La storia al cinema: stoici o epicurei?

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Ho visto con molto interesse Baarìa di Giuseppe Tornatore e Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. Due film che appaiono diversissimi, sia per lo stile dei loro autori che per le intenzioni estetiche o per i contenuti. E allora perché mai accostarli, a parte la circostanza della loro quasi contemporanea uscita nelle sale italiane? In realtà mi pare interessante comparare proprio il modo con cui i due autori affrontano il medesimo soggetto, quello cioè della storia e della memoria.
Ho seguito Baarìa in preda ad incantamento (da siciliano che ci si è “ritrovato”, ma che non per questo si è sempre piaciuto), una sorta di malìa rotta solo dalla discussione razionale e dal ripensamento, sia sulla forma estetica che ha reso possibile quell’incanto, sia sui contenuti (in buona parte vi ha contribuito un bell’articolo comparso su Nazione Indiana, molto critico in verità, con il dibattito che ne è seguito). Devo però dire che la rottura definitiva di quell’incanto si è consumata tramite la “controvisione” del film di Tarantino. Mi spiego.

Se in Baarìa la rievocazione storica e la memoria viaggiano sul filo molto individualizzato di un’epica tutta isolana (e rusticana), con il suo canto degli eroi, il rimpianto, la progressiva disillusione, fino al fatale requiem della sconfitta – un susseguirsi ininterrotto di generazioni, lotte per la sopravvivenza e speranze visivamente reso in maniera potente, a partire da quel volo iniziale del bambino sulla città; al contrario in Bastardi senza gloria la storia diventa il luogo della possibile radicale riscrittura, di una sorta di anarchico clinàmen: è andata così, ma sarebbe potuta andare anche diversamente. Il destino quasi segnato nel primo caso, la revanche, la vendetta, il riscatto (della fantasia creativa degli umani) nel secondo. Con Baarìa si piange e si sospira sommessamente al battito della rievocazione nostalgica, dell’amarcord (con non pochi scivoloni stereotipici, che però sono anch’essi parte dei caratteri siculi), mentre con i bastardi tarantiniani ci si ringalluzzisce contro gli sporchi e cattivi nazi: ora gliela faremo vedere noi, faremo loro letteralmente lo scalpo, e un po’ si diventa bastardi – del resto ad ogni lurida azione ci si potrebbe aspettare una lurida reazione (non sempre funziona così). Troppo facile, obietterà qualcuno, sparare su Hitler e sui nazisti, cioè sulla quintessenza del male (dal quale si finisce per essere inevitabilmente contaminati). Può darsi, ma io guarderei anche oltre, e cioè al significato più generale dell’operazione di Tarantino, che si percepisce più chiaramente proprio nella giustapposizione al film di Tornatore.
Mi pare insomma di aver letto una poetica della rassegnazione in quest’ultimo, quasi un divertito e schizoide contropelo alla storia nell’altro. Certo, quel che è stato è stato (e poi, tra l’altro, i nazi, almeno quelli del Terzo Reich, sono davvero stati sconfitti, in verità non prima di avere distrutto mezza Europa e buona parte del popolo ebraico – così come d’altro canto i comunisti, i sindacalisti, le classi proletarie sono davvero state sconfitte in Sicilia), ma è proprio la riscrittura creativa che colpisce, la “licenza” di narrare, la potenza transimmaginativa del cinema che ci può persino insegnare ad essere più liberi e riottosi anche nella vita “reale”. Addirittura forzando il dato, l’avvenuto, ciò che è ossificato. Facendo deragliare il treno su altri binari. Deviando, anche solo di poco. Forse che Quentin sia una sorta di bastardo neoepicureo?

Autore: md

Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.

5 pensieri riguardo “La storia al cinema: stoici o epicurei?”

  1. Stano il connubio tra stoici ed epicurei …

    (stanotte)
    Non sono una critica cinematografica, e di Tarantino mi sembra di aver visto solo Pulp fiction. Ma sono d’accordo: è il suo capolavoro. Appena uscita dal cinematografo ho chiesto ai ragazzi là fuori come l’avevano trovato. Non lo sapevano, Ci dobbiamo pensare, ha detto qualcuno. Ma poi uno ha detto, Però potevano anche ucciderlo (visto che c’erano?). E io ho chiesto, Sì, ma lui chi è? Non lo sappiamo, mi hanno risposto in coro.
    (A domani)

  2. D’altronde già ieri mi ero riveduta su quel pio desiderio idea cretina che da un lupo possa spuntar fuori una farfalla. Un lupo, onesto e sincero fin che vuoi, può solo volerti far saltare le palle. Altro che farfalle.
    Uno stronzo ce l’ha scritto in fronte, inciso nella carne, proprio lì, in luogo del terzo occhio. Il guaio poi, è se anche i figli degli stronzi saranno stronzi. Stronzi ignavi come i nonni e zii e cugini e tutto il caravanserraglio

  3. Uno è appeso per il collo, con le mani legate e guarda in faccia la morte. Gli altri rimangono perplessi, non muovono un dito, girano la faccia dall’altra parte, mettono cera nelle orecchie, non si sa cosa passi loro per il cervello – che talvolta è davvero una parola grossa, non solo “cervello”, ma “pace” e “amore” o uno o l’altro di quei grandi ideali.
    Non siamo sicuri che allungando la mano possano raggiungere la corda e tagliare il cappio agilmente, anche perché uno è stato appeso molto in alto. Però, chissà! forse basterebbe una scala o uno sgabello. Ma ciò che mi stupisce, ciò che mi fa più male, è leggere nei loro occhi la paura che se fosse salvato sarebbero costretti a dargli da mangiare, dividere con lui la torta (più che la pagnotta) anche fosse una pecorella alla quale basta soltanto brucare erba. Anche se il cibo, non solo l’erba, basta e avanza, se ne fa spreco.
    La corda, non si sa come, forse solo per usura si è spezzata. E mi sa proprio che la pecorella sopravvissuta d’ora in poi avrà un sacco di buone ragioni per essere incazzata.
    Comunque i dottori dicono, Staremo a vedere. Per il momento dobbiamo aspettare che si rimargini la ferita. Arieggiare le stanze, mangiare bere un po’ di letto e soprattutto smetterla di fumare, che se vai avanti così il cuore se ne va al galoppo in giro da solo

  4. Non ricordo l’ultimo film che ho visto al cinematografo, ma questo film di Tarantino l’ho trovato davvero potente, compreso il suono al massimo volume, sembra ti stia facendo un massaggio cardiaco. Il film, le immagini, le scene vengono proiettate, e tu sei proiettato dentro di esse. Non è un immedesimarsi, ma sei dentro, ne fai parte.
    Scene costruite come un’opera teatrale, ma più potente. E anche se, come nella vita reale, qualcosa ti sfugge, non c’è alcun particolare messo lì per caso. L’occhio si sposta dal primo piano allo sfondo, e in ogni piano c’è qualcosa che rimanda a qualcos’altro.
    I nomi sul fronte del cinema (in alto) cambiano, per esempio, ma lo spettacolo deve continuare, e ad una proiezione ne segue un’altra. Ma se fai attenzione sullo sfondo, sul muro, puoi leggere la pubblicità che dice “Esigete la bottiglia” (in francese). Io non sono una cima in matematica, ma dalla bottiglia al bicchiere il passo è breve. Che infatti non è raro che stiamo a considerare quel famoso bicchiere o mezzo vuoto o mezzo pieno, quando invece giunge l’ora di guardare non tanto il bicchiere, ma l’intero

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