Aforisma 90

La possibilità non è esile, come talvolta si pensa. Nient’affatto: essa è, come scritto nel nome, possente. È semmai la nostra inserzione entro quella poderosa apertura, ad apparirci fragile e incerta.

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

20 pensieri riguardo “Aforisma 90”

  1. La possibilità è la potenza dispiegantesi dell’essere (e degli esseri). Che senza questa potenza espressiva rimarrebbe muto e privo di senso.

  2. Infatti non ho affatto detto che la possibilità è “la” realtà. Ciò non toglie che sia reale – anche perché non c’è nulla che non lo sia. La stessa parola “nulla” è, per certi aspetti, reale.

  3. Meglio però chiarire: occorrerebbe preventivamente dichiarare il significato non sempre univoco di questa famiglia di concetti, ricostruirne la genealogia. Paradossalmente il concetto di realtà è molto più recente di quello di possibilità (per lo meno nell’accezione aristotelica di “potenza”, dynamis), e non è sicuramente sovrapponibile a quello di “atto”-enèrgheia; d’altro canto l’accezione che ho qui utilizzato è più vicina a quella spinozista, piuttosto che a quella aristotelica. C’è poi quella di Bloch…
    Ma, ca va sans dire, qui si tratta di un aforisma, omissivo e fin troppo reciso per sua natura.

  4. Realtà è atto non attuale ma che si attualizza in noi, secondo ciò che l’ultima scienza propone. Quando dico che non appare mai intendo appunto che non appare mai in atto, perché la realtà non è “sicuramente” sovrapponibile all'”atto” aristotelico ? “Sicuramente” gli conviene come uno degli esseri o enti. Se gli enti aristotelici sono diversi in quanto in atto da quelli in quanto in potenza, in quanto in atto l’ente è la “realizzazione” dell’ente in potenza e la realizzazione è appunto il movimento che conduce il potere all’essere, secondo Aristotele. La realizzazione o azione (forza) dell’oggetto che si farebbe “atto” non assomiglia molto alla realtà dei “fatti”?

  5. Interessante anche l’argomento sul “nulla”. Che la parola “nulla” sia in qualche modo reale (che esiste) significa che in qualche altro modo può non esserlo (che non esiste), ecco quest’altro modo sarebbe la possibilità e è quell’impossibile che dicevo sopra nei riguardi del possibile. Il possibile è appunto quella tensione o volontà che vorrebbe che la parola “nulla” significasse differentemente da quello che “in realtà significa”, che vorrebbe ridurre l’oggetto, in questo caso la parola “nulla”, ad un altro da sé (e in questo caso specifico all’altro dall’essere). La parola “nulla” significa, che altrimenti, se non significasse, se fosse insignificante (questa la possibilità), non sarebbe. La parola “nulla” significa “non essere”, quel non essere che compare nel principio di non contraddizione per cui l’essere non é il “non essere”. Cioè l’essere non è contraddittorio (sarebbe da giustificare ulteriormente), mentre la parola “nulla” che nel principio ha come sinonimo “non essere” significa contraddittoriamente l’infinita “tensione” appunto che si mostra nel “possibile” del “reale”.

  6. Se la volontà di essere è l’impossibile, in quanto l’essere è necessario che sia, posto che l’essere non può non essere, se non costituendosi, questo non essere, come e principalmente in essere (l’impossibilità della negazione dell’essere è in questo suo essere che è e significa auto negazione) e se voler essere significa non essere, poiché “si può volere ciò che non si è e ciò che non si ha” (Oltrepassare), non impossibile è l’essere volontà, ciò che chiamiamo possibilità appunto… La coscienza della possibilità è la volontà, cioè credere che le cose divengano, possano divenire, ecco qui la “possibilità” come forza o energheia, la substantia, hypoKeimenon, il permanente di ciò che muta e mutando diviene altro da sé. Questa forza o potenza è il possibile dell’impossibile, è ciò che fin da principio l’uomo ha creduto come “capacità” propria di cambiare le cose.

  7. “Perciò l’onnipotenza di Dio è in atto dall’eternità, e rimarrà in eterno nella medesima attualità”.
    “Nella natura non vi è nulla di contingente, ma tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura ad esistere e a operare”.
    “Per nessun altro motivo diciamo contingente una cosa se non per difetto della nostra conoscenza”.
    “Tutto ciò che esiste esprime in un certo e determinato modo la natura o l’essenza di Dio, cioè tutto ciò che esiste esprime in un certo e determinato modo la potenza di Dio che è causa di tutte le cose, quindi deve conseguirne qualche effetto”.

    Ora, lascerei fare a Dio (sive natura) il suo mestiere, e agli umani (quantomai contingenti) il loro.

    Ad ogni modo, sulla “filosofia della contingenza”, si veda la seguente trilogia:

    https://mariodomina.wordpress.com/2011/12/05/filosofia-della-contingenza-1/

    https://mariodomina.wordpress.com/2011/12/12/filosofia-della-contingenza-2/

    https://mariodomina.wordpress.com/2011/12/20/filosofia-della-contingenza-3/

    Mentre sul severinismo (con una corposissima ed estenuante discussione con Profeta, nonché Marco Pellegrino, terminata senza dubbio con la sua vittoria sul campo):

    https://mariodomina.wordpress.com/2008/02/09/la-pellicola-ontologica-%E2%80%93-oltrepassare-severino-1/

    e in molti altri luoghi, facilmente rintracciabili, del blog.

  8. (avrei potuto scrivere un ulteriore post, anziché uno striminzito aforisma, sul tema: se l’avessi fatto, ora questo scritto sarebbe un fatto, certificato e necessitato; ma non avendolo fatto, non saprei proprio quale sia il suo attuale statuto ontologico, se inesistente e inconsistente o impossibile… eppure, non so come dire… da qualche parte sento che questa possibilità c’è, come se si trovasse in punta di dita o di lingua o di mente; ma, ripeto, non so come la veda dio in proposito, non frequentandone più la magione da tempo immemore)

  9. “le pareti del cervello sono i confini dell’ontologia. Non ho cioè nessuna prova incontrovertibile se non l’incontrovertibilità derivata dal pensiero logico (che è pur sempre farina della mia mente) che garantisca la necessità ontologica.” hai scritto. Ma questo è realismo non idealismo. Perché non hai nessuna prova incontrovertibile…? dice l’idealismo, la prova è proprio data dal limite. Il limite deve incontrovertibilmente essere oltrepassato e oltrepassabile, pena di sé stesso, della sua stessa esistenza, è la sua nientificazione e entificazione, è il limite stesso l’essenza dell’oltrepassante. In ogni modo, sia che il limite sia posto, sia che non lo sia , questo è già oltrepassato. In altre parole, solo se si confronta la dimensione del mentale con la dimensione del reale, solo se quindi si pensa all’apparire di queste dimensioni ma non all’apparire del loro apparire come contenuto di ciò che appare, allora l’apparire dell’uno esclude l’apparire dell’altro, l’apparire del reale nientifica l’apparire del mentale e viceversa. Ma l’apparire delle pareti del cervello (il limite che avremmo posto alla dimensione mentale) è il suo apparire (già da sempre oltrepassato), è anche l’apparire del l’apparire delle pareti, si che questo apparire, che è diverso in quanto inclusivo del primo apparire, è l’apparire di tutto ciò che appare e quindi della dimensione del mentale, della dimensione del reale e della dimensione di ciò che appare nell’apparire di questo apparire, l’apparire trascendentale.

  10. Sto Leggendo Oltrepassare di Md, è infinito ma ricco di notevoli spunti di riflessione. Sono interessato a conoscere profeta, Roberto lo conosco, conosco il suo sito che leggo volentieri, ma sai Mario dove profeta scrive oltre(passare) qui ? Anche io ho letto quanto dice di aver letto Profeta di Severino e ho approfondito i suoi corsi audio, sono un severiniano se così si può dire e per quel tanto che lo si può dire. Ad oggi considero Emanuele il massimo pensatore, più di Hegel e di Aristotele per intenderci, ma ho voglia, come è giusto che sia, di demolirlo, questo desidero se voglio vivere.

  11. Oh, finalmente ho scoperto che Profeta è Marco Pellegrino e devo dire che la lettura di circa 400 commenti, durante la mia Pasqua, mi ha davvero entusiasmato, ho constatato, pur non avendone grandi dubbi, quando già dai primi commenti non concepivo l’illusorietà dell’apparire da lui predicata, che anche profeta ha dovuto muoversi, restando fermo Severino, cosa che ha consolidato ulteriormente la stima per il maestro… Devo ancora leggere “la morte e la terra”, avendo saltato “La Gloria”, poi forse, dopo Messinese, comprerò anche io qualcosa di Marco.

  12. mercoledì 7 ottobre 2009 alle 9:37 pm in Severino di Marco Pellegrino.

    Qui Marco Pellegrino si ricongiunge a Severino, infatti qui si chiama, non a sproposito, Severino… 😃

  13. “Pietro, quello che voglio dire è che le argomentazioni di Severino, a mio avviso, possono essere fuorvianti, soprattutto quando dice ne “La struttura originaria” che ciò che appare effettivamente non è la totalità delle costanti del Tutto concreto. ” dice Marco… Ma è proprio qui il motivo della incomprensione iniziale di Marco , rispetto la teoresi di Severino. Se di ciò che appare vi fossero tutte e solo le costanti, non ci sarebbe alcun apparire delle diversità e nessun movimento… Qui traspare la necessaria idealità e attualità di Severino, intorno gli eventi che sono evidenti, le variabili, differentemente dalle costanti che costituiscono quel mondo che è il prodotto, in termini idealistici, della mente. Non esisterebbe altrimenti avvenire e apparire e resteremmo nell’essere parmenideo, risultando incomprensibile, o meglio contraddittorio, il mondo. Per Severino, che in fondo è aristotelico nell’anima, ricordiamo che il suo Eureka si esprime durante lo studio della Fisica di Aristotele, salvare il mondo dalla sola logica, è un’originaria esigenza filosofica. Fin dal primo libro, fin dalla Struttura Originaria, questa esigenza è principiale. Vi è in ciò che appare così come appare che anche se ancora non appare non è contraddittorio che appaia, le variabili le chiama Severino. Mentre le costanti non possono non apparire con l’apparire di ciò che appare. Qui si distingue appunto il giudizio analitico dal giudizio sintetico. Rammentando che il giudizio sintetico, qualsiasi giudizio sintetico, per apparire deve infine essere analitico. Questo è il tutto concreto dell’apparire del giudizio sintetico, è essere il giudizio analitico. (Rivisitare per questo Tautotes).

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