Noioso miliardo

Ben prima della cosiddetta “esplosione del Cambriano”, circa 500 milioni di anni fa, ci fu un vero e proprio eone – il Proterozoico – in cui si affinarono le tecniche vitali ed evoluzionistiche che hanno consentito tutto il resto, ovvero: nascita delle cellule eucariote (quelle col nucleo), organismi pluricellulari, fagocitosi (il prototipo dell’eterotrofia: un vivente, in questo caso la cellula, che ne ingoia un altro), morte cellulare programmata e riproduzione sessuale. Queste sono le principali, ma ce ne furono altre non meno importanti; la cosa che colpisce di più è che tutto questo avvenne in circa 2 miliardi di anni, un periodo del tutto al di fuori della nostra portata temporale. Addirittura i paleontologi si riferiscono al periodo che va da 1,8 a 0,8 miliardi di anni fa, come al “noioso miliardo”.
L’altro aspetto incredibile – e ciò riguarda in particolare il “grande evento ossidativo” generato dai cianobatteri e simili, ovvero la liberazione di ossigeno che avvelenò una parte dei viventi e ne favorì altri – è il pazzesco ed imprevedibile incastro chimico-geologico con tutti i fenomeni vitali: un processo (in gran parte contingente e non programmato) fatto di dissesti, tentativi ed errori, avanzate ed arretramenti e sistematiche estinzioni di gran parte delle specie – un processo così in bilico e complesso (di cui ancora mancano parecchi dettagli) da perderci la testa. Sapere che noi siamo l’esito improbabile di tutto questo lavorìo geochemiobiologico dà le vertigini.
(Il libro di Baggott Origini è a tal proposito una piccola miniera, uno studio molto ben concepito, documentato e articolato).

“Innumerevoli forme e meravigliose”

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La vita ha qualcosa di inafferrabile. Fa parte di quella categoria di concetti che, per l’eccessiva generalità o profondità, sfuggono alla possibilità di essere definiti – un po’ come succede coi concetti di essere o totalità o natura: tutti sappiamo che cosa si intende con quei termini, ma volendoli definire ci si avvolge in difficoltà… tipicamente filosofiche. «Benché sperimentiamo la vita quotidianamente – scrive il chimico e divulgatore scientifico Jim Baggott – e siamo in grado di riconoscerla facilmente quando la vediamo, in effetti non sappiamo davvero che cosa essa sia».
Nel caso del fenomeno della vita, è stata la scienza a prendere il sopravvento in epoca moderna (già era successo con il mondo fisico, lasciando alla filosofia le briciole dei concetti poco interessanti per la vita pratica degli umani). Per la biologia moderna la vita diventa un problema da risolvere, mentre per la filosofia rimane un enigma che non può essere sciolto. Noi qui ci occuperemo innanzitutto del problema, lasciando ai margini l’enigma (e il fascino del mistero), anche se vedremo come nel linguaggio scientifico finiscano poi per ricorrere termini e categorie di ordine filosofico.

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Il dono oscuro

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Nel corso di alcune settimane, con molta calma e cadenza quasi quotidiana, ho letto questo testo di John Martin Hull, teologo inglese di origini australiane, che ci racconta in forma di diario la lucida cronaca del suo passaggio definitivo alla cecità, intorno ai quarant’anni: si tratta dell’arco temporale che va dall’estate del 1983 alla primavera del 1986, il periodo di attraversamento di un tunnel senza via di uscita, senza alcuna luce in fondo.
E parto proprio da qui, da questa immagine molto precisa, non a caso utilizzata in questo tempo pandemico (non solo medico-sanitario, anche cognitivo e psicosociale): l’attraversamento dell’ignoto che ci dovrebbe condurre verso un’uscita luminosa, un altro stato, un altro mondo. Così non accadrà, e anche se la vaccinazione di massa è la luce salvifica che ci condurrà fuori dal tunnel, il mondo che ci attende rimane più oscuro, ignoto e asfittico del precedente – perché appare, almeno per ora, come la riproposizione incattivita del precedente, con un ulteriore passo in avanti nel processo globale di addomesticamento. Nulla che assomigli a un dono.
Non che per Hull questo “dono” sia stato meno che velenoso e per nulla invocato – ma ci torneremo, perché è nelle ultime pagine, a neocoscienza acquisita, che il concetto di dono compare.
(Il titolo Il dono oscuro è, in verità, la scelta dell’editore italiano, mentre la prima edizione inglese è Touching the rock, titolo dell’ultimo capitolo – e, significativamente, dell’ultima tappa del viaggio verso la cecità profonda – mentre la seconda edizione s’intitola più semplicemente Notes on Blindness).

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Contingenza vs totalitarismo

«Quel che le masse si rifiutano di riconoscere è la casualità che pervade tutta la realtà. Esse sono predisposte a tutte le ideologie perché spiegano i fatti come semplici esempi di determinate leggi ed eliminano le coincidenze inventando un’onnipotenza tutto comprendente che suppongono sia alla radice di ogni caso. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà nella finzione, dalla coincidenza nella coerenza».

Hanna Arendt scrive queste considerazioni nell’ultima parte de Le origini del totalitarismo. Immagino si rendesse conto delle implicazioni, non solo strettamente storiche o politiche, del pensiero qui sotteso: sono proprio i concetti filosofici di totalità, tutto, sistema – ovvero la scommessa fondamentale della filosofia fin dalla sua nascita – ad essere revocati in dubbio. In ultima analisi, è il fondamento stesso ad essere rimosso, o di cui si auspica la rimozione, al fine di evitare ogni possibile rinascita di ogni futuro fondamentalismo.

Zoon politikon – 4. Sfuggente libertà

Libertas
1 libertà, condizione civile di uomo libero
2 affrancamento, emancipazione dalla schiavitù
3 autonomia, libertà politica
4 assenza di obblighi o costrizioni
5 permesso, licenza
6 franchezza, schiettezza, sincerità, libertà di parola
7 licenziosità, dissolutezza, libertà di costumi
8 indipendenza di carattere, amore per la libertà, spirito di libertà
9 immunità, esenzione da imposte
10 Libertas, la Libertà personificata e venerata a Roma come dèa

Vi sono già nella radice latina del termine le connotazioni variamente articolate, talvolta contraddittorie, con cui noi intendiamo questo concetto. Sono senz’altro presenti le due caratteristiche essenziali: la libertà (negativa) DA costrizioni e la libertà (positiva) DI agire (quello che viene comunemente denominato libero arbitrio). Ma vi è anche l’allusione al piacere (libido, che secondo alcuni condivide con libertas la medesima radice linguistica). Così come il riferimento alla sfera economica o giuridica (immunità, esenzione).
In sostanza possiamo dire che da questo ceppo comune derivano teorie molto diverse, talvolta incompatibili: le figure sociali di libertario, liberista, libertino, libero pensatore, liberale… – sono già tutte lì dentro.

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Tertium datur?

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La vita, la mente, la coscienza sono spiegabili solo con la fisica e la chimica delle particelle elementari? E l’unica alternativa possibile è quella del disegno divino?
Ridotto all’osso, il programma di ricerca del filosofo Thomas Nagel (quello che nel 1974 aveva scritto il celeberrimo articolo What is it like to be a bat? – Che cosa si prova ad essere un pipistrello?) si riduce a questa duplice domanda, discussa nel saggio Mente e cosmo: perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa, pubblicato di recente in Italia da Cortina editore.
La scommessa di Nagel è di non accettare la prospettiva riduzionistica come l’unica e totalizzante spiegazione delle cose: vi sono alcuni fenomeni – la vita e in particolare la mente, la coscienza e il mondo dei significati e dei valori – che non sono riconducibili e men che meno riducibili alla spiegazione fisico-chimica degli elementi. D’altro canto Nagel suggerisce una prospettiva anti-riduzionistica a sua volta non riducibile al partito avverso dei materialisti, ovvero i fautori del disegno intelligente (creazionisti, anti-darwiniani, spiritualisti e teologi vari). Vi è secondo lui una terza via possibile – e fondabile razionalmente – che pur inscrivendosi nella tradizione idealistica (non soggettiva ma oggettiva, e dunque platonico-hegeliana) non disdegna affatto di dialogare con le scienze. Semplicemente sostiene che la fisica-chimica non è in grado di spiegare tutto: la realtà e molteplicità dell’essere è più varia e più ricca di quanto le leggi fisiche possano ricomprendere. La mente non è riducibile alla materia, che non è così in grado di assorbirla integralmente.
Nel brano riportato qui sotto, in breve, il programma nageliano (o la speranza-progetto che vi sta dietro):

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Quarto fuoco: dadi e dande

«La natura può essere davvero “crudele” e “indifferente”, in quanto non esiste a nostro beneficio, non sapeva che saremmo venuti e non le importa assolutamente nulla di noi» (Gould)

«Già ora abitiamo su un magnifico sasso vagante alla periferia della Via Lattea, schiacciati fra il gelido vuoto dello spazio esterno sopra di noi e colossali mantelli di magma incandescente sotto di noi, lì a metà, in bilico sopra zattere continentali in movimento e sotto una sottile striscia di atmosfera. In questa pellicola di gas instabili il 99% delle specie esistite nella storia naturale si sono già estinte e fanno parte dei cataloghi museali di un passato che non tornerà mai più» (Pievani)

Frasi come queste – la prima di un illustre biologo e paleontologo statunitense, la seconda di un filosofo della scienza italiano – parrebbero togliere ogni dubbio sulla nostra radicale contingenza, sul fatto cioè che siamo al mondo per caso (anche se non a caso), per una serie cioè di fortunate circostanze, e che nessuno o niente ci aveva previsto, programmato, pianificato. Le teorie finalistiche della creazione o del disegno intelligente non reggerebbero insomma alla prova dei fatti della storia della vita, e più che sorretti dalle dande della necessità noi saremmo stati gettati nell’esistenza attraverso un tiro di dadi.

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The Giver: i doni avvelenati della perfezione

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The Giver non è soltanto un piccolo romanzo distopico (uno dei tanti, per un genere che pare “tirare” parecchio, specie nelle trasposizioni cinematografiche), ma ha dei tratti propriamente disfilosofici (anfibolici, ovvero paradossali) parecchio interessanti. Mi spiego.
Premessa: nulla di originalissimo, ovviamente, anche perché il filone distopico ha ormai una lunga e robusta tradizione, però qui l’autrice (Lois Lowry, che lo aveva scritto ormai vent’anni fa) immagina e concepisce con semplicità – e forse con qualche elemento di novità – una alternativa secca tra perfezione e imperfezione (un po’ come avverrà nel film huxleyano Gattaca, tra validi e non validi). E lo fa con un linguaggio piano e a tratti fiabesco – tant’è che il libro viene originariamente incasellato nel genere “fantascienza per ragazzi”, confine che finisce per stargli stretto.
Il mondo sociale che si pensa di avere edificato ha tutte le caratteristiche della razionalità (più pratica che teorica), dell’uniformità, della precisione linguistica (evocata molto suggestivamente da un padre lontano delle distopie, qual è Swift), del controllo-prosciugamento delle passioni (antico sogno stoico), del controllo del pianeta, dell’eugenetica, e così via.
Non si nasce e non si muore a caso, e a maggior ragione si vive organici, coesi ed organizzati.
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Amor…

L'attesa_Klimt

Lasciare che sia la contingenza
di corpi e menti e spiriti che incocciano
a decidere lì per lì
– forse la cosa più bella che ci si possa attendere dalla vita
o quella più vitale che possa venire dalla bellezza
o che la vita possa aspettarsi da se stessa.
Non tanto l’esito dell’incontro
quanto l’incontro in sé, la sua pura idea
– la relazione in sé.
Non la prosa dell’accoppiamento
ma la poesia dell’attesa,
non l’atto che si consuma
ma la potenza che si strugge.
L’assenza, non la presenza.
L’amare, non l’essere amati
– quasi un amore senza s-oggetti.
L’estro dell’essere, prima che qualcosa sia.

L’insostenibile gravità dell’esistere

kierkegaard

Pochissimo s’è parlato in questo blog di Søren Kierkegaard. Solo fugaci citazioni, in 4 o 5 occasioni, nulla di più. Il 5 maggio scorso ricorreva tra l’altro, nel più assordante dei silenzi, il bicentenario della sua nascita.
Del resto il filosofo danese non è di sicuro nelle mie corde – ed anzi, ricordo che all’università, io e un mio compagno con il quale ho avuto il piacere di condividere anni di forsennata passione filosofica (e di grandi bevute), eravamo soliti sbeffeggiare il povero Søren, in particolare per quella sequela di titoli angosciosi e funesti – Timore e tremore, Briciole filosofiche, Il concetto dell’angoscia, La malattia mortale… – a nostro avviso ben poco filosofici, e comunque lontani dal nostro stile irruento e vitale (io poi ero all’epoca un temibile estremista hegeliano!).

[En passant, Briciole di filosofia fu, se non erro, il primo blog filosofico che incontrai sul web, subito dopo aver aperto La Botte. Quasi una nemesi].

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