiamarlo così, più che strategia della tensione) contro le battaglie sociali dei contadini che dal basso dei movimenti chiedevano terre, diritti, partecipazione concreta alla vita nazionale.
Continua a leggere “La mafia è una montagna di merda, il capitale pure”

Primo fuoco: Marx, ovvero lo spettro di uno spettro

TYP-465971-4815891-marx_g

Parlare di Karl Marx è forse una delle cose più complicate in ambito filosofico, proprio perché la sua opera non può essere ridotta a quella di un comune filosofo. Non è come parlare di Aristotele o di Cartesio, che, per quanto appassionanti possano essere, difficilmente surriscaldano gli animi e accendono la discussione, fino a produrre schiere di partigiani o avversari, affetti talvolta da incontenibile fanatismo. Il barbone di Marx fa ancora tremare i polsi a un bel po’ di persone…
Lui stesso ci avverte di questa problematicità, in un celebre passo di un breve scritto su Feuerbach (filosofo di cui parleremo a dicembre, a proposito della religione):

“I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo.”

– rovesciando così quasi un dogma del suo maestro filosofo più importante, ovvero Hegel, che aveva invece della filosofia una visione molto più “contemplativa” (nonostante il concetto di “spirito” non fosse poi così distante dalla futura categoria marxiana di lavoro o attività):

“La filosofia giunge sempre troppo tardi… la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.”

Continua a leggere “Primo fuoco: Marx, ovvero lo spettro di uno spettro”