I presocratici – 2. Eraclito, Parmenide

Dai frammenti di ERACLITO: nuclei tematici

Eraclito, di origini regali, visse ad Efeso, tra il 540 e il 480 a.C. Non si occupò direttamente di politica (la città, governata dai Persiani, era preda di gravi conflitti), preferendo starsene in disparte e costellando però il suo pensiero di riferimenti etico-politici che ne fanno forse il primo grande pensatore politico della grecità.
Noto per il motto “ta panta rei” (che non si trova però in nessuno dei suoi scritti rimastici), diventò il “filosofo del divenire” per antonomasia – ciò che influenzò molti filosofi successivi e che, probabilmente, diventò l’ossessione di Platone circa la precarietà del mondo sensibile.
Ci restano dei suoi scritti circa 120 frammenti, redatti con linguaggio sentenzioso e talvolta oscuro (“oscuro”, skoteinos, fu uno dei suoi soprannomi). Le interpretazioni, spesso diversissime, di questi frammenti costituiscono il grande problema – insieme al grande interesse – per un pensiero che è in continuità con quello ionico, ma anche di una novità dirompente. Vediamone i nuclei tematici essenziali, a partire da una selezione dei frammenti.

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Pòlemos

«In caso di attacco (non sporadica cannonata) al territorio russo, la Russia risponderà come ogni potenza nucleare risponderebbe nello stesso caso. Non è mai la prima opzione, per ovvi motivi, ma è una delle opzioni. Poi per carità, facciamo sempre finta che Putin sia un buffoncello che strilla a vuoto. Finora ciò che ha detto lo ha fatto. Io, a differenza di chi vuole chiamare il bluff sperando sia tale, spero che tutto questo sia propedeutico a un congelamento del conflitto. Io voglio che la guerra finisca, altri vogliono fare le gare».

Così lo storico Francesco Dall’Aglio.
Anch’io temo i folli che “vogliono fare le gare”. Che vogliono vincere. A tutti i costi.
Ma è la guerra – ora è chiarissimo, e non bisognerebbe mai dimenticarsene nemmeno negli apparenti tempi di pace – a costituire l’intelaiatura del mondo.
È modificabile questo mondo? Sì. Ma è dalla distruzione di quella tela malata – massima (ed eraclitea) espressione dell’ingiustizia e della dismisura – che occorre sempre ripartire.

“La morte, stratagemma per ottenere molta vita”

XAM66129 Death and Life, c.1911 (oil on canvas) by Klimt, Gustav (1862-1918); 177.8×198.1 cm; Private Collection; Austrian, out of copyright

(traccia dell’incontro del Gruppo di discussione filosofica del 13 dicembre 2021)

Ci sono due modi fondamentali di considerare la morte: diciamo, per semplificare, uno oggettivo ed uno soggettivo. Il primo guarda la morte da lontano, come un fenomeno naturale, nel suo intreccio necessario con la vita e con il variare delle sue forme (ciò di cui ci siamo occupati la volta scorsa). È un guardare la morte come se non ci riguardasse: è una finzione consentita proprio dalla nostra facoltà cognitiva, dalla capacità di astrarre. Anche dal modo di funzionare della coscienza, dalla sua capacità di duplicazione – di scindere se stessa dal mondo, io dal non-io. In verità è un atteggiamento tipico della filosofia, ereditato poi dalla scienza nell’epoca moderna. Vedremo stasera come la filosofia degli inizi, in particolare quella dei presocratici, si occupò della morte in questi termini, come un elemento dialettico del divenire e dei processi naturali.
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Pòlemos pandemico

Eraclito, forse il più grande ed oscuro dei filosofi, sostiene che Pólemos – la guerra – è padre e re di tutte le cose. E gli uomini foggia ora liberi ora servi.

Se provassimo a leggere quel che sta accadendo nei termini del Pólemos eracliteo, ci renderemmo conto di quanto abbia ancora ragione. Ma non nel senso che la pandemia è una guerra e che il nostro nemico è il virus, come la retorica ricorrente ci ha fatto credere da 17 mesi a questa parte – bensì che tutte le relazioni, anche le più scontate e pacifiche, possono all’improvviso mutare di segno e diventare conflittuali.

Se però il conflitto – che nel pensiero di Eraclito mantiene una certa oscura ambiguità – può voler dire cambiamento, mutamento, rotazione dello sguardo, delle cose e della giustizia, la guerra – il Pólemos più terribile ed originario – porta invece con sé distruzione e terrore. Una cosa è il conflitto sociale, tutt’altra cosa è la guerra.

Quel che occorrerebbe pertanto sorvegliare accuratamente in questi tempi oscuri, è il proprio atteggiamento, innanzitutto linguistico, nei confronti degli altri, delle relazioni e delle diverse posizioni. Vedo due rischi enormi: che si legga ogni diversità come inimicizia irriducibile, e che nel frattempo si contribuisca, inconsapevolmente o meno, a militarizzare la vita sociale. Promuovere la guerra, non il conflitto.

E la guerra non è mai con lògos, ma spazza via le ragioni per imporre la sola brutalità della forza e del nichilismo.
Cui prodest? occorrerebbe a tal proposito chiedersi ogni volta. Attenzione, perché dal nulla della distruzione non si torna indietro, tanto a livello sociale quanto nelle relazioni individuali, persino nelle amicizie e negli affetti.

Ricostruire l’armonia dalla disarmonia – stupenda armonia da contrasti, dice Eraclito – è arte difficilissima, quasi impossibile.

7 parole per 7 meditazioni – 3. Morte

Per gli uomini che son morti sono pronte cose che essi non sperano né immaginano.

Il frammento di Eraclito, da alcuni interpreti ritenuto oscuro, a me pare invece sia leggibile come una critica radicale al modo tradizionale di intendere la morte – soprattutto alla modalità mitico-religiosa, e non illuminata dal logos, l’unico piano che ci rende comprensibile (se non accettabile) la morte: gli uomini, allora, non potranno aspettarsi premi, castighi o vite immaginarie oltre la morte. Non c’è niente oltre la morte – c’è solo qualcosa oltre la vita, questa vita, non un’altra.
L’unica prospettiva possibile (prefigurabile ma non descrivibile con chiarezza) è quella della metamorfosi e della ricongiunzione con la physis, la natura. La soglia della morte porta dunque a una dissoluzione che, forse, allude ad una ricomposizione – ad un un vero e proprio mutare dialettico di forme: questo sembra il punto di vista di Eraclito, al di là dell’oscurità del suo dire.

Fatta questa premessa, il problema della morte – dell’angoscia che genera e della sua accettazione – è senz’altro uno dei temi-cardine della filosofia, fin dalle origini, in continuità, ma anche in difformità, con il discorso religioso: ovvero, se la religione (ma più in generale tutto l’apparato spirituale, mitico, culturale, rituale) appare come un grande dispositivo per gestire il fenomeno della morte, la filosofia lo fa attraverso l’unico strumento di cui dispone, ovvero il logos, la ragione.
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7 parole per 7 meditazioni – 2. Verità

«Bello, senza riserve, è l’amore della verità. Esso porta lontano, ed è difficile giungere al termine del cammino. Più difficile però è la via del ritorno, quando si vuol dire la verità. Voler mostrare la verità nuda è meno bello, poiché turba come una passione. Quasi tutti i cercatori di verità hanno sofferto di questa malattia, da tempo immemorabile».

Per quanto il concetto di verità sia un concetto-chiave del discorso filosofico (per certi aspetti lo fonda), è forse proprio per questo che risulta problematico da definire: un po’ come succede per parole come “essere”, “realtà”, “conoscenza”, “totalità”, “bene”, troppo estesi per essere chiaramente intesi, eccessivi ed eccedenti le nostre capacità discorsive. Quale paradosso! La mente evoca un concetto nel quale finisce per smarrirsi…
Siamo qui in presenza di fondamenti, di assiomi, di elementi costitutivi senza i quali il discorso filosofico non sarebbe nemmeno possibile, un po’ come quando la ragione ragiona su se stessa. Sono categorie nelle quali siamo immersi, così come siamo immersi nel linguaggio, che è il presupposto di ogni nostro discorso: per poter dire che qualcosa è vero dovrei già possedere un criterio di verità, ma da dove lo posso ricavare? Un tempo ci pensavano la fede, gli dei, i miti, le credenze – ma l’epoca del lògos e della sapienza greca ha rivoluzionato ogni cosa…

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Cose a caso sparse

“Da cose a caso sparse, la struttura bellissima del cosmo”, diceva Eraclito. Ciò però non legittima chiunque a dire cose a caso sparse, prive di lògos. Occorre aver prima ragionato – indagato, cercato e ascoltato la ragione in sé e nelle cose, per poter dire qualcosa.
Il dire è sempre una responsabilità, e non può essere affidato al caso.
Era ciò che un filosofo definiva “la fatica del concetto”.

Quarta passeggiata filosofica

La filosofia, nata in città, volge lo sguardo alla natura – la physis nella lingua greca – fin dagli esordi. Uno sguardo razionale, che cerca un principio da cui ogni cosa sporge e sorge – l’arché. Per poi, infine, ritornarvi. Il medesimo principio da cui noi stessi siamo generati – in un unico flusso metamorfico.
La primavera, il risveglio della natura, lo sbocciare della vita, evocano con forza quell’idea, quel principio, quella sensazione di comunanza.
In quella natura-riserva un po’ asfittica che è la natura in città, proveremo a camminare, a pensare, ad immaginare e a meravigliarci di fronte a quel principio sorgivo che tutto regge. Physis, arché, natura naturans – natura che sempre si genera, da sé, muta e si espande. E a sé ritorna. Iuxta propria principia.
E che – proprio in questa stagione – esplode in una miriade di forme, di spore, di gemme, di fiori, di colori, di foglie e di frutti, un carnevale e una festa della moltitudine vegetale (una “verditudine”) resa possibile dall’ “invenzione” evolutiva delle angiosperme.
Alla ricerca di un linguaggio insieme razionale e poetico, logico ed emotivo.
Filosofeggiare camminando, per il puro piacere di farlo.
Al battere del passo senza meta, fine a se stesso.

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