Poiché settembre, com’è noto e come dice il cantastorie, è il mese del ripensamento, e subito dopo l’estate “porta il dono usato della perplessità”, che induce a giocare con le identità e con le possibilità – mi sono dato, proprio in questo mese, più tempo del solito per le mie passeggiate quotidiane. Non solo: ho anche approfittato della lunga coda estiva per riascoltarmi le 10 sinfonie di Mahler, en plein air. E l’ho fatto a rovescio, partendo dall’ultima e risalendo alla prima. Dieci, nove, otto, sette… una per ogni passeggiata, qualcuna di quasi due ore, come saprà chi conosce Mahler e le sue interminabili opere.
E solo poco fa, al compimento del ciclo, durante l’ultimo movimento del Titano, con la complicità dei fili d’erba mossi dal vento, mi si è rivelato un ulteriore significato di questa mia quasi trentennale frequentazione (quasi ossessione) mahleriana.
La musica di Mahler è stata la mia cura. Non solo e non tanto per l’incredibile ricchezza di significati, un vero e proprio attraversamento di tutte le fasi, i drammi, la bellezza, i chiaroscuri della vita – il titanismo, la tragicità, l’amore, la natura, lo struggimento, la morte, la caducità, una trasognata eternità, l’irraggiungibile sentimento di pienezza e di totalità… e potrei andare avanti a lungo, in un gioco (forse stucchevole) di riconoscimento e identificazione.
Mahler è stato la mia vera cura (e lo è stato ben più della filosofia, che ha anzi rischiato di distruggermi), proprio quando, tra i 25 anni e i 30 anni, lo slancio vitale – il mio personalissimo titanismo – mi stava conducendo in un vicolo cieco. L’ho capito solo ora, quasi 30 anni dopo. Andando a ritroso, ricostruendo il mosaico delle identità, il gioco delle possibilità. All’inesorabile scorrere del tempo, regno di un fanciullo che gioca a dadi, si era intrecciato quel filo tenue ma continuo che è stato in grado di tenermi insieme, di non farmi deflagrare ed infrangere contro le brutture e le inanità dell’esistenza. Difendendomi dalle mie stesse pulsioni autodistruttive. Non facendomi dissolvere – come succede in chiusura dell’immensa Nona.
È una strana genealogia di cui non so dar conto razionalmente – e del resto la musica è uno dei raccordi essenziali tra la razionalità e l’emotività, tra ciò che è chiaro e ciò che non lo è. E cura, appunto, ciò che la ragione non potrà mai curare. Mahler è stato la mia medicina salvifica. Ce ne saranno state altre, ma al momento faccio fatica a identificarle (gli amici e gli amori sono dei farmaci ambivalenti, com’è nella natura di ciascun pharmakon; il lavoro non lo prendo nemmeno in considerazione; per non parlare delle letali, ma sempre più diffuse, soluzioni chimiche).
Il fatto poi che abbia intuito tutto ciò mentre una potente architettura sonora m’invadeva l’udito, insieme alla vista dei fili d’erba e alle carezze del vento, un combinato estetico che mi ha impedito di trattenere le lacrime – beh, anche questo non me lo so spiegare razionalmente, magari bisognerà chiederlo a qualche fine psicoanalista (ma ce n’è ancora?), so soltanto che mi piace. È una sensazione che mi fa stare bene. Quasi quanto una sinfonia di Mahler…
Per me è stato l’esatto opposto. Dopo anni di ascolto Mahleriano e di un trasognato pensiero nei confronti del mondo (non è tutta l’Arte un’eterno gioco di reale\irreale? Lo stesso Mahler corre sempre su questo filo) sono stato costretto a guardare in faccia la realtà: potevo avere acquisito grande sensibilità, ma la “cosa in sè” mi pareva ancora molto oscura. Sono arrivato alla Filosofia. E ho cominciato a capire molte cose, anche dello stesso Mahler. Del resto, pochi altri autori come lui sono così attaccati ad una visione trascendente del reale; e non credo neppure di esagerare se dico che il più grande libro sul Boemo sia quello di Adorno. Ma si può comprendere Das Lied Von Der Erde senza conoscere Nietzsche e Schopenhauer?
Ottime riflessioni … io ancora non sono stata “benedetta” dalla musica in un senso così profondo ma ne intuisco il potere… per questo non mi fossilizzo su un autore ma tendo a ricercare la sperimentazione in tutte le arti.
bella la visione dei fili d’erba accompagnati dalla melodia 🙂
@Valentino: in effetti alla tua domanda finale occorre rispondere no. Così come rimane una sorta di artificio biografico e letterario il mio, ovvero separare ciò che nella vita non è mai separabile, o quantificare ciò che non lo è per sua natura.
Posso solo dire che lo studio filosofico, che pratico da oltre 30 anni, rende acuto e talvolta intollerabile ciò che l’ascolto di Mahler trasfigura in una forma quasi pacificata.
D’altro canto è ovvio che non avrei potuto scrivere nessuna di queste parole senza aver letto e meditato Eraclito o Epicuro o Platone o Goethe o Hegel o Schopenhauer o…